« indietro UNA STRANA GIOIA DI TRADURRE di André Ughetto
Vorrei esporre la lezione che ho tratto dal lavoro di Jaccottet per Le mura di Pistoia. Possiedo un insieme di note in cui Jaccottet ne commenta le difficoltà. Le riassumerò soltanto, precisando che il loro ricordo ha sempre guidato il mio lavoro ulteriore di traduttore. In questa bella esperienza ho vissuto un po’ come ‘discepolo’, davanti a Jaccottet ‘maestro’. Nell’esercizio della traduzione lavorare in coppia è stato e rimane per me una frequente e soddisfacente attività. Ho cominciato così, quando leggevo Petrarca, nella casa paterna di L’Isle-sur-la-Sorgue, con Christian Guilleau, editore del «Lamparo» (rivista e libri); questo amico, oggi e troppo presto sparito, è stato con me il traduttore di una prima antologia del Canzoniere che sarà poi ripresa dalle edizioni La Différence (Parigi) e più tardi aumentata per una publicazione del Bois d’Orion editore (Isle-sur-la-Sorgue 2002). Darò qualche esempio delle osservazioni di Jaccottet portatrici di soluzione e d’insegnamento per me. In Prosa nenciale per Eva, qual è il significato esatto di «Alza la gonna / la lavandaia sul fiume…»? Sarebbe la sua gonna (in francese: retrousse sa jupe) o quella che sta lavando, piegata «sulla pietra reclina nell’acqua»? Posto davanti all’alternativa, avrei tentato di mantenere le due possibilità, traducendo La lavandière / relève sur la rivière la jupe... Per Il canto di un passero, il consiglio maggiore di Jaccottet era stato di rimanere il più prossimo alla sintassi originale e di non evitare le ripetizioni – di parole o di costruzioni sintatiche – presenti nel testo originale. Questa raccomandazione, che valeva per tutte le poesie, è rimasta iscritta nella mia memoria e costituisce un principio che non soffrirà più eccezioni. In una sua lettera, Jaccottet mi scrive che ha un ascolto «personale» della poesia bigongiariana, e capisco che le nostre due traduzioni, malgrado le nostre sensibilità naturalmente diverse, devono trovare una sorta di convergenza necessaria al nostro connubio. Questa nota mi pare molto importante. Traduttore-poeta, Jaccottet ricerca l’empatia (o almeno la simpatia!) con l’altra poesia, che è la poesia di un altro, ma che diventa, sotto la sua responsabilità, una parte intima del suo esperimento poetico. Anch’io lo dirò: traduttore, sono servitore di un testo, e cerco per lui il meglio. Impegno contrattuale, fondato sul riconoscimento della qualità poetica, ottenuta nella ripercussione in me dell’opera straniera, letta e a poco a poco penetrata: ci vuole tempo per formare in me la più esatta immagine della poesia altrui; insomma l’ascolto personale, privato, al quale alludeva Jaccottet. Parecchie volte Jaccottet, rileggendo Le mura di Pistoia, esclama: «che bella poesia! molto sottile, molto difficile da rendere con le sue sfumature»; lo dice soprattutto davanti a Colle, Senza canto, Risalendo con Mario la valle dell’Orsigna, Rientrando, Inno secondo in cui le immagini della luna splendente evocano per lui Goethe e Leopardi; o quando la poesia All’Arno gli rammenta i famosi Fiumi di Ungaretti («Questo è l’Isonzo…» paragonato a «È questo il Giordano del mio battesimo di uomo…»). Ci sono, nella sua mente, reminescenze magnifiche che risuonano nelle sue traduzioni e di cui mi dà la chiave per le mie. I casi più difficili sono stati dibattuti oralmente fra di noi. E poi ci ha aiutati Bigongiari stesso, al quale telefonavo quando tale parola sconosciuta dei nostri dizionari poteva essere un effetto di ‘toscanità’. Radunando le mie domande ho sempre ottenuto belle e dettagliate risposte, di cui testimoniano le lettere di lui ritrovate nell’incarto che per fortuna ho serbato (contiene le mie traduzioni manoscritte, prima di essere dattilografate e mandate a Jaccottet). Per salvare il sentimento poetico, pur essendo sempre fedeli al senso dei versi tradotti, bisogna essere molto attenti alla loro musicalità, se questa è percettibile nell’originale. Per esempio: alla fine dell’Inno secondo, tradurre letteralmente «il canto inatteso del gallo» – le chant inattendu du coq – fa sorgere tre dentali di seguito. Non cambia molto il senso scrivendo: le chant brusque du coq (con un’interessante allitterazione in [k]). Così il compito di tradurre esige molte riprese e revisioni del lavoro compiuto prima. Infatti mi pare un personaggio abbastanza simbolico della nostra situazione, quello di Sisifo con la sua pietra sempre da far salire sul colle da dove subito scende rotolando, Sisifo che, secondo Albert Camus, si deve pure immaginare «felice».
André Ughetto è nato nel 1942 à l’Isle-sur-la-Sorgue nel Vaucluse. Poeta, traduttore, critico letterario, conferenziere, talvolta regista, membro del consiglio di redazione delle riviste «Autre Sud» e «Les Archers» (Marsiglia). Poesia: Qui saigne signe (SUD-Poésie 1990); Rues de la forêt belle (Le Taillis Pré 2004). Traduzioni: Les Remparts de Pistoia, di Piero Bigongiari (con Philippe Jaccottet, 1992); La Garde, poesie di Fabio Doplicher (Autres Temps 2002); Ce désir obstiné, je le dois aux étoiles, antologia dal Canzoniere di Petrarca (2002); Luna velata, poesie di Andrea Raos, traduzione collettiva (cipM Les Comptoirs de la Nouvelle B. S. 2003); Huit Temps pour un présage, di Bruno Rombi (Autres Temps 2004); Chroniques de la vie incertaine, di Eugenio de Signoribus (nella rivista «Fario» 2009). Poesie tradotte ai «Mattutini»: Promenade à la Villa d’Hadrien e Sur «Aphrodite tentant de retenir Adonis lorsque celui-ci se dispose à partir pour la chasse où il trouvera la mort», peinture du Titien sono state pubblicate in «Autre Sud», n. 41, giugno 2008. Rome Revoir vi era apparsa n. 37, giugno 2007. Sur «Aphrodite... » era già stata pubblicata negli Stati Uniti (ma in francese) nel n. 64 di «Osiris», 2007.
Due poesie di André Ughetto tradotte da Paolo Fabrizio Iacuzzi
Una poesia di Paolo Fabrizio Iacuzzi tradotta da André Ughetto
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