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EDOARDO ZUCCATO, Trasferimenti in loco: saggi sulla traduzione, il dialetto e la poesia, Modena, Mucchi Editore 2022, pp. 270, € 18,00.

(pp. 128-130).

 

La raccolta di saggi di Edoardo Zuccato, docente di letteratura inglese presso lo IULM di Milano, si prefigge il compito di offrire una panoramica delle attuali condizioni del panorama letterario italiano e mondiale, entrambe realtà minacciate da un dilagante processo di omologazione che ne pone in pericolo la pluralità di voci, e del ruolo che in tutto questo ricopre la traduzione. È proprio la dimensione «globale» che l’autore intende problematizzare nei quattordici capitoli in cui il volume si divide, a loro volta ripartiti in due sezioni: una prima parte di carattere generale, dedicata alla cosiddetta «world literature» e alla poesia dialettale; e una seconda parte, che l’autore stesso definisce come più personale, contenente impressioni legate alla sua esperienza diretta con la materia. Zuccato apre la prima serie di saggi proponendo un quadro generale dell’ecosistema linguistico mondiale («Tradurre sé stessi sul palcoscenico del mondo. Letteratura globale e lingue minoritarie in Italia, Scozia e Irlanda»), tratteggiando il profilo di un mondo globalizzato in cui si assiste a un’ipertrofia di traduzioni provenienti dall’inglese, la cui ingerenza condiziona inevitabilmente il processo di creazione e ricezione letteraria: le opere vengono scritte e tradotte (al giorno d’oggi questo avviene in simultanea) presentando determinate caratteristiche comuni, orientate al facilitare la fruizione e a livellare le particolarità, esercitando una forte influenza tanto sull’aspetto economico del mercato letterario, le politiche editoriali e la scelta dei testi da immettere, quanto il valore delle opere stesse, stabilendo determinati criteri estetici ai quali attenersi per incrementare le vendite. Tutto questo comporta una svalutazione sempre maggiore di altre lingue nazionali le quali, nonostante possano contare sul riconoscimento statale e su un ampio bacino di parlanti, si ritrovano in una posizione «minoritaria», poiché poco tradotte. Queste premesse servono, oltre che a fornire una cornice di partenza, anche a inquadrare e a demistificare fin da subito il concetto di «minore» rispetto a quello di «maggiore», rapporto che vede il primo subordinato al secondo per motivazioni tutt’altro che qualitative, e che l’autore adopera come struttura fondante del libro, la cui prospettiva oscilla costantemente fra locale e globale. Proprio in nome di questa duplice prospettiva il libro si muove verso il particolare, e i saggi successivi sono incentrati sulla poesia italiana dialettale («Come traducono e come si traducono i poeti dialettali in Italia»), la cui condizione minoritaria rispetto allo standard riecheggia il rapporto di disparità delle lingue nazionali meno tradotte con l’inglese. Zuccato se ne fa portavoce perché, oltre a insegnare e tradurre letteratura inglese, e quindi a essere un fine utilizzatore della «lingua globale», è anche autore di poesie in altomilanese, racchiudendo in sé entrambe le sopracitate dimensioni. Grazie a questa vicinanza l’autore fornisce un’interessante disamina della letteratura in dialetto (propone parallelismi con l’altro contesto culturale a lui scientificamente vicino, quello anglofono, trattando del rapporto fra inglese, scozzese e irlandese), da tempo rilegata nell’ombra della produzione letteraria sia perché, in alcuni casi, è priva di riconoscimento e supporto da parte dello stato; sia a causa di forze centrifughe che la spingono ad avvicinarsi allo standard. Proprio per poter raggiungere un pubblico più ampio, gli autori che scrivono usando il dialetto sono soliti fornire un’auto- traduzione di quest’ultimo in italiano che viene pubblicata simultaneamente al proprio testo, creando un secondo originale che, per necessità linguistiche, risulta sempre differente dal primo. Questo porta alla creazione di un «bi-testo», come lo chiama Zuccato, composto da due poesie provenienti dalla stessa matrice, ma appartenenti stilisticamente a due tradizioni letterarie diverse: da una parte i dialetti, lingue strettamente legate all’oralità e alla vita concreta; dall’altra l’italiano standard, lingua elaborata sulle grammatiche e pertanto più astratta. Nonostante la disparità fra le due parti del bi-testo, l’autore della raccolta ritiene che si tratti di due componenti strettamente legate l’un l’altra e indispensabili per comprendere appieno il senso della poesia originale. L’auto-traduzione è testimonianza di una volontà duplice, ovvero «da una parte è una forma di resistenza verso la letteratura globale; dall’altro, la traduzione immediata e l’auto traduzione indicano il desiderio di far parte dello scenario globale». Questa dinamica, causata principalmente dal fatto che i poeti dialettali non vengono tradotti da una seconda persona, è radicalmente diversa rispetto a quella che si sviluppa, per esempio, in Irlanda: la coesione fra i poeti irlandesi crea un fronte letterario compatto, in cui gli autori traducono le opere dell’altro per promuovere sé stessi e la lingua che utilizzano come veicolo. Cosa che risulterebbe impensabile in Italia, dove il localismo la fa ancora da padrone. A coronamento di questa riflessione vengono poi proposti diversi esempi pratici dei fenomeni illustrati, sia tramite l’inserimento di «poesie con testo a fronte» all’interno del corpo del saggio, che mostrano le potenzialità espressive delle traduzioni in dialetto commentando le varie strategie adoperate, sia in una piccola appendice di coda dedicata, contenente traduzioni in dialetto da diverse lingue del mondo. L’autore si sofferma poi su alcuni casi esemplari, quali quello di Francesco Loi e Piero Marelli («Autotraduzione e poesia in Franco Loi»; «Se canta no sènza bèla müsega. Traduzione e poesia in Pietro Marelli»), descrivendone gli interessanti percorsi poetici. Il quinto saggio («La scena dell’oralità. Teatro e traduzione nei dialetti italiani») viene dedicato invece alla componente orale della traduzione, di cui i dialetti sono particolarmente pregni e per questo adatti per essere utilizzati in ambito teatrale. Il forte legame con la dimensione orale e con il contesto socioculturale di provenienza rende molto complicato il tradurre da un dialetto, e questo conduce in seguito Zuccato a chiedersi, all’interno della parte successiva («Si parva licet. Lingue minori, traduzione e world literature»), se non sia arrivato il momento di affidarsi ad una traduttologia non più basata esclusivamente sulle grandi lingue di cultura, ma che accolga nel proprio orizzonte metodologico anche idiomi con una minore tradizione scritta (o assente), per verificare se le strategie teorizzate nel corso degli anni siano effettivamente efficaci: «l’idea di traduzione letterale, di lingua letteraria e di tradizione non significano e non indicano le stesse cose nelle grandi lingue nazionali e nei dialetti italiani». I saggi successivi («Non in nome delle minoranze. Scrittori postcoloniali per un pubblico globale»; «Spezie per la cucina globale. Lo spazio internazionale della cultura locale») si focalizzano sulla commercializzazione del locale una volta che quest’ultimo viene immesso nel globale. È il caso degli autori bilingue che rinunciano alla lingua madre «minore» in favore della L2 «maggiore», la quale gli permette di avere una risonanza di pubblico maggiore. L’autore critica questa posizione, ne indaga le cause e ne descrive le conseguenze sul mercato letterario. Lo scrittore post-coloniale sceglie quasi sempre di scrivere nella lingua dominante, rinunciando tuttavia a una parte integrante della propria identità ed esprimendo la sua cultura di origine attraverso una voce che non le è propria. Legata a doppio filo a questo fenomeno è anche la fortuna all’estero delle opere italiane in dialetto, di cui Zuccato propone come esempio quelle di Andrea Camilleri, Dario Fo e Raffaello Baldini. Se nel caso di Camilleri la particolare commistione fra italiano regionale ed espressioni dialettali, nonché l’immagine stereotipata dell’Italia che questo crea, ne garantisce il successo sul mercato internazionale, nel caso di Fo e Baldini la situazione è completamente opposta: a causa di problemi legati all’adattamento, i loro testi vengono proposti all’estero in delle traduzioni «di servizio» nella lingua standard d’arrivo, che ne appiattiscono l’espressività e li privano della possibilità di spiccare agli occhi del pubblico straniero. A conclusione di questa prima parte, Zuccato riprende la riflessione sul ruolo della traduzione all’interno del mondo globalizzato («Insegnare la traduzione nell’epoca della globalizzazione»), proponendo una serie di dati statistici che ne mostrano svariati aspetti: quello prettamente economico, legato alle vendite e al numero dei tiraggi, ma anche quello socioculturale, riportando il risultato di alcuni sondaggi volti ad indagare l’opinione che il pubblico ha della traduzione. Ne emerge un quadro completo e alquanto allarmante: la traduzione non solo non ha perso di valore ma, al contrario, proprio perché vi si ricorre così spesso c’è bisogno che essa vada insegnata con ancora più rigore. L’autore stila quindi una lista di punti che ritiene fondamentali per poter svolgere una traduzione correttamente e, soprattutto, con la giusta consapevolezza: tradurre significa anche produrre cultura e, pertanto, la trasposizione di un testo artistico è un delicato procedimento che va trattato con estrema cura, se si vuole che l’opera tradotta abbia un impatto significativo sulle menti dei lettori. La seconda parte della raccolta presenta gli argomenti già trattati sotto una luce diversa e più ravvicinata. Edoardo Zuccato offre qui il frutto di anni di riflessioni ed esperienze che l’hanno accompagnato nel corso di tutta la propria carriera da studioso e poeta. I saggi si muovono da testimonianze su diverse modalità di lavoro che una traduzione può comportare («Le occasioni della traduzione poetica: una tipologia personale »), fino a riflessioni sulla storia della lingua italiana, sulla sua evoluzione e sull’eredità con cui questa ha influenzato la tradizione letteraria («La poesia lirica in Italia oggi»; «Una lingua platonica. L’italiano, i dialetti, la poesia»). Poiché apre una finestra sull’immediato futuro, la parte più interessante è quella che riguarda la nuova generazione di poeti («Chiusa la questione? Riflessioni sulla lingua e sulla poesia italiana recente»), che Zuccato, in quanto esponente della «vecchia guardia», saluta con ottimismo: si tratta di autori che si trovano decisamente a loro agio nell’utilizzare il dialetto, spesso accanto all’italiano, senza che questa risulti una scelta forzata o guidata da fini polemici. La lingua sgorga spontaneamente da questi giovani autori, in virtù di un nuovo atteggiamento verso di essa che «non è un fatto stilistico né una scelta poetica, ma un sentimento che le precede, sul quale poi ciascun autore sta costruendo la sua scrittura». Ma da cosa scaturisce questo nuovo modo di porsi rispetto alla lingua? Se da un lato l’ingente quantità di letteratura tradotta ha fornito un modello di scrittura economicamente vantaggioso a discapito dell’estetica del testo, dall’altro ha anche rappresentato un impulso per liberarsi da tali vincoli e per riscoprire, di conseguenza, una lingua che permetta di esprimersi in maniera autentica. Sulla scorta della propria esperienza, caratterizzata dal ritrovato bisogno di scrivere in dialetto proprio mentre si trovava in un ambiente anglofono, Zuccato propone questa seconda chiave di lettura del globale il quale, minacciando l’integrità identitaria degli autori, è capace allo stesso tempo di far riemergere in essi la lingua locale, come se quest’ultima venisse innescata da una sorta di meccanismo di autodifesa linguistico. In generale, «Trasferimenti in loco» cattura proprio grazie alla vicinanza che l’autore dimostra nei confronti della materia trattata e che lo colloca al centro dei fenomeni descritti, rendendo la lettura decisamente più piacevole e coinvolgente rispetto ai classici saggi teorici sull’argomento. Questo taglio «narrativo » è, allo stesso tempo, coadiuvato da un solido rigore scientifico, che rende il libro ricco di informazioni utili sia per gli addetti ai lavori, sia per lettori non specializzati ma curiosi di sapere che aspetto ha questo mondo «tradotto» nel quale viviamo. Una soluzione intermedia fra saggio e racconto autobiografico, una favola scientifica che rispecchia strutturalmente la dimensione sospesa nella quale si trovano molti poliglotti (traduttori, scrittori e non), costantemente scissi fra più realtà culturali e perseguitati dalla sensazione di essere stranieri ovunque essi vadano. Proprio questo costante stato di transfer sul posto li rende tuttavia degli spettatori privilegiati, capaci di percepire l’Altro (e sé stessi) con una lucidità che non ha eguali.

(Matteo Annecchiarico)


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