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Sospeso respiro. Poesia di pandemia, a cura di GABRIO VITALI, Bergamo, Moretti&Vitali 2020, pp. 282, € 25,00.

(pp. 118-119).

 

La conformazione di questo volume, curato e ideato da Gabrio Vitali, rispecchia una chiara volontà di smarcamento rispetto al concetto di ‘antologia di versi a tema’. Questo libro, infatti, non è soltanto un libro in cui alcuni poeti vicini al curatore riflettono sullo shock della prima ondata di Covid-19 (marzo-giugno 2020). Già dalla prefazione intitolata L’abbraccio vuoto di Piazza san Pietro, Gabrio Vitali indica come al cuore di questo progetto vi sia la necessità di opporre al silenzio della pandemia la parola poetica, insieme epica e lirica, capace di fronteggiare e di pronunciare ciò che la moderna società rifiuta e teme, la morte sempre rimossa e allontanata. Nelle quattro sillogi che compongono il volume, epica e lirica si congiungono, legando l’io alla comunità e alla collettività, offrendo una narrazione corale per resistere al timore e alla paura. Gabrio Vitali, che offre per ognuno dei quattro autori un esaustivo profilo critico, conduce il lettore all’interno delle motivazioni per cui questi poeti offrono uno sguardo altro sulla pandemia, rivelandone la forte carica di novità e di possibilità.

Il Diario poetico e impoetico di Alberto Bertoni, tale perché i versi sono sempre preceduti da una nota in prosa, parte da una riflessione del 2015 intitolata «Gli aforismi di Birkenau». Il senso di afasia e di terrore provato nel campo di concentramento viene superato soltanto dal meccanismo di reazione della lingua poetica. Seguendo poi cronologicamente lo sviluppo della pandemia, la sensazione di vivere in un tempo di peste e, al contempo, in un universo concentrazionario con cui si apriva l’opera si intensifica, trovando però nel senso di «orfanezza» – come riconosce Vitali – una possibilità di uscita: «Il mondo topizzato: ‘La peste’ di Camus, il ‘Maus’ di Spiegelman, ma quando sulla clausura inizia a esplodere la luce della primavera». La clausura e l’oppressione sono al centro anche di Fiabucce per una madre di Paolo Fabrizio Iacuzzi, una silloge composta da sette sezioni di tre poesie modellate tutte su uno schema sonettistico. La prima e la terza sono aperte entrambe dal refrain «Siamo ancora vivi». Il senso claustrofobico di questa struttura è mimetico della situazione pandemica. Il poeta, che trascorre con la madre il lockdown, intreccia esperienze personali di malattia alla cura della madre e alla situazione. «Avevo previsto il lupo»; e il lupo diventa sia la malattia che colpisce il mondo, sia il lupo di Cappuccetto Rosso, la fiaba che, insieme ad altre, Iacuzzi immagina di raccontare alla madre per tenerle compagnia, facendo «rumore per inventarci il mondo». È sempre sotto il segno della sfida alla solitudine che si snoda il diario in prosa (con un paio di eccezioni in versi) di Giancarlo Sissa, Senza titolo alcuno. Ripercorrendo a ritroso le tappe della pandemia, Sissa si appoggia al proprio diario come a un bastone per rivelare il senso dell’origine dell’atto poetico e comunitario. Tornare indietro dalla fine serve per guarire. Nella pagina del 27 aprile 2020, Sissa afferma: «Ma noi abbiamo un problema con l’origine delle cose. Rattoppiamo continuamente un tessuto ormai logoro di miserie e di abitudini e stordite ruberie». L’ultima silloge, Presa di fiato di Giacomo Trinci, richiama nel titolo lo spasimo che segue l’interruzione dell’apnea. Nella sua metrica serrata e carnale (la presenza di rime e di forme chiuse è costitutiva e necessaria alla sensazione di soffocamento), Trinci parte da un «Antefatto» per discendere (lo scenario infernale della catabasi è presente, per lessico e stile, nelle successive sezioni «Atti di commedia», «Moduli al pettine» e «Quartatto») nella bolgia di corpi che si ammassano negli ospedali, nelle case, soffocando per troppa densità e per «smodata ansia di tornare alla normalità» che è a sua volta volontà di mascherare una situazione antropologica in crisi.

Seguono i versi un Percorso Iconografico a cura di Maria Cristina Rodeschini, in cui vengono riprodotte e presentate le opere dell’Accademia Carrara di Bergamo, sfida della bellezza artistica all’orrore, e un saggio antropologico di Mario Ceruti, intitolato Un groviglio inestricabile, che intreccia complessità del reale e situazione pre-pandemica accordandosi, così, alle battute inziali di Gabrio Vitali. Una conclusione che rimanda all’inizio, rilanciandolo. Sospeso respiro si propone come una riflessione sul senso del vivere civile, sui valori della collettività, sul ruolo della poesia nella comprensione della svolta antropologica che la pandemia ha messo in luce. La poesia si occupa di parlare anche quando sembrerebbe regnare il silenzio della fine.

(Michele Bordoni)


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