« indietro PIERO BIGONGIARI IN FRANCESE di André Ughetto
In Francia[1], nelle cerchie letterarie ben informate, Bigongiari è riconosciuto come un grande poeta, ma non si può dire che sia ben conosciuto, che sia realmente apprezzato secondo l’importanza della sua opera. Forse non lo sarà nemmeno in Italia? È una domanda che faccio così, perché nessuno è, come si dice da noi, profeta in patria… Sì, il nome di Bigongiari appare sempre quando si tratta (o, più esattamente, alla fine del secolo scorso, si è trattato), in alcune riviste francesi, di poesia italiana del Novecento. Però gli autori dell’Anthologie bilingue de Poésie italienne, nella famosa collana della Pléiade, edita nel 1994, non l’hanno ritenuto all’altezza dei suoi pari e coetanei – Mario Luzi, Vittorio Sereni, Giorgio Caproni – tutti nati, se ricordo bene, tra il 1910 e il 1915. Lui era del millesimo furioso, il 1914! La dimenticanza di Bigongiari nella Bibliothèque de la Pléiade, un vero mistero per me, richiederà qualche ipotesi che mi propongo di elaborare a conclusione[2]. Perché, da tempo, il nome di Bigongiari ha attraversato il confine letterario fra le nostre nazioni. Per esempio, nel febbraio 1960, Philippe Jaccottet presentava per la prima volta in francese, nella NRF («Nouvelle Revue Française», fondata all’inizio del Novecento), tre poesie di Piero tratte da Le mura di Pistoia. Saranno il nucleo della nostra traduzione intera di questo libro. Jaccottet mi ha detto, che, tornando con Francis Ponge da Capri, dove l’autore del Parti pris des choses aveva ricevuto un premio di poesia, si erano fermati a Firenze per rendere visita a Bigongiari. Avvenne tra lui e il giovane Jaccottet (34 anni) il primo incontro: nell’autunno 1959. Bigongiari narra l’evento in un testo di cui parlerò più oltre. Un’antologia di poesia italiana in due puntate (n. 109 e 110 del 2004) è stata composta dal francese Martin Rueff (che è un bravo traduttore) per la rivista «Po&sie», fondata da Michel Deguy con l’aiuto dell’editore Belin; Rueff sembra pensare, nel n. 109, che sia stato Antoine Fongaro il primo a tradurre Bigongiari, nel 1972, cioè dodici anni dopo la pubblicazione della NRF. Rueff, nella notizia bibliografica consacrata al nostro poeta, non tiene conto né delle prime traduzioni di Jaccottet né di quella, completa, de Le mura di Pistoia. È un po’ strano, poiché Michel Deguy assisteva alla presentazione del libro (nella sua prima edizione, quella di «Sud») all’Istituto Culturale Italiano di Parigi, dove mi trovavo, accanto a Bigongiari, nella primavera del 1988. Per tre volte tuttavia – l’ultima nel 2004, per quattro poesie scritte nel 1997 dal poeta, poco prima della morte – Deguy, nella sua rivista, darà spazio ai versi di Piero. Le altre due occasioni sono state per il n. 31 del 1981 (traduzioni di Bernard Simeone e Jean-Michel Gardair) e per il n. 75 del 1996 (traduzioni di Antoine Fongaro). Nel 1972, per tornare a quel dettaglio bibliografico, è vero che, sotto il semplicissimo titolo Bigongiari, vennero pubblicate dall’Istituto Culturale Italiano di Parigi ventotto traduzioni dello stesso professor Fongaro, poesie tratte dalle raccolte poi confluite in Stato di cose, che comprende anche Le mura di Pistoia e Torre di Arnolfo. Era dunque la prima volta che il nome del poeta appariva da solo sulla copertina di un libro in francese (con testo a fronte). Adesso parlerò un po’ di me per spiegare in quali circostanze il mio cammino ha incrociato quello di Piero. Nei primi anni Settanta, ero professore (di letteratura francese) in una piccola città del dipartimento di Vaucluse (Valchiusa, che deve il suo nome alla famosa fonte vicino alla quale Petrarca ha spesso trovato la calma e l’ispirazione). Valréas però è situata nel Nord Vaucluse, in un luogo chiamato L’Enclave des Papes, perché i papi d’Avignone possedevano là vigneti per il vino da messa, eccellente. Questa enclave, l’inclusione di un dipartimento in un altro o territorio incastrato, è nelle vicinanze della Drôme e, tra le piccole città di quell’altro dipartimento, Grignan si trova a dieci chilometri da Valréas. Il villaggio di Grignan è sormontato da un bel castello dove ha vissuto, nel Seicento, la carissima figlia di Madame de Sévigné, famosa, lei, per le sue lettere che dicono molto sullo stato della Francia e della corte di Francia all’epoca. Philippe Jaccottet abita ai piedi del castello. L’ho incontrato la prima volta con sua moglie Anne-Marie, che è una pittrice oggi abbastanza conosciuta, in un cinema di Valréas. Venivano al cineclub, soprattutto quando c’era un bel film italiano in programma – in quell’«età d’oro del cinema italiano», su cui regnava Fellini. Una sera prese la parola, a proposito di Fellini-Roma, un uomo che vedevo per la prima volta e che espresse, seduto tra il pubblico (io gli stavo proprio davanti come animatore), idee interessantissime sul quel film affascinante. Era Jaccottet che parlava, me lo disse il padrone del cinema; Jaccottet, di cui da poco avevo letto Paysages avec figures absentes, pubblicato da Gallimard nel 1970, libro nel quale c’erano descrizioni della regione dove cominciava la mia vita nova. L’anno seguente, incaricato in una classe di liceali nella quale vi era Antoine, il figlio di Philippe e Anne-Marie, diventai – credo di poterlo dire – un loro amico, prendendo gradualmente familiarità con l’opera scritta e dipinta dell’uno e dell’altra. Per tre anni fummo vicini, mentre la domenica, o nel weekend, quando tornavo con mia moglie Roseline e i ragazzi, Fabrice e Remy a L’Isle-sur-la-Sorgue dove sono nato (a sette chilometri della fonte valchiusana già evocata), andavo spesso a trovare René Char, anche lui nativo di L’Isle-sur-la-Sorgue; René Char, che avevo incontrato almeno dieci anni prima (nel 1961) e che ho frequentato fino al 1976. E Char fa parte dei poeti del Novecento francese tradotti da Bigongiari. Nel 1973, essendo chiamato in un altro liceo, e a Marsiglia, cioè a 160 km da Valréas, sono progressivamente diventato un collaboratore della rivista «Sud», che usciva a Marsiglia, pur non essendo ‘regionale’, e che era (sotto certi aspetti) erede della rivista «Les Cahiers du Sud», molto celebrata dopo la sua chiusura nel 1966. So che Bigongiari ha avuto contatti con questa rivista nel dopoguerra, e un volumetto di Piero Bigongiari pubblicato dalle Edizioni Via del Vento di Pistoia, Favola e altre poesie scelte (2007), nei cenni biografici a cura di Martino Baldi, ci fa scoprire che la prima poesia ad essere tradotta in francese fu a cura di Georges Mounin, nel 1954, attraverso «Les Cahiers du Sud» (n. 323)[3]. Nel 1978 fu deciso che sarei stato il responsabile, presso la direzione della rivista «Sud», di un numero speciale su Philippe Jaccottet. Quindi Philippe mi indicò gli scrittori amici che gli parevano capaci di dare sulla sua opera punti di vista originali. Mi raccomandò di scrivere a Piero e ricevetti da lui, di lì a poco, un testo critico di profonda originalità e di grande bellezza. Bigongiari aveva un amico, Renzo Milani, originario della Toscana (credo fosse nato a Scarperia), che era allora direttore dell’Istituto Culturale Italiano di Marsiglia. Milani era un personaggio rabelaisien, una sorta di gigante con una gran barba, che ognuno salutava per le vie, nei teatri, nei luoghi culturali della città phocéenne (come diciamo, riguardo ai suoi fondatori, viaggiatori venuti dall’Asia Minore). Milani collaborò con me alla traduzione di un saggio intitolato (in francese) La «Cascade inversée» de Philippe Jaccottet. In breve, direi che Bigongiari considerava negli Chants d’en bas di Jaccottet (i canti che, insomma, sono l’espressione delle sue profondeurs, profondità) la forza d’innalzarsi verso la luce spirituale, ad un’altezza dove i contrari possono coabitare. È un’idea che si può anche dedurre, mi pare, dalla stessa poesia di Bigongiari. C’era dunque fra i due poeti una comprensione profonda, percepibile nel racconto, in questo stesso saggio, del loro primo incontro a Firenze. Lo leggo in francese perché non ho il testo in italiano, che raggiungerà il Fondo Bigongiari di Pistoia, quando l’avrò ritrovato: C’était pendant l’automne 1959: dans une voiture que conduisait avec bonheur Christiane Martin du Gard, arrivait à Florence mon cher et vieil ami Francis Ponge, tout à la joie de revoir l’Italie; avec eux se trouvait un jeune poète, réservé et attentif, presque drapé dans son naturel sérieux: Philippe Jaccottet. Je me souviens encore de notre long entretien, assis devant le paysage, sous les arcades du salon de thé à mi-hauteur de la côte de San Francesco de Fiesole, tandis que nous regardions le soir qui coulait lentement dans la conque florentine. Depuis lors nombre d’événements sont advenus, mais jamais l’amitié n’a démenti l’agrément de notre première connaissance.[4] Il testo originale mi è stato inviato nel 1979, mentre l’uscita di quel numero doppio 32-33 di «Sud» fu, nell’autunno del 1980, un modo per festeggiare i dieci anni di esistenza della rivista. Poco dopo, integrato completamente nella scuderia di «Sud», ripresi un progetto antico, iniziato dal poeta Hughes Labrusse, che aveva cominciato a sviluppare contatti con alcuni poeti italiani ed i loro traduttori, abbastanza noti (penso a Armand Monjo, Patrice Dyerval Angelini, Jean-Charles Vegliante, oggi l’ultimo traduttore in Francia della Commedia dantesca). Pensando precisamente al numero dei canti in ogni cantica, concepii un’antologia che si sarebbe intitolata Promenades en poésie italienne contemporaine en 33 auteurs. Nella ricerca di altri autori, Renzo Milani fu di nuovo l’uomo giusto al momento giusto. E Bigongiari, invitato a partecipare, mi inviò due poesie inedite: una scritta direttamente in francese, Au feu des attirances, l’altra intitolata Una silenziosa tazza di tè, che io tradussi Une silencieuse tasse de thé. Era una poesia ‘americana’, voglio dire scritta con i ricordi di viaggio negli Stati Uniti, che è confluita nella raccolta Nel delta del poema (Milano, Mondadori 1989), dopo alcune modifiche e sotto un altro titolo: Toledo [Ohio] was very beautiful. La pubblicazione di questa prima antologia di poeti italiani, nella collana «Sud-Domaine étranger» (ce ne sarà un’altra nel 1996[5]), è datata alla fine del 1984 (sono passati già venticinque anni!). Quattro anni più tardi era stampata, per la collana «Sud-Poésie», nel mese di aprile 1988, la prima edizione di Les Remparts de Pistoia, col testo italiano a fronte. Jaccottet aveva tradotto diciassette poesie, di cui una decina erano state pubblicate non soltanto nella NRF ma anche, un po’ più tardi, nel «Mercure de France», credo. Impegnato in una grande traduzione dal tedesco (di pagine ancora inedite dell’Uomo senza qualità, di Musil), Philippe mi dette mandato di tradurre il resto, cioè trentuno testi sui quarantotto della raccolta completa. Fu un lavoro difficile ed entusiasmante. Mi avvicinavo all’ermetismo fiorentino, sul quale un saggio di Maria Carla Papini, che avevo tradotto per le Promenades en poésie italienne (Notes sur l’hermétisme florentin), mi guidava nella notte dei miei dubbi. Ho naturalmente fatto domande scritte a Piero, e talvolta per telefono. Una volta l’ho incontrato a Firenze, dove accompagnavo alcuni studenti di liceo in gita scolastica. E scoprivo, non so più in quale libreria, l’importanza del poeta nella sua città. Di tanto in tanto mandavo a Jaccottet novità del cantiere. Quando fu terminato, ci siamo visti a Grignan per rileggere tutte le traduzioni, confrontandole all’originale; discutevamo sui temi e sul loro variare all’interno della raccolta; facevamo sparire certe discordanze nell’interpretazione di tale parola, presente – per esempio – in due poesie vicine. Se il senso non cambiava, dovevamo tradurre con le stesse parole francesi. In poche ore ho molto imparato da Jaccottet traduttore, e credo che le nostre sensibilità si siano accordate sul comune scopo di servire la poesia – e il pensiero – di Bigongiari. Lodata dai conoscitori – e abbiamo avuto buon successo di stampa – la traduzione fu ripresa, quattro anni dopo, nel 1992, su richiesta del poeta Claude-Michel Cluny, nella collana dalla copertina gialla «Le fleuve et l’écho» della casa editrice La Différence. Non so più quando vennero a Marsiglia Piero ed Elena, in macchina (Elena autista) invitati ufficiali della Casa d’Italia (altro nome dell’Istituto Culturale Italiano a Marsiglia). Forse lo potrebbe dire un quotidiano che non ho conservato… Però c’è un particolare di quel tempo che ricordo: organizzando un pranzo a casa nostra, non solo per i Bigongiari ma anche per i Jaccottet, i Milani e Yves Broussard, direttore letterario di «Sud», mia moglie preparò una piatto di pesce, una bourride, che è una bolabesa autunnale (o invernale)[6]. Poi, alla fine del pomeriggio, fummo in quattro sul podio dell’Istituto italiano: Milani, l’autore festeggiato e i suoi due traduttori. L’indomani o il dopodomani siamo andati a firmare il libro in una galleria d’arte di L’Isle-sur-la-Sorgue. Mi rammento la gentile dedica che fece Piero a mia madre, scrivendole un ringraziamento per aver dato me alla sua opera… René Char era scomparso da alcuni mesi. Non si poté fargli visita. Non posso dare una completa recensione delle pubblicazioni di Piero nelle riviste francesi: tuttavia ne ho lette alcune, non solo nella rivista di Deguy, ma anche nel periodico «Entailles», edito a Montpellier (primavera 1986, con una scelta di quindici poesie e una presentazione di Fongaro, che ci aveva chiesto tre poesie della nostra traduzione non ancora uscita). Fu ancora nel 1986 (numero di maggio-giugno) che la rivista «Poésie 86» (fondata da Pierre Seghers – e qui la parola ‘poésie’ si scrive in modo normale, ma è seguita dal millesimo) pubblicò sei poesie, e toccò a me scrivere due pagine d’introduzione, nucleo della postfazione nelle due edizioni di Les Remparts de Pistoia. Due anni dopo la seconda uscita di Les Remparts per le edizioni de La Différence, si deve notare che lo stesso editore, che aveva una collana molto apprezzata di libri tascabili in poesia («Orphée», diretta da Claude-Michel Cluny), volle far conoscere la specificità di Bigongiari con una piccola ma bellissima scelta, eseguita ancora una volta da Fongaro dalle raccolte Antimateria e Moses (che radunano poesie dal 1964 al 1977) e, nella seconda parte, da Col dito in terra e Nel delta del poema (raccolte composte invertendo l’ordine cronologico delle poesie, dal 1984 al 1978), ciascuna parte con un’introduzione esplicativa. Devo dire che Fongaro si scaglia contro l’etichetta di ermetismo per Bigongiari. I suoi argomenti tentano di semplificare, per il lettore francese, le difficoltà incontrate, che a me sembrano reali ma a tutti gli effetti non contrarie al sentimento della poesia che, per esempio, si può provare anche senza capire tutto, davanti a un testo di Char o di Mallarmé. Per me, Bigongiari è situato a quell’altezza concettuale. Ho ricevuto a Marsiglia quasi tutti i libri di Piero[7]. L’ultimo lavoro che ho fatto su un suo scritto è stata la traduzione, per «Poésie 96», di un saggio intitolato Quelques réflexions sur l’énergie des figures chez Pétrarque, in un numero dedicato alla memoria del poeta «italo-provenzale». Nella stessa pubblicazione, poiché avevo già fatto traduzioni parziali delle Rime del Canzoniere, avevo dato a Pierre Dubrunquez, redattore della rivista, il testo di una conferenza sul Paesaggio nelle «Rime» e la sua assenza. Gran parte del mio fascino per la poesia italiana proviene da ciò che affermano, attraverso i loro titoli, due opere apparse dopo la morte di Piero: La poesia pensa (a cura di Enza Biagini, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Adelia Noferi) e Un pensiero che seguita a pensare (a cura dello stesso Paolo, con prefazione di Carlo Ossola). L’ermetismo bigongiariano ha una caratteristica di «poesia civile», che esige la partecipazione, l’arruolamento del lettore alla produzione del senso. Forse tale esigenza, nella forma specifica che riveste in quest’opera, senza dubbio troppo abbondante per essere stata a sufficienza tradotta, spiegherebbe l’oblio della Pléiade che ho evocato all’inizio. Non per ignoranza Bigongiari fu dimenticato. Ma la nostra tendenza a classificare è un po’ a disagio davanti alla sua complessità, al suo carattere sperimentale. L’equilibrio tra pensiero ed emozione sarà per Bigongiari la conseguenza dell’assimilazione critica, di certo in corso in Italia ma evidentemente ancora balbettante in Francia. Ci vogliono ancora delle traduzioni per dare di lui un ritratto poetico abbastanza esatto. Così davvero crescerà la gloria francese di Piero Bigongiari.
Traduzione di André Ughetto e Paolo Fabrizio Iacuzzi)
NOTE 1 Dal testo della conferenza letta il 22 aprile 2009 nella Sala Piero Bigongiari della Biblioteca San Giorgio di Pistoia. 2 Tuttavia – e me ne sono accorto solo stamattina, guardando i libri della Biblioteca di Bigongiari in questa sala a lui dedicata – nella stessa collana della Pléiade, in un’antologia che è soltanto in italiano e in tre volumi (curata da Carlo Ossola), l’opera di Bigongiari vi è ben rappresentata. 3 La poesia è intitolata in francese Nice-Pise. Ho letto il testo originale Nice-Pisa in Stato di cose, III, Milano, Mondadori 1968, p. 197. 4 Il testo è stato poi pubblicato nel volume di Piero Bigongiari, L’evento immobile (Milano, Jaca Book 1987, pp. 259-264). 5 Questa seconda antologia radunò undici poeti del movimento detto ‘della Metamorfosi’, che era stato lanciato da Fabio Doplicher, nato a Trieste ma che lavorava a Roma. Il numero di «Sud» fu intitolato: Poésie du XXe siècle en Italie, Les Poètes de la Métamorphose. 6 Adesso che ho potuto rileggere le lettere mandate a Piero, conservate nell’Archivio Piero Bigongiari della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, posso dire che la nostra conferenza nell’Istituto Culturale Italiano di Marsiglia ebbe luogo il 7 ottobre 1988. 7 Almeno lo credevo fino a oggi perché visitando l’Archivio Piero Bigongiari, ho scoperto titoli (e non poco!) che non conoscevo: non tanto delle sue raccolte di poesia ma dei suoi numerosi saggi.
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