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ESERCIZI NELL’UMORISMOE NELL’AMICIZIA

di Angèle Paoli

 

Tradurre dall’italiano al francese è sempre stato per me un desiderio profondo. Un lavoro essenziale per capire la lingua dall’interno, un lavoro difficile ed esigente, soprattutto per quanto riguarda la poesia. Paradossalmente, ho cominciato a praticare veramente la traduzione con la traduzione della poesia. E ho cominciato a interessarmi alla traduzione della poesia con la rivoluzione internet.

 Con internet, tutto è diventato possibile. Quello che era impensabile con la carta e il libro, è diventato subito una realtà. È un lavoro quasi quotidiano. Far conoscere la poesia italiana in Francia era finora riservato ai soli editori francesi; procurarsi poesie in lingua originale è sempre stata una difficoltà. Con l’esplosione dei ‘blog’ interessati alla poesia è cambiato il mondo della poesia e il mondo della traduzione. In Francia e in Italia.

Per quanto riguarda la mia rivista online «Terres de femmes» (http://terresdefemmes.blogs.com) ho cominciato a lavorare alla traduzione della poesia italiana da sola. Progressivamente, incontrando altre persone interessate alla poesia, ho cambiato il mio modo di lavorare. Scambiare traduzioni tra francesi e italiani è diventata una realtà. È un lavoro esaltante che richiede apertura e riflessione. Tradurre poesie concede l’occasione di darci le spiegazioni necessarie per la buona interpretazione del testo e la sua messa in forma nell’altra lingua. Un lavoro rigoroso ed esigente, difficile ma appassionante che mi piace condividere con amici.

Per me, lo scambio con Pistoia è stato un modo di proseguire il lavoro iniziato sulla Tela. E di concretizzare in diretta la mia esperienza di traduttrice. Lavorare con altri poeti, così diversi come quelli che abbiamo incontrato nell’«atelier» di Pistoia è stato un lavoro prezioso. Condividere idee sul modo più preciso di avvicinare un testo, allargare la riflessione all’etimologia delle parole, è stato esaltante. Ma scoprire il senso segreto del testo, capire una poesia dall’interno, facendone riaffiorare tutto l’implicito, si è rivelata un’esperienza indimenticabile. Questi esercizi, celebrati nell’amicizia e nell’umorismo, ci hanno permesso di seguire il poeta nei meandri della sua sensibilità. Un altro problema è stato rendere nell’altra lingua lo spirito della poesia; far sorgere in un numero minimo di parole tutto il contenuto di un verso, il senso profondo e nascosto del testo.

Mi è piaciuto molto lavorare alla traduzione della poesia di Alessandro Ceni, adattarmi al suo mondo, all’ampiezza della sua frase, dei suoi versi. Fare mia questa poesia del soffio, dal respiro lungo. Poesia del senso, quella del poeta, nutrita da un antico passato, ancorato nella memoria. Poesia allo stesso tempo mitica e viva. Ricca di immagini personali e originali, che rimandano all’universo mentale di tutti.

 

(Autotraduzione di Angèle Paoli)

 

Angèle Paoli, originaria del Capicorsu (Corsica), è nata a Bastia. Ha vissuto molti anni in Piccardia, dove ha insegnato il francese e l’italiano prima di tornare a vivere nel suo paesino di Canari. Nel dicembre del 2004 fonda la ‘rivista letteraria, artistica e capi-corsara’ «Terres de femmes». Opere: Noir écrin, raccolta di poesie, edizione A Fior di Carta, Barrettali (Haute-Corse) 2007; Manfarinu, l’âne de Noël, racconto dell’avvento (in francese e in lingua corsa), ivi 2007; À l’aplomb du mur blanc e Corps y es-tu ?, due libri di artista illustrati e realizzati da Véronique Agostini, edizioni Les Aresquiers, Frontignan 2008 e 2009; Lalla ou le chant des sables, racconto-poema, Edizioni Terres de femmes, Canari (Haute-Corse) 2008. Poesie tradotte ai «Mattutini»: Limon de haut vertige è stato publicato nella rivista «Les Archers», n. 16, maggio 2009; la poesia L’orée è inedita.

 

 

 

 

Due poesie di Angèle Paoli tradotte da Alessandro Ceni

 

ORÉE

 

Orée où j’entends bouche – ta bouche soluble

os de seiche édenté – du plus loin qu’il me revienne

que dit la bouche d’encre – creux d’orages

j’interpelle les vents pommadés vert

je tends l’oreille aveugle aux voix contraires

je hèle-hisse tes paroles tirées de l’entre-deux

où tombées sinon dans l’oracle

– âcre l’encens agaçant les seuils –

labyrinthe d’échos du dehors du dedans

les morts et les vivants

coassent copulant à l’orée du bois or

ogre y es-tu que fais-tu où dors-tu

peut-être assoupi en un répit-refuge

enroulé de feuillages à froisser-fuir

dois-je me garder – esprit en éveil –

des rives en tumulte traquées

par flots ouverts

 

– Osiris te voilà

 

d’où viens-tu dispersé à l’orée du bois or

corps et âme errants à l’abandon du jour

de quelle rage – victime abolie – vagis-tu

quelle lame fiévreuse a fouaillé tes fibres

dépecé os et peaux tes membres alentour

disloqué épouillé jeté sans sépulture

au cloaque fécal

qui donc sinon ta sœur

infatigable Isis

peut rassembler tes os

délavés par la vague

sans cesse travaillée

de rêves

hivernaux.

 

 

LIMON DE HAUTE VERTIGE

 

À l’envers de tout le matin reflue vers la nuit

entre ciels d’éveil et terres d’ombres

les marches à rebours vers l’obscur et la rampe

escalier inversé en quel sens prendre se déprendre

monter descendre décentrer

comment mettre un pied

derrière devant dessous dessus arrière l’autre

attendre là-haut sous les toits le sommet

dérobé de l’antre jonction des marches et du seuil

ramper ventre à terre laminé s’accrocher singe

[habile

au revers des planches tablettes volée

échelle de la déraison

qui t’oblige ange déchu

livré au soliloque du vent

à grimper tête en bas

l’escalier enlové

 

mains crispées au timon de la rampe tu te hisses

limon de haut vertige vers un point qui t’échappe

fuit se refuse et là-haut un gouffre blanc

de presque lumière une béance qui s’enlargit

à mesure et au fur que l’escalier élance son hélice

et sa spirale hisse vers le ciel dévasté

de ta chambre-navire

 

sagittaire lancé

au giron de ta nuit.

LIMITARE

 

Limitare dove odo bocca – la tua bocca solubile

osso di seppia sdentato – da più in là che mi rammenti

che dice la bocca d’inchiostro – incavo di burrasche

io apostrofo i venti impomatati verde

tendo l’orecchio cieco alle voci contrarie

chiamo-isso le tue parole tirate dal giusto mezzo

dove cadute se non nell’oracolo

– acre l’incenso infastidendo le soglie –

labirinto di echi da fuori da dentro

i morti e i viventi

gracidando copulanti al limitare del bosco aureo

orco ci sei che fai tu dove dormi tu

forse assopito in una tregua-rifugio

arrotolato di fogliame da sgusciare-fuggire

devo io guardarmi – spirito in erta –

dalle rive in tumulto braccate

dai flutti aperti

 

– Osiride eccoti

 

donde vieni tu sparso al limitare del bosco aureo

corpo e anima erranti all’abbandono del giorno

da quale rabbia – vittima abolita – vagisci tu

quale ondata febbrile ha sferzato le tue fibre

tagliato a pezzi ossa e pelli le tue membra all’intorno

slogato spidocchiato gettato senza sepultura

nella cloaca fecale

chi dunque se non tua sorella

infaticabile Iside

può radunare le tue ossa

dilavate dall’onda

senza posa lavorate

da sogni

invernali.

 

 

LIMO D’ALTA VERTIGINE

 

In totale rovescio il mattino rifluisce verso la notte

tra cieli di risveglio e terre d’ombra

i gradini al contrario verso il buio e la ringhiera

scala invertita su quale senso imbrigliare si sbroglia

salire scendere decentrare

come mettere un piede

dietro davanti disotto disopra indietro l’altro

raggiungere lassù sotto i tetti la cima

derubata dell’antro giunzione di gradini e di soglia

strisciare ventre a terra assottigliata aggrapparsi abile

[scimmia

al rovescio delle assi tavolette involata

scaletta dell’insensatezza

che ti obbliga angelo caduto

in balìa del soliloquio del vento

a rampicare testa in giù

la scala inciambellata

 

mani contratte sul timone della ringhiera tu ti issi

limo di alta vertigine verso un punto che ti scappa

sfuggito si nega e lassù un baratro bianco

di quasi luce uno spacco che s’inlarga

via via volta volta che la scala slancia la sua elica

e la sua spirale issa verso il cielo devastato

della tua camera-nave

 

sagittario lanciato

al grembo della tua notte

 

Una poesia di Alessandro Ceni tradotta da Angèle Paoli

 

XI

 

Tu che non sei di questo mondo e sei nella polvere

e siedi alla parte breve del tavolo

estrai dalla tasca il bosco e dal bosco te stesso,

coi tuoi pensieri stesi ad asciugare sul greto

del fiume essiccato come cordicelle annodate

da un bambino estivo, che raso sull’erba

scocchi festuche marine alla terra e

al passo dei tordi proietti la prua di pigne

del promontorio nel ceduo del mare aperto,

dove al medesimo intento le cieche aringhe

migrano e sprofondano.

Semplicemente, in una radura nel bosco,

cucita alla fronda più alta la civetta inchioda

alle loro piume come a peccati falangi d’uccelli,

schiere di alati perduti, cori di rimprovero e di

[pianto

mentre tu avvicinandoti alla nave spaziale

giunta infine a riprenderti fai il gesto

di estrarre anche questa cosa dalla tasca.

XI

 

Toi qui n’es plus de ce monde

toi qui es dans la poussière

toi qui sièges à l’étroit de la table

tu tires de ta poche le bois et du bois c’est toi que tu

[extrais

avec tes pensées étendues à sécher sur la rive

du fleuve asséché comme cordelettes nouées

par un gamin l’été, au ras de l’herbe

tu décoches des fétus de mer à la terre et

au passage des grives tu projettes la proue des pignes

du promontoire jusque dans le taillis de la mer ouverte,

où, dans le même mouvement, migrent et plongent

les harengs aveugles.

Simplement, dans une clairière du bois,

cousue au plus haut du feuillage la chouette cloue

à leurs plumes comme aux péchés une foule d’oiseaux,

cohortes de volatiles perdus, chœurs de reproches

[et de pleurs

tandis que toi qui te rapproches du vaisseau spatial

enfin rejoint pour te reprendre tu fais le geste

d’extraire aussi cette chose de ta poche.

(Da Mattoni per l’altare del fuoco, Jaca Book, Milano 2002)


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