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POESIA GRECA
 
a cura di Gabriella Macrì
 
MICHALIS GANÀS, La Grecia, sai..., a cura di Paola Maria Minucci, Roma, Donzelli 2004, pp. 201, 12,00.
 
Il titolo è tratto dal primo verso del primo componimento che appare in questo volume di poesie tradotte con eleganza da Paola Minucci e delle quali verranno forniti alcuni esempi. La Grecia, sai... comprende la produzione poetica più significativa di Michalis Ganàs, nato nel 1944 in un paese dell’Epiro. Ganàs appartiene, anche se con una produzione tardiva, alla generazione dei poeti degli anni Settanta (Ghiannis Varvèris, Antonis Fostieris, Nasos Vaghenàs, Jenny Mastoraki, Maria Lainà, poeti ormai noti ai lettori italiani per via delle traduzioni apparse su riviste letterarie o in antologie poetiche). La sua scrittura segue inizialmente i percorsi delle memorie infantili del dopoguerra e della vita da profugo vissuta in Ungheria nei primi anni ’50. Sono esperienze di vita che incideranno profondamente nella memoria biografica del poeta, e che la Minucci sottolinea nella postfazione dal titolo non casuale La poesia arriva da lontano: «la memoria arriva da lontano, viene, torna, carica di una profonda intensità emotiva e rivendica, con impeto e irruenza, il pro prio posto nel presente. (...) Vengono, viene, torna, sono forme verbali incredibilmente ricorrenti in Ganàs». La memoria svolge una funzione primaria anche nella seconda raccolta poetica, Pietre nere (1980), dove la parola evocativa tenta di armonizzare il trascorrere del tempo, in teso come flusso vitale, con la coscienza di essere un deracinè e con l’angoscia della morte, nucleo tematico costante nel suo canto: «Soffio il fumo, dritto negli occhi del cielo. Cade, cammina con le mani, la morte passa rasente, mi schizza.// Se la morte è una fonte che scorre e non la nera pallottola che dicono. Non la nera pallottola che dicono» (X). La memoria personale è il motivo poetico che percorre anche la prima parte della raccolta successiva, Cristallina Ghiànnina (1989), sud divisa in tre sezioni. La seconda sezione, la più interessante, si apre con una nuova prospettiva di osservazione della realtà, come la descrizione del profondo quanto difficile rapporto padre-figlio in Storia di Natale. In questo componimento l’acuto studioso greco Gh. P. Savidis ha ritrovato nel verso «Diventare padre di mio padre» un’eco dell’endecasillabo «Vergine madre, figlia del tuo figlio», mentre le ultime tre strofe, osserva la Minucci, «sono una variante di una nota ninna-nanna popolare greca». I legami di continuità con la sezione precedente sono confermati dalla tendenza verso un maggiore intimismo. Il motivo chiave della terza sezione è invece il rapporto dinamico tra Eros e Thanatos: «Se ti ho amato e ti amo ancora/ anche se non è più come in passato,/ non vuol dire che sia morto l’amore,/ forse si è stancato come ogni cosa che respira» (Personale). Il rapporto tra Amore e Morte diventa un legame di continuità con la raccolta successiva, Ballate, del 1993 (il cui titolo è ispirato, secondo Savidis, alle Ballate del poeta Miltos Sachturis) e che valse a Ganàs il Premio Nazionale greco per la poesia: «Se qualcuno deve parlare che allora parli dell’amore», dichiara ripetutamente il poeta in questa sezione. Ma l’Eros assume una connotazione di morte nei versi ispirati a un fatto di cronaca e allora «se qualcuno deve parlare che sia Grigoris Raptis», l’imputato che «ucciderà– davanti ai carcerieri – una donna,/ il suo avvocato, la vigilia del processo» (Se qualcuno). L’altro motivo ricorrente in questi componimenti è la memoria autobiografica evidente, nella prima parte della raccolta, già nell’incipit «Vengono giorni in cui dimentico chi sono» e che si espande in tutta la silloge anche sotto l’aspetto di memoria onirica: «Il rossetto nero/ m’imprime sulle labbra torpide come crepuscolo e/ in un vago sorriso scompari, gli occhi umidi e bionda./ Tu non sei mai stata bionda./ E mi svegliai.» (Stai in piedi dietro i cancelli...). Memoria autobiografica, Eros e Thanatos trovano alimento in un rapporto con la natura, e per il poeta il paesaggio naturale svolge una funzione di sintesi tra mondo oggettivo e mondo soggettivo: «È l’alba. Profumo d’invisibile basilico/ ma la giornata è incerta e ansiosa./ Do qui il benvenuto alla luce/ prima che mi metta in ginocchio/ aprendo una fessura nella memoria» (È l’alba...). La ballata è un genere poetico che appartiene alla tradizione greca, e Ganàs nella sua raccolta utilizza anche la tradizionale struttura versificatoria di 15 sillabe: «la raccolta si sviluppa evitando la rigidità stilemica, e con una libertà versificatoria che si estende dall’uso del verso quindicisillabo e dell’hai-kai giapponese al verso libero e al dialogo teatrale», dichiara il nostro. Il verso breve giapponese domina nell’ultima raccolta, Poesie brevi (2000) che riunisce sessantasei poesie brevi composte nel periodo 1969-1999. Esse «testimoniano un altro aspetto della sua opera: l’ironia e la lapidarietà, che si evidenzia quanto mai in questi brevi hai-kai», osserva la curatrice: «Sei mare insonne/ nella mia manciata di mondo.// Respiri e m’inondi».
 
Gabriella Macrì
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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