« indietro POESIA GRECA
a cura di Gabriella Macrì VASSILIS VASSILIKÒS, Poesie dall’esilio, a cura di Tino Sangiglio, Lecce, Argo 2003, pp. 113, €8,00.
Vassilikòs è lo scrittore greco più tradotto in Italia. Il suo romanzo più conosciuto è Z (1966) uscito in Italia nel 1969 con un discreto successo dovuto anche alla versione cinematografica di Costas Gavràs. L’opera poetica di Vassilikòs è, in vece, poco nota nel nostro paese, anche se alcune composizioni apparvero fin dai primi anni Settanta su antologie di poesia neogreca o su riviste letterarie. Poesie dall’esilio è la prima scelta antologica delle plaquettes poetiche pubblicate dallo scrittore tra il 1967 e il 1973 a Parigi, dove aveva fondato la casa editrice 8½. Il tratto connotativo delle raccolte, scrive nell’esaustiva prefazione Tino Sangiglio, curatore e traduttore del volumetto, è la descrizione della realtà «vissuta e sentita nei suoi piccoli e talora miserabili aspet ti, quell’interessarsi a ciò che la vita è, oggi, e a che cosa potrà e dovrà essere domani, (...) l’ansia di comunicare con la patria smarrita o lontana e con coloro che vi sono rimasti».
L’angoscia dell’esilio, la nostalgia dei profumi e degli odori della propria terra e, al contempo, la coscienza di vivere, da esiliato politico, in un paese straniero, di camminare per strade e città indefinite, sono i temi centrali della sua poesia: «Bevendo uzho Sans Rival/ mi sono ricordato/ d’antiche campagne,/ di frasi smozzicate/ fatte d’oliva e di pasturmà/ e di un pezzo di formaggio di Kithnos», rivela con malinconia in un componimento della prima raccolta, Nella notte dell’Asfalia. Le immagini poetiche di Vassilikòs sono intessute del continuo scambio tra l’autore e il paesaggio descritto che, se è quello greco, può essere animato dalla realtà angosciante della dittatura e della segregazione. La nostalgia della propria terra, dei propri cari, è presente in tutte le sue raccolte, frammista a una valenza mnestica, al clima dell’attesa, all’eterna insicurezza di chi vive una situazione precaria. Il verso è, di solito, breve, formato da settenari o ottonari, e con un linguaggio poetico denotato dalla «creazione di immagini inconsuete ed inattese in grazia del l’utilizzo di neologismi», osserva Sangiglio. Il lessema subisce la sua estensione massimale che culmina nell’omofonia «con sorprendenti rimandi onomatopeici», con una dinamica di relazione tra il soggetto e l’alterità, tra il poeta e la realtà circostante: l’«io» di Vassilikòs (che si aggrappa a segni esterni per coglierne qualcosa di positivo) è sempre relazionato a un «tu» (donna, città straniera, patria, amici, memoria, storia, alter-ego), forte mente connotato nelle sue composizioni: «Eppure troveremo la strada che cercavamo./ Tra le anfibolie e gli anfiteatri,/ tra gli anfibi e le anfipoli/ troveremo la strada che nascostamente cercavamo,/ come chi è rimasto abbacinato dalle nevi/ e gli basta davanti alla soglia/ compiere un brusco sussulto/ perché dalle sue spalle/ e dalle sue ciglia si scrollino/ i fiocchi di neve che gli impedivano di vedere.» (Cinque poesie ottimiste, 1). Nella speranza che «tempi migliori/ non tardino troppo a venire», il poeta manifesta la sua ribellione, i suoi aneliti di libertà: «Così come ti hanno ridotta, mia patria/ le briglie nell’oscura tenebra,/ non so come emergeremo insieme/ e da quali strati dovremo passare/ a respirare ancora l’ossigeno./ Ti hanno frenata nel fiore dell’adolescenza/ come il giovane puledro aggiogato/ che però non scalcia perché sa,/ dal nonno e dalla madre,/ che dovrà sempre reggere il peso/ di qualche bastardo straniero» (Così come ti hanno ridotta). I dettami e gli stilemi poetici sono quelli presenti anche nei romanzi e racconti e vedono il materializzarsi di presagi avvertiti in Z, quasi che il suo discorso narrativo trovasse conferma nell’espressione poetica. S’intreccia così una doppia linea estetica dove, asserisce Sangiglio, si individuano, motivi conduttori, «l’alienazione, (...) lo straniamento, lo strangolamento dell’uomo che si dibatte impotente (...) in un’atmosfera speso kafkiana nella quale si mescolano in con tinuazione realtà e banalità, assurdità e angoscia, logica e irrazionalità».
[G.M.]
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