« indietro ULRIKE DRAESNER, kugelblitz, Luchterhand Literaturverlag, München 2005, pp. 94, €8,00.
Se è possibile individuare un tratto comune nella produzione lirica di una generazione particolarmente produttiva come quella degli autori di lingua tedesca nati negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, converrà identificarlo nell’intersezione di poesia e saggio, che è non solo praticata sul piano estrinseco delle consuetudini di scrittura (nel senso cioè che molti di loro alternano un genere all’altro in rapporto alle esigenze espressive del momento), bensì risponde a ragioni di poetica profonde e sostanziali. Ulrike Draesner, e con lei Durs Grünbein, Dirk von Petersdorff, Kerstin Hensel (per non fare che alcuni dei nomi possibili), è cioè da un lato autrice dalla elevatissima cifra stilistica di saggi su vari argomenti di teoria e critica della letteratura, nei quali l’attitudine analitica alla descrizione distaccata dell’oggetto è sempre ricondotta a un interesse ermeneutico eminentemente soggettivo, teso a rendere ben evidente il vincolo tra la scelta di quell’oggetto e le motivazioni individuali di chi scrive; dall’altro le sue poesie sono pervase da una conduzione ragionativa lucida e lineare, che trascende in ogni momento i moventi esclusivamente personali e aspira a costruire una tessitura interpretativa valida anche sul piano intersoggettivo. Questa disposizione dialettica e discorsiva si innesta su un’interrogazione radicale circa la necessità di ridefinire le condizioni di esistenza del medium poetico a fronte delle trasformazioni di ordine appunto media le intervenute nell’ambito dei rapporti di comunicazione interpersonale. Interrogazione che Draesner articola ponendo a oggetto specifico del linguaggio di poesia il quadro delle condizioni pragmatiche, e specificamente sensoriali, in cui questo stesso linguaggio si sviluppa. Il contesto vocale nel quale l’enunciazione lirica prende forma non è più investito di una funzione unicamente strumentale, ma viene associato al livello vero e proprio delle intenzioni argomentative [Draesner illustra questo passaggio servendosi di un’ardita paronomasia che fa coincidere la «Stimme» (voce) di una poesia con la sua «Stimmigkeit» (coerenza)], configurando nel complesso una ‘poetica biologica’ che presenta molti punti di contatto con le posizioni di Gottfried Benn. La poesia di Draesner parla incessantemente del corpo come forma elettiva dell’intero spettro delle esperienze individuali, ma insieme si fa essa stessa corpo, costituendosi – mediante il gioco delle libere associazioni foniche e visuali che il lettore è chiamato a compiere nell’atto della lettura – come organismo sovrabbondante e autoformativo, dotato di una inesauribile vitalità autonoma che ne ridefinisce incessantemente il profilo in modo analogo al ritmo di produzione e distruzione che sostanzia l’esistenza dei corpi.
kugelblitz è la terza raccolta di Draesner, dopo gedächtnisschleifen, del 1995, e für die nacht geheuerte zellen, del 2001 (ma questi dieci anni di attività hanno portato anche tre romanzi e due collezioni di racconti). I motivi legati alla sfera del paesaggio urbano e della tecnologia, dominanti negli altri segmenti della sua produzione, vengono riassorbiti in una prospettiva ancora più ampia, volta alla definizione di una sintassi generale delle relazioni affettive. Sintassi allusiva e di scontinua, segnata dal ritmo contratto di notazioni staccate e tuttavia collegate dalla continuità immaginativa che si stabilisce anche tra campi eterogenei della percezione sensibile in forza della tensione ermeneutica che sorregge l’intelligenza poetica dell’autrice. La rete delle corrispondenze figurali tra la realtà e la vita interiore del soggetto è costantemente alimentata dalla capacità di propagazione attribuita alle singole immagini, le quali, mai trattenute entro contorni definiti, si disseminano lungo l’intera estensione del testo, riproducendo – nella sequenza alternata di espansione e contrazione – l’andamento irregolare e analogico dell’immaginazione individuale. Così il volo di uno stormo di uccelli viene prima decifrato mimeticamente sullo sfondo del paesaggio invernale nel quale l’occhio lo ha visto stagliarsi nitidamente, poi dematerializzato tramite il riferimento alla situazione sentimentale di una coppia di amanti, poi ancora, con una svolta improvvisa, del tutto demetaforizzato mediante la riduzione del suo potenziale evocativo alla linea geometrica delle lettere dell’alfabeto che la formazione ordinata degli uccelli parrebbe comporre (prima una ‘v’, poi una ‘z’, poi ancora una ‘w’). Proprio l’essenzialità di questa riproduzione puramente segnica, peraltro, finisce per dissolvere ogni residuo di figuratività dell’immagine poetica, riabilitandola, ma in una forma potenziata, all’espressione del mondo affettivo del parlante: «er sei sagtest du ein / spätes alpha bet das uns / gemeint» («era quello, dice vi, un / tardo alfabeto / che intendeva noi»).
L’accumulo delle denotazioni percettive non ha sempre l’effetto di schiarire il campo visivo del soggetto, liberandolo da tutte le frange accessorie, ma finisce anche – e si tratta di uno sviluppo anch’esso parallelo ad esiti analoghi nel panorama della poesia contemporanea di lingua tedesca, a cominciare da Barbara Köhler per intensificare a tal punto la facoltà connotativa sottesa all’atto dell’espressione poetica da privare paradossalmente questo stesso atto di un oggetto concretamente individuabile. La torsione linguistica che accompagna questi momenti di eccezionale concentrazione immaginativa finisce per assumere a oggetto preferenziale del discorso lirico la mera presenza dei soggetti coinvolti nel circuito dell’enunciazione linguistica: «er ihrer sich wo doch / sie sich seinerseits wo er» («lui si il suo lì dove pure / lei si a sua volta dove lui»). La reificazione delle relazioni discorsive, sempre sul punto di ricadere nello stato di neutralità proprio del silenzio, conduce in realtà all’intendimento della natura sonora e vocale della parola poetica e sposta l’attenzione del lettore dalla verifica del contenuto all’apprezzamento indisturbato della forma.
Maurizio Pirro
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