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FRANCESCO OTTONELLO, Isola aperta, Prefazione di Tommaso Di Dio, Latiano (BR), Internopoesia 2020, pp. 108, € 11,00.

(pp. 107-108)

 

Isola aperta di Francesco Ottonello ha una costruzione rigorosa. Dopo l’epigrafe, troviamo la plurivoca poesia liminare, costituita da un primo verso sentenzioso e lugubre (enunciato da un personaggio esterno), dal grido del poeta (quello primordiale della nascita: è la poesia d’apertura, d’altronde) e dai versi finali, che con il tono del manifesto assorbono e ricompongono il grido. La poesia liminare è seguita da cinque sezioni, dopo l’ultima delle quali è posto il congedo dal titolo ricco (tra figura etimologica e poliptoto): Affrancati Franco, affranchiamoci tutti. Le sezioni sono organizzate a gruppi di due, eccetto la quinta, che è solitaria – non a caso contiene poesie scritte dalla regione più solitaria d’Italia: la Sardegna. Che l’organizzazione sia binaria è dimostrato dal fatto che dopo ogni coppia è collocato un testo formalmente connotato da quattro caratteristiche: è in prosa (le poesie delle sezioni sono organizzate in versi e strofe; le strofe sono spesso intervallate da un trattino che ha la funzione di separare e unire: serve a ricreare visivamente l’idea della poesia- arcipelago); è ancipite; al contrario delle poesie, in questo si dà risalto al luogo e alla data della composizione; un’ultima differenza riguarda il supporto iconografico: i testi in prosa, che in tutto sono tre, sono affiancati da una fotografia (stampata sulla pagina sinistra per facilitare l’interazione col testo). Le prose sono imparentate anche dal punto di vista del contenuto: rappresentano i capitoli di una riflessione sul tema dell’isola. Sono in continuità anche per l’uso di metafore riprese dalla scienza: la neurobiologia nella prima prosa («L’insula è una piccola regione nella corteccia cerebrale, si situa all’interno del solco laterale», p. 37); la fisica nella seconda («I quark non si manifestano mai isolati. […] Il processo è detto adronizzazione», p. 65); la geologia nella terza («Attiva è ogni faglia che dà vita a spostamenti attuali», p. 87). Le prime due sezioni hanno titoli odeporici, Traversata e Il viaggio di Romeo, mostrano accenni di Bildung e cantano un’esperienza amorosa tra elegia e kitsch. Seguono la foto e il testo in prosa, quest’ultimo con le due indicazioni di luogo e di tempo: Schwarzwald, 2015. Le due esistenzialistiche sezioni successive sono intitolate Censurato e Fermi nella secca, e anch’esse sono accompagnate da una foto e da una prosa, che riporta in calce: Milano, 2018. L’ultima sezione, Una riproduzione acerba, felicemente asimmetrica, è seguita, come le altre, da una foto e da una prosa, presentata come scritta curiosamente nel 2070 e nel luogo archetipico della raccolta: la Sardegna. I cronòtopi meritano una riflessione. A livello cronologico, il 2015 e il 2018 sono spie diaristiche che offrono al lettore (insieme alla Nota finale) la possibilità di capire che il movimento dell’io-lirico nel tempo è stato lineare: è un tempo realistico, quindi. Significano anche altro. I toponimi hanno un valore tautologico: la loro etimologia esprime la condizione esistenziale del poeta. In altre parole, se Dante inizia il percorso di redenzione da un’allegorica ‘selva oscura’, l’io di Isola aperta termina la prima tappa del suo nella ‘foresta nera’; il purgatorio di Ottonello è la latina città di mezzo, Mediolanum, che è anche strutturalmente in mezzo alla raccolta. La strategia costruttiva sarebbe stata fallimentare se Ottonello si fosse limitato a questo: così concepita genera un effetto contrario allo spaesamento («io che faccio le radici / […] per portarmi via», p. 17), implicato nel concetto di ‘isola aperta’. La strategia invece funziona grazie alla terza sezione e alla terza prosa. Comprendiamo che le indicazioni topografiche e temporali sono uno strumento non tanto diaristico, quanto tecnico, che Ottonello impiega per rendere meglio la dimensione e la natura del distacco dal luogo originario, e per mappare con precisione il disorientamento: solo specificando e datando Foresta Nera, Friburgo e Milano è possibile dare al lettore la misura dell’allontanamento, della frattura («e il mare era e era e è», p. 82) e della non pacificabile contraddittorietà del ritorno e della partenza («qui nulla cambia, resta / nuovo come prima […]», p. 74). La terza sezione conferma la logica della tripartizione della raccolta: la dimensione paradisiaca è rappresentata dall’isola sarda, dall’isola-madre (paradiso nel significato topografico che l’etimologia suggerisce – luogo chiuso – non nel senso cristiano di luogo della beatitudine eterna). Isola e madre sono termini inanellati in uno stesso campo magnetico: la madre è interlocutrice e controversa ragione che induce a restare o a fuggire (la figura paterna compare solo una volta e molto in minore: «mio padre si è fatto sempre più piccolo», p.75); la madre, come recita la strofa più bella della raccolta (p. 73), è l’origine di un mantra e al tempo stesso avverbio avversativo e vocativo («per questo ho sempre amato le zattere madre / ma sono sceso dalla zattera, ma ho indosso l’armatura / ma non so amare l’immenso che voglio, / mamma mamma sono ondivago mamma»); è il piano paradigmatico della lingua e la (paraetimologica) radice linguistica del ma-re; ciò che aiuta la scrittura e che la ostacola («mamma sono solo uno spazio sfinito / tra le tue lettere e il mare»). Se i dati temporali (la memoria che guida i testi è inaffidabile: lo suggerisce, oltre all’epigrafe da Hart Crane, il ricorso massiccio alla dimensione onirica; inoltre la «poesia converte i soggetti che tratta in anacronismi», diceva Goethe) designano una linearità (anche il salto al 2070 dell’ultima prosa, pur se sciamanico e distopico, è posteriore al 2015 e al 2018), i dati spaziali designano una circolarità (è uno sguardo geodetico, verrebbe da dire, quello di Ottonello): la raccolta inizia dall’isola e termina sull’isola (la ciclicità è uno dei temi portanti: «a sicut erat at semper a torrare», ‘così com’era non torna più’, p. 76). L’insistenza fisico-geografica adombra la dimensione storica: trovare un proprio centro («quel punto piccolo»; p. 87) è possibile, ciò che è impossibile è trovarlo collettivamente e con il mirino della parusia. Il traguardo all’isola-paradiso coincide con una salvezza laica e morale, nella misura in cui è considerato salvo chi conquista la consapevolezza della necessità di divenire un soggetto disposto a espatriare «oltre il latte materno e le galassie», e, per restare alla mitologia, che il verso suggerisce (la via Lattea come latte versato dal seno di Era), di divenire un soggetto capace di metamorfosi. È salvo chi non si impianta in un «vaso impossibile» (p. 50), ma recide sé stesso per aprirsi alla ricerca, al ritorno («domu mea»), alla ripartenza: «[…] dischiudi la tua isola / torna agli uomini di oggi alla città» (p. 61).
                                                                                                                                                               (Riccardo Deiana)


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