« indietro POESIA ISPANOAMERICANA E BRASILIANA
a cura di Martha L. Canfield
PEDRO LASTRA, Leve canción. Antología poética, a cura di Irene Mardones C., pref. Rafael Fuentealba L., Quito, 2005, pp. 103.
Se si dovesse parlare di una generazione o di un gruppo di «Poeti professori», come è avvenuto in Spagna per la generazione di Salinas e Guillén, Pedro Lastra, cileno, nato nel 1932, dovrebbe essere sicuramente annoverato tra loro. La sua generazione, come ha osservato il più giovane Eduardo Llanos, che di quella generazione si ritiene un fortunato erede, costituisce un fenomeno speciale nella tradizione nazionale e nel contesto della poesia contemporanea del continente per ché è riuscita a consolidare ciò che nella prima metà del secolo si era configurato come tradizione poetica, vale a dire lo slancio surrealista di Neruda, l’antipoesia di Nicanor Parra, l’autobiografismo ribelle di Gonzalo Rojas, ma aprendo al tempo stesso uno spazio vasto e libero dove concezioni e atteggiamenti a volte contrapposti hanno potuto convivere produttiva mente. La breve ma precisa antologia che a Pedro Lastra dedicano in Ecuador, omaggio e riconoscimento al poeta del paese vicino, serve a far capire, da una parte quanto si stia diffondendo in tutta l’Ispanoamerica la sua voce, e dall’altra la coerenza del suo poetare lungo i decenni. Rileggendolo si sente inoltre la sua capacità di rinnovarsi pur mantenendosi fedele a se stesso, producendo metamorfosi e costanti in una miscela particolare che permette di vedere una stessa immagine dell’universo e dell’esistenza attraverso sorprese e novità dell’espressione. Nello stesso tempo, si desume una coscienza generazionale che la lunga permanenza fuori dal Cile non ha minimamente intaccato, testimoniata nel la poesia in quei riferimenti per lo più malinconici alla «nostra gioventù», così come si poteva desumere dagli studi da lui dedicati ad altri poeti più o meno coetanei, come Enrique Lihn (1929-1988) o Jorge Teillier (1935-1996).
Fratellanza ed esilio sono fra le costanti più intensamente sviluppate nella poesia di Pedro Lastra. Nella prima, intesa in senso molto vasto, si colloca un modo di cantare che ricorre ai poeti che l’hanno preceduto evitando la citazione erudita e continuando il loro discorso con l’intimità e la naturalezza di una conversazione fra amici. Ad esempio, in Ya hablaremos de nuestra juventud sembra quasi che dialoghi con Antonio Machado e che confermi la sua famosa sentenza «cantar es ir al olvido», ribadendo che «parleremo senz’altro della nostra gioventù / quasi dimenticandola [...] / Parleremo seduti nei parchi / come vent’anni prima, come trent’anni prima, / disgustati del mondo, / senza rammentare le parole, chi siamo stati, / dove era cresciuto l’amore, / quali città ci avevano ospitato».
Dell’esilio e della durissima esperienza del golpe del ’73 parlano tanti componimenti, in maniera più o meno diretta, senza scordare mai che la poesia è per Pedro Lastra mestiere costante, esempla re e redentore. Così avviene nel testo toc cante e dolcissimo dedicato a Víctor Jara: «Lascia passare gli anni, Víctor Jara, / nel tempo che verrà / nessuno potrà ricordare / l’omino scuro che ordinò la tua morte / né quelli che spararono contro di te: or mai le loro anime / si stanno corrompen do o bruciando, è lo stesso / perché l’in ferno è l’oblio. / Ma tu canterai, / cante rai per il giorno più alto e per la memoria / e allora sì, il tuo nome / illuminerà una strada, una piazza di un villaggio / dove arriverà mia madre / di nuovo con i suoi fiori e le sue lucciole / e tu e io come ieri / sapremo perché canti e la tua voce / riem pirà ancora l’aria di colombi».
M.L.C.
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