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BIGONGIARI ITALO-FRANCESE

Intervista a Enza Biagini

a cura di Ilaria Tagliaferri

 

Per definire la centralità che nell’opera di Bigongiari assume la Francia, Iacuzzi, con una paradossale provocazione, di doppia, inscindibile, cittadinanza italo-francese di Bigongiari.

Una cittadinanza al centro dell’Europa, perché il poeta e critico ha fatto della salvaguardia della dimensione europea della cultura la sua prima battaglia, in un quadro dove la conquista della personalità nella scrittura, del personaggio Io in rapporto all’altro, è tutt’uno con la ricostruzione di un’unica civiltà che dalla Grecia all’Egitto, dall’ebraismo ai grandi mistici cristiani, punta a interrogare e ridefinire i paradigmi della nostra civiltà alle soglie dell’epoca globale. Ne abbiamo parlato con Enza Biagini, allieva di Bigongiari e docente all’Università di Firenze.

 

 

LE TRADUZIONI IN FRANCESE

Nel suo intervento su Bigongiari a Pistoia il 22 aprile 2009, parlando delle traduzioni delle poesie di Bigongiari in francese, lei ha analizzato l’esempio di Stazione di Pistoia (da Le mura di Pistoia)[1] tradotta sia da Fongaro che da Ughetto[2].  Quali sono le principali differenze fra i due traduttori e del modo di tradurre Bigongiari? Quali differenze invece fra le poesie tradotte da Fongaro e Jaccottet?

La comparazione di traduzione è, da un lato, un’operazione azzardata e forse inutile; dall’altro, la dobbiamo pensare secondo una logica che può essere comparativa ma non valutativa: due traduttori producono, come è pensabile, traduzioni non sovrapponibili, perché sono guidati da diversa sensibilità linguistica e da criteri interpretativi diversi del testo originale. In primo luogo, occorre abbandonare dunque l’ottica di una valutazione volta a stabilire la maggiore o minore riuscita. Nella fattispecie, nella differenza tra le traduzioni di alcuni testi delle Mura di Pistoia di Ughetto e Fongaro è interessante capire perché nei due testi ci siano soltanto tre versi identici. Una lettura veloce fa rilevare subito che Fongaro, traduttore e critico ‘di mestiere’, guarda soprattutto alle questioni di significato, alla resa del senso, mentre quella di Ughetto si rivela una traduzione d’autore, di un poeta che traduce un altro poeta, che lo interpreta e lo riscrive secondo i propri ritmi. La traduzione di Fongaro appare più fedele al testo originale, mentre quella di Ughetto risulta più efficace esteticamente: ma questo paragone può apparire arbitrario, finendo per svalutare «l’atto di disperazione» necessario che è la traduzione, come la definisce Bigongiari stesso[3]. Ciò che risulta interessante nella traduzione non è soltanto la richiesta di rispetto del senso della lingua d’origine, ma l’effetto di senso che la traduzione provoca nel contesto della lingua di arrivo. Se è vero, come ha ricordato Jacqueline Risset, citando Susan Bassnet, che «la traduzione è un atto di liberazione che crea uno spazio nuovo nella lingua d’arrivo»[4], per valutarne gli effetti può non essere sufficiente usare solo criteri estetici oppure di ‘fedeltà’. Penso che la preoccupazione di Fongaro di «rendere ragione del senso» della poesia di Bigongiari emerga anche nella corrispondenza con Bigongiari, nei passaggi in cui il traduttore cerca di mostrare come il termine ‘ermetismo’, che connota negativamente la poesia di Bigongiari, tutto sommato, corrisponda proprio a uno sprofondamento nel significato, che spinge i traduttori alla ricerca di spiegazioni, di «chiarimenti testuali»[5].

Nella poesia Stazione di Pistoia le uniche convergenze sono nei versi 17-18: et une tranchée creusée dans la glace / te conduisait a une entrée où les cravaches; e nel verso 25: et d’amour et de mort sur le marches. In entrambi i casi si tratta di traduzioni letterali perché sono situazioni in cui il senso e l’immagine combaciano. Lo sprofondamento nel significato è stato percepito all’unisono. Ma si veda il primo verso della poesia: «Il vagone lanciato per manovra / dalla locomotiva sotto il ponte / viene, trepesta sugli scambi». Ughetto traduce: Le wagon, que lance en manoeuvrant, inserendo un gerundio, mentre Fongaro sceglieva di tradurre: Le wagon lancé pour la manoeuvre. Il traduttore-poeta ha puntato a rendere l’immagine calcando sul movimento e arrivando a raggiungere una cadenza musicale quasi mimetica, mentre in Fongaro c’è una descrizione quasi statica; inoltre il suo arrive è la traduzione letterale di «viene»; invece approche, usato da Ughetto, rende meglio l’immagine-tempo dell’accadere. L’immagine del «vagone lanciato dalla locomotiva» spiega quale sia la percezione che il poeta sta costruendo: un movimento lento nel mezzo di un’azione forzata. I due traduttori hanno interpretato in modo diverso il testo originale: Fongaro ha pensato che si potessero rendere situazioni poetiche equivalenti (immagini, ritmo) con una traduzione lessicalmente equivalente, mentre Ughetto ha scelto di fermarsi sulla percezione che è stata alla base della descrizione e del fenomeno che l’ha generata: un ricordo, un’immagine che esce dalla memoria lentamente. Si tratta di due operazioni di significato differenti, da valutarsi entrambe quale positivo contributo all’arricchimento della poesia francese.

Per quanto riguarda le differenze tra Fongaro e Jaccottet, queste sono altrettanto evidenti (e i punti di contatto anche qui minimi). Citerei per esempio solo il primo distico della poesia dal titolo Sul lungarno di dicembre tra un ponte e l’altro in costruzione: «È l’acqua che ha toccato la Tua mente / Questa che scende dolcemente a valle». In Fongaro la traduzione è pressoché letterale: C’est l’eau qui a touché Ton esprit / Cette eau qui descend lentement vers l’aval. Mentre Jaccottet introduce il plurale: Ce sont les eaux qui ont touché Ton esprit / ces eaux qui doucement descendent la vallée. Notiamo che in Jaccottet la costruzione del ritmo è più vicina a quella di Bigongiari, mentre il significato, in Fongaro, come spesso accade, appare più squadernato, aperto a chi vuol comprendere. Nell’originale, è proprio l’uso al singolare dell’immagine-soggetto («l’acqua») che risulta essere necessitata dalla cadenza del ritmo anche se, tra le righe, appare come la traduzione di un plurale immaginario (religioso e biblico) in un singolare. Jaccottet, in francese, pare rimettere in piedi la tradizione e, introducendo il plurale, giunge ad un effetto ritmico-simbolico comunque di felice equivalenza con l’immagine di Bigongiari. Questo breve esempio può mostrare anche come la traduzione induca a riflettere sul meccanismo di costruzione del testo originale. Inoltre, notiamo come nei versi 10-11, «acque calme dentro la mandorla / cilestrina dei ponti», Jaccottet traduca: des eaux tranquilles dans la mandorle / azur des ponts. Qui, evidentemente, siamo vicini all’evocare l’azur di Mallarmé: il testo di arrivo dialoga anche con la poesia che è patrimonio comune della tradizione di chi legge e di chi scrive.

 

L’AVANGUARDIA: CRITICA E POESIA

Lei ha curato di recente la riedizione anastatica di Poesia francese del Novecento[6],  con alcuni inediti in appendice scritti da Bigongiari negli ultimi anni, dopo L’evento immobile. Quali sono gli elementi di attualità della critica-teoria di Bigongiari sui francesi?

Per Bigongiari l’evoluzione della poesia non parte mai dai movimenti o dalle pratiche bensì dalle figure. Questo accade anche per l’osservazione degli aspetti peculiari alla poesia francese. Per esempio, non è il Surrealismo che sollecita Bigongiari ad illustrare Rimbaud, Eluard o Breton: al contrario, il critico quasi illumina come un faro il testo e l’autore per incastonarli poi in una sorta di dialogo intrinseco ai poeti. Nella prefazione al volume, Bigongiari spiega subito di volersi appuntare sugli strumenti adoperati nella poesia: il principale è quello della lingua, da cui nasce la parole. E tutte le volte che c’è un atto di quella parole per il critico e il poeta accade qualcosa: da qui l’importanza di mostrare come nasce la storia letteraria, come si storicizza la poesia e non come le etichette vengono applicate. Gli autori francesi – da Ponge a Char, Deguy, Bonnefoy ma anche Eluard, Reverdy o, a ritroso, Mallarmé, Rimbaud... – vengono raccolti e osservati sulla falsariga dei ‘cataclismi’ che ogni opera provoca.

La sua ricerca di storicizzazione e di comprensione opera in modo che negli autori indagati emerga sempre un aspetto che deroga l’interpretazione dominante di inquadramento canonico, coinvolgendo persino la persona fisica del poeta ma solo per misurarne il gesto, il ruolo e la funzione all’interno del testo, nel convincimento che sia attraverso l’uomo che è possibile penetrare l’immaginario e il piano simbolico dei testi e, così facendo, far emergere il dissidio tra ragione e non ragione, specie quando si tratta dei movimenti d’avanguardia. Non a caso, dallo sguardo complessivo della critica di Bigongiari affiora sempre la necessaria dialettica tra razionalità e irrazionalità, mentre la tendenza dominante nella critica del Novecento è quella di considerare questi due aspetti in modo separato e antagonista. E questo è anche uno dei modi che Bigongiari utilizza per attrarre nella propria storia gli autori d’oltralpe, considerandoli compagni di strada, e tutti i poeti francesi – compresi critici quali Georges Poulet e Gaëtan Picon – a loro volta, gli riconoscono una capacità di interpretazione e di storicizzazione più illuminante di quella che è riservata loro dalla stessa critica francese. Questo può apparire clamoroso e sorprendente: ma tra Bigongiari e i poeti francesi c’è stato veramente uno scambio continuo di ricchezza culturale che nasce dal reciproco apprezzamento e rispetto, esplicitato anche nelle lettere, in un connubio di amicizia, urbanità, affetto e stima. La storia della critica, dell’arte, della poesia, degli uomini e della vita civile sono territori che in Bigongiari costituiscono un vero e proprio universo di incontro e di dialogo di voci.

Nella sua introduzione al suddetto libro lei pone l’accento sul fatto che Bigongiari nel 1968 metta in parallelo con la nuova poesia francese i movimenti poetici del nostro Novecento. Quali sono i caratteri di questa rilettura della poesia?

Con la poesia francese Bigongiari sembra correggere il panorama di quella italiana. Voglio dire che gli aspetti che sente più vicini nella poesia italiana sono profondamente somiglianti alla letteratura francese, come dimostrano i dialoghi con Caproni e Sereni, traduttori di Ponge e Char (come del resto Bigongiari stesso). La vicinanza e la distanza dai testi e dai movimenti della poesia italiana si misurano sulla sua fratellanza con la poesia francese. Con la cultura francese c’è stato l’«Humus», come dice Iacuzzi in Voci in un labirinto, la germinazione comune, il terreno di origine che ha prodotto frutti distinti ma che si illuminano a vicenda. Ne è esempio clamante il saggio Perché ho tradotto Ronsard. Il Ronsard, conosciuto come grande innovatore petrarchista, che Bigongiari traduce e celebra quasi correggendo Petrarca, è il Ronsard che sommuove la lingua poetica francese dal di dentro. Per cui l’immagine stessa di Petrarca cambia attraverso la sua operazione di traduzione: Bigongiari tende infatti al sovvertimento dei punti d’arrivo acquisiti dalla critica; perciò Ronsard gli serve a ripensare Petrarca in modo rinnovato. Insomma, Ronsard, grazie a Bigongiari, esce dalla ‘prigione’ e il petrarchismo stesso esce dal canone, da quell’etichetta di stasi poetica che poi si trasferirà sull’ermetismo, accomunando, in modo abbastanza indifferenziato, i poeti della Terza generazione, con Quasimodo, Ungaretti, Montale…

 

Lei ha posto l’accento sull’introduzione di Bigongiari a Vita del testo di Francis Ponge, il libro curato dal poeta[7]. Perché considera questa introduzione critica così importante fra i saggi di Bigongiari sulla poesia francese?

Fra i molti aspetti di questo libro – a torto spesso non citato – che potrei ricordare, vorrei evocarne uno, non rilevato altrove: ultimamente nella critica si presta molta attenzione al modo con cui la letteratura rappresenta il degradarsi della natura. In particolare, c’è una tendenza, diventata importante soprattutto negli Stati Uniti, ad interessarsi del rapporto tra letteratura e ambiente, in quella che è stata definita «ecocritica». Nell’introduzione alla poesia di Ponge (in Vita del testo), Bigongiari, che possiede una grande finezza critico-metaforica nel rendere le immagini dell’opera altrui, pone già grande attenzione ai tratti che descrivono i colori della sofferenza della natura. Parlando di Ponge (di cui ha tradotto il poema Il nuovo ragno) o di Char e altri poeti, non solo fa emergere, con la consueta sensibilità descrittiva e pittorica che gli è propria, il senso della poesia nel testo che è oggetto di lettura, ma ricostruisce il processo germinativo della poesia stessa, in modo pressoché mimetico: spesso lo rende somigliante ai processi naturali, come se (in una poesia di cui ora non ricordo il titolo), la descrizione delle foglie e dei fiori fosse altrettanto reale quanto il processo naturale del germogliare primaverile. Negli anni Settanta, i lettori di Bigongiari (tra i quali Adelia Noferi, Oreste Macrí) videro in questa tendenza una parentela con il movimento pittorico dell’informale. Ora, nella visione che si sta costruendo, che consiste nello spostare l’accento sul guardare a come il poeta ha descritto quel fiore che moriva, non in quanto correlativo simbolico della morte dell’uomo, ma in quanto rappresentazione – per così dire – dell’‘umanità’ ignorata del fiore. Potrebbe nascere un’interessante rilettura di Bigongiari: proprio quella che passa attraverso i rilievi che egli stesso ha operato, sia in Vita del testo che altrove, anticipando questa tendenza della critica.

 

 

GARE DE PISTOIA

 

Le wagon lancé pour la manoeuvre

par la locomotive sous le pont,

arrive, trépigne sur les aiguillages, et soudain

me restitue le cri du tigre

du cirque Gleigh. Des gnomons brillants

et des montagnes bleues ramènent l’été

dans le couloir où sifflent les express.

 

Tu as ta maison encerclée par les tigres,

enfant imprévoyant, parmi les lilas

pointe une trompe, la balle de la paille

s’élève parmi les jurons et au ciel

le soleil et la lune resplendissent, deux astres

qui surveillent les rires de voyageurs

immortels penchés aux fenêtres des trains.

 

Puis la neige révint, un autre cirque

plus grand avait dressé son chapiteau sur la

[Place d’Armes

et une tranchée creusée dans la glace

te conduisait à une entrée où les cravaches

des dompteurs aux brandebourgs d’or

fouettaient le temps que tu ignores

encore, le temps des tigres, le choc

 

du ciel qui par la rue de la Madone

accueillait un enfant débouchant à la course

de la rue du Vent, de ses premières larmes

et d’amour et de mort sur les marches,

sur les pauvres marches d’une maison

où habitait en robe de fillette

son illusion.

 

 

La pointe des aiguillages

séparera les vagons des tigres

de ceux des ours, des lions – et les saisons –

parmi des quais de gare où des hommes au

[travail

les foulards sur la tête attendent.

 

(Traduzione di Antoine Fongaro)

GARE DE PISTOIA

 

Le wagon, que lance en manoeuvrant

la locomotive sous le pont,

approche, hésite en trépignant sur l’aiguillage,

m’apporte, nouveauté, la voix du tigre

du cirque Gleigh. L’éclat de cadrans solaires

et des montagnes bleues rééditent l’été

dans le sillon où sifflent les express.

 

Voici ta maison cernée par les tigres,

imprudent enfant, dans les lilas

se dresse une trompe d’élephant, la balle

au van s’enlève au milieu des jurons et au ciel

brillent lune et soleil, deux astres

veillant au rire des passagers

immortels accoudés aux portières.

 

Puis ce fut de nouveau la neige, un autre cirque

plus vaste était campé sur la place d’Armes


et une tranchée creusée dans la glace

te conduisait à une entrée où les cravaches

des dompteurs à brandebourgs dorés

flagellaient le temps que tu méconnais

encore, le temps des tigres, le claquement

 

du ciel qui dans la rue Notre-Dame

recevait un garçonnet en trombe surgi

de la rue du Vent et de son premier chagrin

et d’amour et de mort sur les marches,

sur le pauvre escalier d’une maison

où vivait accoutrée en fillette

son illusion.

 


 

L’aiguille sur le rail

séparera les voitures des tigres

de celles des ours, des lions – et les saisons –

entre les quais où des hommes à leurs affaires,


la tête enturbannée de soie attendent.

 

(Traduzione di André Ughetto)

 

 

STAZIONE DI PISTOIA

 

Il vagone lanciato per manovra

dalla locomotiva sotto il ponte,

viene, trepesta sugli scambi, nuova

mi riporta la voce della tigre

del circo Gleigh. Lucenti meridiane

e monti blu riportano l’estate

nell’alveo dove fischiano i diretti.

Hai la casa attorniata dalle tigri,

improvvido bambino, tra i lillà

rispunta una proboscide, la pula

tra le bestemmie si solleva e in cielo

sole e luna risplendono, due astri

che sorvegliano il riso a passeggeri

immortali affacciati ai finestrini.

Poi ritornò la neve, un altro circo

più grande era attendato in Piazza d’Armi

e scavata nel ghiaccio una trincea

 

 

 

 

ti portava a un ingresso ove i frustini

dei domatori in alamari d’oro

fustigavano il tempo che tu ignori

ancora, il tempo delle tigri, l’urto

del cielo che per via della Madonna

accoglieva sbucato in corsa un bimbo

da via del Vento, dal suo primo piangere

e d’amore e di morte sui gradini,

sui poveri gradini d’una casa

dove abitava in vesti di fanciulla

la sua illusione.

L’ago degli scambi

dividerà i vagoni delle tigri

dagli orsi, dai leoni – e le stagioni –

tra banchine dove uomini in faccende

con gli zendadi sulla testa attendono.

 

 

SUR LE QUAI DE L’ARNO, EN DÉCEMBRE

ENTRE DEUX PONTS EN COSTRUCTION

 

C’est l’eau qui a touché Ton esprit

cette eau qui descend lentement vers l’aval

et fait bouger la rame abandonnée sur le

tolet comme la pensée du pêcheur de sable.

 

C’est l’eau du déluge, des ténèbres.

Un bleu afflige tendrement les rues

puis plus intense il est couleur d’ouragan.

 

D’un café dans la tiédeur du quai de l’Arno

je tends la main vers Toi, Seigneur des

eaux calmes dans la mandorle

azurée des ponts.

 

J’ai lâché prise,

le gouvernail de ma vie s’abandonne

au fil de ces eaux indifférentes,

où le soleil noie avec une clarté lunaire

un dernier reflet du feu primitif.

 

Ils descendent de Ton éternelle différence

qui au lac de mon coeur avait pris demeure

les premiers feux aveugles sur les rives.

 

(Traduzione di Antoine Fongaro)

 

 

SUR LE LUNGARNO EN DECEMBRE

ENTRE DEUX PONTS EN CONSTRUCTION

 

Ce sont les eaux qui ont touché Ton esprit

ces eaux qui doucement descendent la vallée

et déplacent la rame à l’abandon sur le

tolet, comme au sablonnier ses pensées.

 

Ce sont les eaux du déluge, des ténèbres.

Du bleu afflige tendrement les rues

puis plus intense est couleur d’ouragan.

 

Et d’un café dans la tiédeur du Lungarno

j’étends la main vers Toi, Seigneur

des eaux tranquilles dans la mandorle

azur des ponts.

 

J’ai lâché prise

et se soumet la barre de ma vie

au courant de ces eaux indifférentes

où le soleil d’une clarté lunaire noie

un ultime reflet du feu premier.

 

Descendent de Ton éternelle différence

qui dans le lac du coeur tant m’a duré

les premiers feux aveugles sur les rives.

 

(Traduzione di Philippe Jaccottet)

 

 

SUL LUNGARNO DI DICEMBRE,

TRA UN PONTE E L’ALTRO IN COSTRUZIONE

 

È l’acqua che ha toccato la Tua mente

questa che scende dolcemente a valle

e muove il remo abbandonato sullo

scalmo come il pensiero al renaiolo.

 

È l’acqua del diluvio, delle tenebre.

Un blu affligge tenero le strade

poi più intenso è un colore d’uragano.

 

Da un caffè nel tepore del Lungarno

stendo la mano a Te, Signore delle

 

 

 

 

 

acque calme dentro la mandorla

cilestrina dei ponti.

 

Lasciata la presa

si piega il timone della mia vita

al filo di queste acque indifferenti

dove il sole annega con luce lunare

un ultimo riflesso del fuoco primo.

 

Scendono dalla Tua eterna differenza

che nel lago del cuor m’era durata

i primi fuochi ciechi sulle rive.

 

NOTE

1 Piero Bigongiari, Le mura di Pistoia, Milano, Mondadori 1958; la raccolta è stata ripubblicata in Tutte le poesie, 1933-1963, con la raccolta inedita L’Arca, a cura di P. F. Iacuzzi, Firenze, Le Lettere 1994.

2 Ricordo le traduzioni in francese di Bigongiari raccolte in volume: Bigongiari traduit par Antoine Fongaro, nella «Collection bilingue de poésie de l’Institut Culturel Italien de Paris», Firenze, Industria Tipografica Fiorentina 1972 (un’antologia che contiene 28 testi, solo 5 estratti da Le mura di Pistoia), Ni terre ni mer, traduit de l’italien et présenté par Antoine Fongaro, Parigi, Ed. Orphée/La Différence 1994 (contiene 31 testi: una scelta poetica da Antimateria, 1972; Moses, 1979; Col dito in Terra, 1986; Nel delta del poema, 1989) ed infine, la traduzione di alcuni testi pubblicati nella rivista «Poésie 75», nel 1996. André Ughetto, invece, ha curato, insieme a Philippe Jaccottet, la traduzione di Le mura di Pistoia, con il titolo Les Remparts de Pistoia, Marseille, SUD-Poésie 1988, nuova edizione, Paris, E.L.A./La Différence 1994. Le edizioni alle quali si fa riferimento nel testo dell’intervista sono quella di Fongaro del 1972 e quella di Ughetto-Jaccottet del 1988. Bigongiari in rapporto a Jaccottet appare centrale anche nel carteggio Ungaretti-Jaccottet Jaccottet traducteur d’Ungaretti, Paris, Gallimard 2008, che completa il carteggio Ungaretti-Bigongiari La certezza della poesia. Lettere 1942-1970, a cura di Teresa Spignoli, Firenze, Polistampa 2008, fondamentale anche per capire i rapporti fra la poesia italiana e francese del Novecento.

3 Bigongiari è traduttore di poesia egli stesso (ha coordinato anche la traduzione dei romanzi di Joseph Conrad per Bompiani negli anni Cinquanta); il riferimento va inoltre a Il vento d’ottobre. Da Alcmane a Dylan Thomas, Milano, Mondadori 1961. Il volume, per altro, sarà riedito in forma accresciuta con traduzioni disperse e non raccolte. A tal proposito si rinvia alla sezione «O come Ottobre. «Il quaderno delle traduzioni ed Abroad», in Piero Bigongiari. Voci in un labirinto, a cura di P. F. Iacuzzi, Firenze, Polistampa 2000, pp. 151-156. Inoltre Bigongiari ha scritto anche contribuiti teorici: una lettera a Mariella Bettarini, Cara Mariella, tradurre per me è un atto di disperazione [1985], ora in Voci in un labirinto, cit., p. 151 e Perché ho tradotto Ronsard, in La traduzione del testo poetico, a cura di Franco Buffoni, Milano, Guerini 1988, p. 377-383 (il volume raccoglie gli Atti di un convegno tenutosi a Bergamo il 3 marzo 1988).

4 Susan Bassnet, La traduzione. Teorie e pratica, Milano, Bompiani 1993.

5 La frase deriva da una lettera che Bigongiari ha inviato ad Antoine Fongaro, un traduttore non certo sprovveduto (per altro traduttore di Luzi) che chiede lumi interpretativi ed il poeta, Bigongiari, si presta al gioco ‘traducendo’ se stesso per il suo traduttore e commentando: «visto che il poeta è vivo, trovo che sarebbe sciocco non approfittare dei suoi chiarimenti testuali» (lettera di Piero Bigongiari ad Antoine Fongaro, 17 novembre 1984, in Il poeta, l’interprete, il traduttore. Piero Bigongiari e Antoine Fongaro, in Traduzione e poesia nell’Europa del Novecento, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni 2004, p. 719. Tutte le lettere degli autori francesi scritte a Bigongiari sono conservate con altri materiali nel Fondo Piero Bigongiari della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, che conserva anche la raccolta catalogata della sua biblioteca di volumi di autori francesi (in lingua originale e in traduzione italiana).

6 Piero Bigongiari, Poesia francese del Novecento, Firenze, Vallecchi 1968 (reprint, Trento, La Finestra Editrice 2005). Recentemente è uscito il saggio di Francesca Biagini, L’approdo radiofonico. Una rivista singolarmente francese (in «L’approdo». Storia di un’avventura mediatica, a cura di Anna Dolfi e Maria Carla Papini, Roma, Bulzoni 2006, pp. 111-180), nel quale si analizza il rapporto fra Bigongiari e la rivista radiofonica diretta da Carlo Betocchi, rivista dove, fra l’altro, molti pezzi critici che compongono Poesia francese del Novecento videro la luce. I saggi successivi di Bigongiari sulla poesia francese (Char, Bonnefoy, Jaccottet, Racine ecc.) si trovano nei volumi La poesia come funzione simbolica del linguaggio, Milano, Rizzoli 1972 e L’evento immobile, Milano, Jaca Book 1986.

7 Il libro uscì presso Mondadori nel 1971: le traduzioni sono di Piero Bigongiari, Luciano Erba, Jacqueline Risset, Giuseppe Ungaretti.


 

 

 

 

 

 

 


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