« indietro JOSÉ HIERRO, Poesie scelte, a cura di Alessandro Ghignoli, Rimini, Raffael li editore 2004, pp. 89, €9,00.
Una poesia che emoziona, quella di José Hierro (Madrid, 1922-2002), poeta di origini santanderine, che riesce ad amalgamare – come sottolinea brillantemente il curatore dell’antologia – due tendenze artistiche fondamentali ed opposte della lirica spagnola del Novecento, «da una parte il sentire filosofico, e temporale di Antonio Machado che vedeva la poesia come luogo ‘puro’ e insieme incontaminato dalla Storia, e dall’altra la ricerca nello ‘sconosciuto’ che aderisce all’alma juanramoniana di una poesia come ‘essenza’ dell’eternità». La poesia di José Hierro nasce da una esperienza dolorosa (quella del carcere, dove è costretto, innocente, a passare più di quattro anni della sua vita subito dopo il dramma della Guerra Civile) e già dalle sue prime raccolte, Tierra sin nosotros e Alegría (pubblicate entrambe nel 1947), è possibile rilevare quei tratti che accomuneranno la sua esperienza lirica e che costituiscono il leitmotiv di tutta la sua parabola creativa. Da una parte, la consapevolezza lucida e, nel contempo, dolorosa di una perdita, legata al proprio passato, e che proietta nei suoi versi una sorta di spossessamento, e, dall’altra, il tentativo di superamento di questa esperienza, grazie alla riflessione sulla transitorietà della vita e sull’esercizio della parola poetica, che l’autore vive come scoperta, come fatto gioioso e rivelatore e, soprattutto, come compartecipazione. Questi due «percorsi congiunti», le cui coordinate possono fissarsi – come sottolinea l’Introduzione –, tra la razionalità del «reportage» e l’irrazionalità delle «allucinazioni», e che già dall’inizio si coagulano in un complesso tematico-emotivo, fatto di perdita e di integrazione, sono sorretti da un accento personalissimo, da un linguaggio asciutto, ‘transparente’, e da una energia espressiva di chiaro segno novecentesco (tra le sue frequentazioni ci sono da annoverare anche Gerardo Diego e Rafael Alberti), che il curatore riesce a mantenere o a ricreare nella traduzione italiana del testo a fronte con rarissimi cedimenti. Scrive il poeta: «Cuando la vida se detiene, / se escribe lo pasado o lo imposible / para que los demás vivan aquello / que ya vivió (o no vivió) el poeta» (Quando la vita si ferma, / si scrive il passato o l’impossibile / per far vivere agli altri quello / che già visse (o che non visse) il poeta).
In questa antologia c’è una buona mostra di quasi tutte le sue raccolte poetiche. Il motivo dell’ossessione della perdita viene filtrato attraverso il ricordo e da questo attraverso il sogno: il passato è visto da Hierro come una perdita irrimediabile, in quanto non è più possibile riscattarlo, ma non tragga in inganno la parola «morte» che si trova associata a molti componimenti. Essa va letta soltanto come «nostalgia» e costituisce l’impulso vitale per riappropriarsi del momento: in molti componimenti, infatti, si legge nitida la consapevolezza da parte del poeta che in qualunque istante può irrompere la gioia: «Ma ci sono cose che non muoiono / e altre che mai vissero. / E ce ne sono che riempiono tutto / il nostro universo. // E non è possibile liberarsi / dal loro ricordo». Memoria che diventa – e qui risiede la grande modernità del poeta – anche ne cessità di condivisione: «Così condivideremo i nostri mondi / nel fondo dei vostri pensieri». Memoria e bisogno di comunione che avvicinano, in ultima analisi, la sua voce a una delle più autentiche di tutto il mondo ispanico, César Vallejo, di cui si rintracciano diversi echi ed una identica tensione emotiva, dovuti in parte ad analoghe esperienze esistenziali.
Francesco De Benedictis
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