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BERNARD LEWIS (a cura di), Ti amo di due amori - Le più belle poesie della tradizione araba, persiana, turca ed ebraica, traduzioni di Anna Linda Callow (arabo ed ebraico), Mario Casari (persiano), Roberta Denaro (turco) e Annalisa Merlino (dall’inglese dell’edizione originale), introduzione di Bernard Lewis, Donzelli Editore, Roma 2003, Collana Narrativa.
Nell’ampia e onnicomprensiva introduzione, Lewis illustra il suo tentativo di andare oltre le frontiere geografiche, culturali e linguistiche tra le singole tradizioni, individuando il parametro di fondamentale unità nell’autorità poetica della cultura dominante, arabo-islamica, dai generi e canoni ben definiti. La forte distanza tra i limiti temporali dell’antologia e la restrizione a 129 testi non neglige la rappresentazione delle singole componenti identitarie e delle voci poetiche più eterogenee. Poeti neri come Suhaym (m. 660) e Nusayb Ibn Rabah (m. 726), che infondono la fierezza della négritude nei versi e nei ritmi intensi e preziosi dello stile arabo più rigoroso, o l’albanese Yahya di Tashlica (m. 1575), che compone in turco un elogio alla sua stirpe. Il persiano Nezami (XII secolo) rielabora la storia del re sasanide Cosroe Parviz (m. 628) e dell’amata Shirin, riscrivendo (e rileggendo) l’immaginario dell’epica iranica alla luce della nuova sensibilità araba. È ben evidente, tuttavia, che quando un poeta ebreo dell’XI secolo, Shlomo Ibn Gabirol, usa nell’inneggiare a Dio la metafora di ‘rocca’, di ‘rifugio’ e di chiara la propria impotenza senza la grazia divina, il riferimento intertestuale ‘naturale’ è da istituire con le forme poetiche della tradizione ebraica, in questo caso con le invocazioni del Libro dei Salmi [2].
L’assenza del testo a fronte penalizza, com’è ovvio, il lettore specializzato; la traduzione gode tuttavia di uno stile ‘naturale’, che ha il doppio pregio di una lingua semplice e attua le, senza artifici, e di un’efficace resa delle immagini e dei movimenti ritmici del testo – quasi una vittoria per lingue come l’arabo, in cui spesso il valore estetico è affidato alla complessità del periodo e ai preziosismi arcaizzanti del lessico. Gli interventi dei traduttori, nella prima parte del volume, con chiarezza e rigore illustrano le strategie, i criteri usati e le difficoltà della resa. È un caso raro e degno di nota, se tradurre è interpretare e il traduttore mette al servizio del testo una prospettiva co munque individuale, il background di formazione e l’orientamento personale e ‘storico’ su cui fonda il rapporto con il mondo.
Tradurre è in un altro senso tradurre (trasferire) l’alterità nei nostri mondi possibili: la poesia orientale ci parla di schiavi e cammelli, di occhi segnati dal kohl, di notti d’incenso e giardini odorosi. Ma il gioco è senza tempo nel campo comune del senso poetico e nelle nuove strade che apre allo sguardo: così per Ibn al-‘Arabi (1165-1240) «l’amore siede come un sultano» nell’anima, per Ibn Sahl al-Andalusi (1212-1251) i rami sono «la schiera di lance», le foglie «le bandiere spiegate» della primavera, mentre il turco Seyh Galib (1757-1799) ha sul petto, incise dall’amore divino, «ferite come tulipani». E, in giorni in cui all’affermazione dell’alterità si attribuisce la carica polemica dello ‘scontro delle civiltà’, della chiusura nell’integralismo e quindi della distanza incolmabile, vale la pena leggere la dichiarazione di tolleranza di un autore anonimo: «[il mio cuore è] un tempio di idoli, una Ka‘ba per il pellegrino,/ le tavole della Torah, il sacro Libro del Corano. / Solo l’amore è la mia reli gione, e in qualunque modo / Si voltino i suoi cavalli, quella è la mia fede e il mio credo».
Fulvia Di Luca
NOTE
1 Princeton University Press, Princeton e Woodstock 2001.
2 Il legame con la tradizione biblica non è solo tematico-contenutistico ma investe anche l’andamento strofico: «All’alba ti cerco / mia rocca e mio rifugio,/ mattina e sera prego / al tuo cospetto./ Mi fermo sgomento / dinanzi alla tua gloria [...] perciò ti loderò / finché sarà in me anima divina!, cfr. Salmo 62 (63), 1-5: O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco [...] Così nel santuario ti ho cercato,/ per contemplare la tua potenza e la tua gloria. [...] Così ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani». ¬ top of page |
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