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ALESSANDRA BREZZI, Cent’anni di Commedia in Cina: studi e traduzioni

(pp. 14-23)

 

Dopo mesi di celebrazioni ed eventi culturali in tutto il mondo, il 700° anniversario si è concluso con una scoperta, riportata da tutti i principali media nazionali, che probabilmente ci permetterà di riscrivere la storia della recezione de La Divina Commedia in Cina. Il 26 ottobre 2021, infatti, nella splendida Villa medicea di Firenze, sede dell’Accademia della Crusca, l’on. Mara Carocci ha donato un cospicuo fondo librario appartenuto ad un suo prozio, Agostino Biagi (1882-1957). Scarse sono le notizie biografiche su Biagi, missionario francescano giunto in Cina all’inizio del XX secolo (probabilmente tra il 1902 e il 1910), che lasciò l’ordine per dissidi con le alte gerarchie religiose una volta rientrato in Italia. Convertitosi all’evangelismo battista, non abbandonò mai la passione e l’interesse per la cultura e la lingua cinese, anzi cercò ripetutamente di poterne fare professione di vita; chiese, infatti, di ottenere una cattedra presso il Regio Istituto di Napoli, ma le venne rifiutata. Si dedicò alla traduzione di opere letterarie cinesi e alla stesura di una grammatica della lingua cinese che da quanto riportato nel volume di Mara Carocci, Lettera a uno zio che voleva cambiare il mondo. Agostino Biagi, missionario francescano, pastore battista, antifascista, traduttore della Divina Commedia in cinese, fu adottata per i corsi di lingua presso l’Ismeo (Istituto Italiano Medio ed estremo oriente) di Torino e di Genova[1].

I volumi e i manoscritti, conservati nel fondo, una volta accessibili potranno sicuramente fornire nuove e importanti informazioni per meglio comprendere l’ambiente sinologico nell’Italia della prima metà del Novecento, ma di maggior interesse, per chi scrive e per chi si occupa della diffusione e recezione della Divina Commedia nel mondo, saranno i quaderni e i fogli manoscritti che conservano le tre diverse traduzioni del poema in lingua cinese, realizzate da Biagi probabilmente intorno agli anni Venti. Se scarse, come abbiamo detto, sono le notizie sulla vita del pastore battista, ancor più lacunose, al momento, risultano le informazioni relative al modo e ai tempi in cui Biagi realizzò il lavoro traduttivo del poema dantesco. Rimangono, custoditi nella sede fiorentina dell’Accademia della Crusca, fogli manoscritti e quaderni contenenti tre diverse traduzioni della Commedia in versi quadrisillabi, pentasillabi e settenari secondo gli antichi schemi metrici della poesia classica cinese[2]. Di grande interesse sarà, quindi, determinare in che modo Biagi lavorò a questa traduzione, se ebbe l’opportunità di collaborare con intellettuali e letterati cinesi residenti in Italia, in Europa o addirittura in Cina[3], e soprattutto sarà fondamentale stabilire in che anni realizzò questa sua fatica traduttiva. Qualora, infatti, le ipotesi che collocano la conclusione del lavoro intorno al 1921 venissero confermate, dovremmo rivedere la storia della recezione e diffusione della Commedia in lingua cinese, che sino ad oggi facevamo cominciare con la pubblicazione sulle pagine del Mensile di narrativa (Xiaoshuo yuebao ????) della traduzione dei primi tre canti dellInferno realizzata dal traduttore Qian Daosun ???di Dante fuori di sé Alessandra Brezzi (1887-1966), in occasione del 600° anniversario della morte di Dante, esattamente cento anni fa.

Il ruolo e la funzione di Dante cominciarono ad esser conosciuti negli ambienti intellettuali sino dall’inizio del secolo scorso, grazie soprattutto alla mediazione del Giappone. Liang Qichao ??? (1873-1929), uno dei padri del movimento riformista di fine epoca Qing (1898), esiliato in Giappone a seguito del fallimento del tentativo di rinnovamento, scoprì Dante nel paese del Sol Levante e lo inserì tra i protagonisti del suo melodramma incompiuto, La Nuova Roma (Xin Luoma ???) nel 1902[4]. Unopera teatrale dalla forte connotazione politica con cui l’autore avrebbe voluto incitare i propri connazionali al ‘Risorgimento cinese’, così come politica è l’immagine di Dante in essa presentata. Liang ricorre alla figura del poeta fiorentino non per la sua maestria letteraria, ma per quei valori che gli esuli risorgimentali italiani nell’Inghilterra vittoriana di fine Ottocento assegnarono a Dante nella loro rilettura e riscoperta del poeta medioevale: Dante esule, Dante padre della patria e dell’unità nazionale, oltre naturalmente a Dante padre della lingua[5].

Fu il 1915, anno del 650° anniversario della nascita del poeta, a segnare un punto di svolta nell’attenzione rivolta al poeta fiorentino da parte di intellettuali e scrittori cinesi; in quell’anno, infatti, la stampa periodica cominciò a pubblicare articoli e contributi atti a spiegare l’importanza letteraria, linguistica e culturale avuta da Dante per il canone culturale europeo. Come ha ben spiegato il giovane ricercatore Gao Changxu, alcuni dei più illustri rappresentanti del Movimento di Nuova Cultura (1917-1927) espressero apertamente dubbi e perplessità sull’opportunità di dedicare energie alla traduzione di opere quali la Divina Commedia, come dimostrano le parole che Zhou Zuoren ???(1885-1967) scrisse a Mao Dun ?? (1896-1981) allora capo redattore della rivista Mensile di narrativa:

 

In my opinion, world literature can be divided into two categories: those that are worthy of reading and those that are worthy of studying; the former (mostly in modern times) should be translated; and we should ponder over the translation of the latter; for example, the Divine Comedy is too obscure for me to be understood, but we could try to translate Faust[6].

 

Fu invece proprio Mao Dun ad accogliere sulle pagine del Mensile di narrativa un ‘assaggio’, come lo definì il traduttore, di quell’opera «too obscure to be understood»: i primi tre canti dell’Inferno tradotti da Qian Daosun ??? (1887-1966).

Come Biagi, anche Qian per trasmutare l’endecasillabo e la terzina dantesca adottò un antico schema metrico della poesia cinese, anzi si spinse ancor più indietro nel tempo recuperando una prosodia, il Saoti ??, utilizzata da Qu Yuan ?? (340-278 a.C.) nel suo lungo poema di 373 versi, Incontro al dolore (Lisao ??)[7]. Nella breve introduzione, che accompagna il lavoro interpretativo, pubblicato con testo italiano a fronte sulle pagine del Mensile di narrativa, Qian racconta di aver intrapreso la traduzione della Commedia dopo esser tornato dall’Italia (1910), e di esser stato mosso dal desiderio di «voler trasmettere soltanto il contenuto»[8], consapevole di non esser in grado di ‘tradurre’ la maestria poetica di Dante, di aver successivamente abbandonato l’impresa e di aver ripreso in mano il testo solo nel 1921: «Quest’anno in occasione del 600° anniversario della morte di Dante, essendo anche io ‘nel mezzo del cammin di nostra vita’, ho ripreso in mano il manoscritto, composto le rime per il primo e il terzo canto e ho tradotto per la prima volta il secondo»[9].

Per la scelta prosodica e metrica, come abbiamo detto, Qian attinse dal proprio passato uno schema metrico che potesse restituire al lettore un’impronta della matrice originaria, riuscendo così a comporre versi di varia lunghezza, tutti in rima. Il lavoro di Qian fu apprezzato dagli intellettuali e scrittori del suo tempo[10], e ancora ricordato alla fine del XX secolo, dal traduttore che per primo trasmutò la Commedia direttamente dalla lingua italiana, Tian Dewang ??? (1909-2000), che così commentò lo sforzo traduttivo del collega: «un lavoro raffinato, con note accurate, è un vero peccato che non abbia continuato»[11].

La scelta di ricorrere alla metrica di Qu Yuan non fu probabilmente casuale da parte di Qian. Già Liang Qichao, nei suoi scritti, aveva ravvisato delle evidenti similitudini biografiche e letterarie tra i due poeti: entrambi furono costretti all’esilio, entrambi si dedicarono a una composizione poetica narrata in prima persona, in cui descrivono un viaggio nel mondo ultraterreno (La Divina Commedia) e nel mondo del sovrannaturale (Lisao), e infine entrambi consegnarono alla poesia il compito di esprimere le proprie sofferenze, indignazione e denunce contro i mali del loro tempo. Questo accostamento letterario sarà un topos riproposto per tutto il Novecento negli studi dedicati a Dante, e sarà una delle critiche che il medievalista, Jiang Yuebin ???, nel suo bel saggio «Ripensare gli ultimi cento anni di Dante in Cina», muove ai colleghi cinesi, spronandoli ad avviare nuovi percorsi di ricerca, piuttosto che continuare con sterili comparazioni tra Dante e il poeta della classicità, Qu Yuan, o tra Dante e il padre della letteratura moderna, Lu Xun ?? (1881-1936)[12].

Dopo l’assaggio di Qian Daosun, il lettore cinese dovette aspettare quasi vent’anni per poter finalmente leggere l’intera cantica e trenta per poter scoprire l’intera opera. Nel 1939 venne pubblicata la traduzione dell’Inferno a cura del matematico e fisico Wang Weike ??? (1900-1952) e nel 1948 le altre due cantiche[13]. Wang condusse il suo lavoro su versioni in lingua francese e inglese della Commedia, operando una ‘negoziazione’ individuale e soggettiva che sarà ripetuta anche da Tian Dewang alla fine degli anni Novanta: trasmutare la Commedia in prosa. A differenza di Wang che non fornisce alcuna motivazione per la scelta operata, Tian Dewang, nella sua lunga introduzione, rende partecipe il proprio lettore di dubbi e quesiti che lo hanno assalito durante il suo lavoro interpretativo, condotto dal 1982 al 1999. Motiva la scelta operata per il timore di poter esser condannato anche lui all’immersione nel ghiaccio del IX cerchio dell’Inferno, quello dei traditori, additato con la famigerata, quanto ormai obsoleta, espressione ‘traduttore-traditore’ (fanyizhe beipanzhe???- ???)[14]. Nella scelta di liberarsi dal vincolo poetico, Tian riconosce delle ragioni soggettive, quali il non essere un poeta e non avere familiarità con la poesia classica cinese, sia delle ragioni oggettive quali la difficoltà di trovare uno schema metrico cinese adatto all’endecasillabo ed infine legittima la sua decisione portando a testimonianza gli esempi di alti illustri interpreti, Norton (1891) e Singleton (1970), solo per citarne alcuni. Conclude la sua introduzione riconoscendo che:

 

È chiaro che tradurre in prosa la poesia equivale a sostituire del buon vino invecchiato con l’acqua, sapori lontanissimi. Il mio obiettivo era rendere accessibile al lettore le storie e il contenuto ideologico della Commedia, se si desidera apprezzare la bellezza della poesia e della metrica, è necessario apprendere l’italiano e leggere l’opera originale, perché come scriveva Dante: «E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia. E questa è la cagione per che Omero non si mutò di greco in latino come l’altre scritture che avemo da loro. E questa è la cagione per che li versi del Salterio sono sanza dolcezza di musica e d’armonia; ché essi furono transmutati d’ebreo in greco e di greco in latino, e ne la prima transmutazione tutta quella dolcezza venne meno».[15]

 

Prima di volger lo sguardo alla Commedia in lingua cinese nel XXI secolo, non possiamo non ricordare la seconda traduzione integrale apparsa in Cina alla metà degli anni Cinquanta ad opera del traduttore Zhu Weiji ??? (1904-1971)[16], più volte riedita nel corso del Novecento e utilizzata, all’inizio di questo secolo, dalla scrittrice avanguardista, Can Xue ?? (1953-), per il suo accurato lavoro esegetico sulla Commedia, L’eterno esercizio: lettura e interpretazione della Divina Commedia (Yongsheng de caolian: jiedu Shenqu ?????-????, 2004)[17]. Zhu, come Wang, si confrontòcon il poema dantesco attraverso lingue intermediarie, collazionando le versioni in lingua inglese di Cary (1814), di Longfellow (1867) e di Carlyle (1889); tuttavia a differenza di Wang, optò per una forma prosodica con il verso libero, di cui non ci è possibile illustrare le ragioni, poiché la sua traduzione è l’unica a non esser accompagnata dalla prefazione del traduttore. La casa editrice Xin wenyi, nella neonata Repubblica popolare cinese, in una fase storica e politica delicata, preferì affidare la presentazione e interpretazione della Commedia alla voce più autorevole del periodo, la Grande enciclopedia sovietica, che dell’opera offrì una lettura principalmente politica:

 

La Divina Commedia è una delle opere più importanti della storia letteraria mondiale […]. Il poeta, che è stato un anello di congiunzione e che ha portato avanti una missione rivoluzionaria, è molto apprezzato da Marx e Engels. Engels scrisse: «Il chiudersi del medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura colossale; è quella di un italiano, il Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del medioevo e il primo poeta moderno»[18].

 

Tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, la Cina fu travolta da quel black out culturale che impedì qualunque contatto con il mondo esterno e obbligò a un silenzio letterario scrittori ed intellettuali di quegli anni. Se il sesto centenario della morte di Dante era stato salutato in Cina da numerose pubblicazioni, l’anniversario della nascita, nel 1965, passò completamente sotto silenzio nella Cina maoista, come in silenzio fu il mondo intellettuale cinese di quegli anni. Bisognerà attendere la fine degli anni ’70 e la nuova politica di apertura, lanciata da Deng Xiaoping ??? (1904-1997), per assistere ad una nuova fioritura dell’attività traduttiva.

Il XX secolo si chiude con la traduzione di Tian Dewang e il XXI si inaugura con nuove quattro interpretazioni (una quinta, a cura dell’italianista Wang Jun ??, era stata annunciata per la fine del 2021, ma ancora non ha visto la luce). Le quattro traduzioni, di Huang Wenjie ??? nel 2000, di Huang Guobin ???nel 2003, di Zhang Shuguang ???nel 2005 e la più recente di Xiao Tianyou ??? del marzo 2021, sono tutte trasmutazioni poetiche della Commedia, ma non tutte condotte direttamente sull’italiano. Huang Wenjie, italianista, traduttore di Deledda, Pirandello, Fo, affida la presentazione dell’opera all’illustre collega, padre dell’italianistica cinese Lü Tongliu ???, e relega il proprio intervento, «Sommaria descrizione dell’origine e sviluppo delle edizioni della Divina Commedia» (Lüe tan Danding ‘Shenqu’ banben de youlai yu fazhan, ????‘??’????????) a conclusione dellintera opera, per ripercorrere, come indicato nel titolo, la storia delle numerose edizioni, manoscritte e a stampa, della Commedia dal XV secolo sino alle più recenti edizioni critiche del XX secolo. I pochi commenti personali sul proprio lavoro interpretativo, che Huang condivide con il lettore, riguardano l’apparato critico e le numerose note che accompagnano la traduzione, note che, ammette il traduttore, «possono esser ritenute eccessive, o a volte possono persino nauseare”[19], tuttavia sono necessarie per cogliere il senso profondo dell’opera, per disambiguare le tante citazioni letterarie, per comprendere il significato morale del viaggio dantesco. Huang conduce il suo lavoro sulle edizioni critiche a cura di Natalino Sapegno (Sapeiniu ???) e di Umberto Bosco (Bosike???) e Giovanni Reggio (Leijiao ???), tuttavia è soprattutto dal primo che subisce la maggior fascinazione, riproponendo al proprio lettore l’impostazione ‘didattica’, con «un carattere rigorosamente critico», destinata ad un «lettore inesperto» o «principiante» che Sapegno aveva impresso sin dalla sua prima edizione nel 1955-57[20]. Dell’impostazione del critico italiano, Huang mantiene la scansione degli argomenti con l’enumerazione dei versi in cui sono contenuti posti all’inizio del canto; mentre sceglie di tralasciare le brevi e sapienti introduzioni che lo studioso italiano aveva anteposto a ciascun canto. Le note interpretative, collocate a conclusione di ciascun canto, solo in parte seguono la penna del Sapegno, perché Huang ritiene superflue per il proprio “lettore principiante” le lunghe e complesse glosse filologiche, linguistiche e testuali presentate dal critico italiano.

Sulla questione dell’apparato critico, che come abbiamo visto Huang Wenjie ritiene ‘eccessivo, o a volte persino nauseante’, tornano a ragionare molti interpreti del poema dantesco; Huang Guobin, lo studioso hongkonghese di letteratura comparata, anche conosciuto con il nome di Laurence K. P. Wong, nella sua «Prefazione del traduttore (Yizhe xu ???)» confessa di aver impiegato tre anni per completare la traduzione della Commedia e altri due anni, dal 2000 al 2002, per redigere l’apparato critico, compiendo un immane lavoro filologico e critico[21]. Tutte le edizioni cinesi della Commedia, al di là delle scelte individuali e soggettive che ciascun traduttore deve operare, sono accomunate da un corposo apparato di note, indispensabile per chiarire concetti, idee, dogmi assolutamente distanti, se non addirittura alieni, alla tradizione cinese. Le implicazioni culturali della Commedia, i suoi riferimenti filosofici, religiosi, storici, mitologici, e financo scientifici, risultano totalmente estranei ad un lettore cinese, per questo il traduttore è chiamato a compiere «le dodici fatiche di Ercole»[22], come le definisce Huang Guobin, per chiarire ogni terzina. L’unico interprete che ha compiuto una scelta diversa è l’ultimo traduttore in ordine di tempo, Xiao Tianyou ???, il quale, nella sua prefazione, si pone e ci pone una serie di domande non solo sulle questioni traduttive, ma su come presentare, come ‘leggere’ la Commedia oggi nel XXI secolo. Xiao si domanda:

 

Le note al testo sono fondamentali per una nostra corretta interpretazione, tuttavia come traduttori, una volta chiarito il senso, dobbiamo necessariamente tradurre questi strumenti, per noi indispensabili alla comprensione, costringendo i lettori a ripercorrere il nostro itinerario? Le note di carattere filologico, dall’indubbio valore bibliografico per studiosi e ricercatori, quali vantaggi offrono ad un comune lettore?[23]

 

Il ‘comune lettore’ che ha in mente Xiao è «uno studente liceale o universitario, un scrittore che non conosce le lingue straniere, o chiunque voglia affrontare questo opus magnum rinascimentale italiano, e non ne conosca la lingua»[24]. Xiao è convinto che non sia necessario costringere il lettore a continue interruzioni, continue pause che inevitabilmente guastano il piacere e il ritmo della lettura. Precisa che le precedenti traduzioni, in particolare quella di Tian nel 1999, di Huang nel 2000 e Huang/Wong nel 2003, non consentono al lettore di leggere più di una terzina senza dover distogliere lo sguardo dal poema per rivolgerlo alla glossa. A suo dire l’esegesi dell’opera rischia di soffocare la narrazione e soprattutto di rovinare il piacere della lettura, proprio come suggeriva Borges nei suoi Nove saggi danteschi:

 

Nessuno ha il diritto di privarsi della gioia della Commedia, della gioia di leggerla in modo ingenuo. Dopo verranno i commenti, il desiderio di conoscere il significato di ogni singola allusione mitologica […]. Ma all’inizio dobbiamo leggere il poema di Dante con la fede di un bambino, abbandonarci ad esso; ed esso ci accompagnerà per tutta la vita[25].

 

Per queste ragioni sceglie di ridurre al minimo le note – decisamente poche se paragonate a quelle delle altre traduzioni – e di fornire altri strumenti orientativi e interpretativi al proprio lettore: un’accurata introduzione che precede ogni canto e l’aggiunta di titoli che scandiscono i temi delle terzine. Chiude ciascun volume una tavola dei nomi, toponimi e parole chiave in cinese e in italiano.

La dimensione dell’apparato critico non è l’unica caratteristica che contraddistingue questa traduzione – apparsa in occasione del 700° anniversario della morte di Dante – dalle precedenti, una peculiarità ancor più significativa è la scelta prosodica di Xiao Tianyou. Come abbiamo visto Tian Dewang rinuncia alla resa poetica preferendo una forma prosaica; Huang Wenjie sceglie un verso libero di lunghezza irregolare e senza rima; Zhang Shuguang, il poeta che nel 2005 propose una nuova traduzione su versioni inglesi, opera una scelta simile, dichiarando nella prefazione di aver preferito ‘trasmutare’ la ‘suggestione poetica’ (shiyi ??), rinunciando volutamente alla rima e allo schema metrico, impossibile da conservare nella lingua cinese. Critico verso queste scelte è il traduttore hongkonghese, Huang Guobin/Laurence Wong, che, con grande maestria, ha fatto scivolare i 14.233 endecasillabi della Commedia su versi di varia lunghezza, scanditi da cinque censure interne e legati da rime incatenate, consegnando al lettore cinese la prima versione prosodica della Commedia in grado di trasmettere tutta l’intensità poetica dell’originale[26]. Nella «Prefazione alla traduzione (Yiben qianyan ????)», uno dei cinque testi che accompagnano il suo lavoro interpretativo, sembra voler instaurare un dialogo con i colleghi che lo hanno preceduto:

 

Su come tradurre lo schema metrico de La Divina commedia vi sono due scuole di pensiero: la prima propone il verso libero, la seconda la metrica. Io mi schiero con la seconda. Ritengo che rinunciare alla forma metrica è come arrendersi senza combattere, è come cedere volontariamente parte del proprio territorio nazionale […]. Alcuni traduttori affermano di rinunciare allo schema metrico (a volte lo evitano) per non alterare il senso della poesia. È sbagliato. Il cosiddetto senso poetico ha almeno due livelli: semantico e fonologico (che comprende ogni tipo di effetto prodotto dal piede, dalla rima ecc.), quale debba essere la proporzione tra i due, varia a seconda dell’interprete. […] Nella poesia con uno schema metrico, la prosodia è una componente fondamentale, rinunciarvi vuol dire deliberatamente non mantenere nulla del senso poetico dal punto di vista fonologico. […] Per queste ragioni ho tradotto la Commedia in terza rima […][27].

 

Huang/Wong, pur avendo realizzato un sapiente lavoro traduttivo che non ha uguali nelle precedenti versioni cinesi della Commedia, non è riuscito a ottenere un unanime consenso da parte dei lettori cinesi, i quali sui forum e blog dedicati al poema gli preferiscono spesso altre traduzioni.

In direzione diversa si muove Xiao Tianyou, il quale sceglie una forma poetica destinata al lettore d’arrivo, una sorta di ‘metapoesia’ nella definizione di J. S. Holmes, una «traduzione poetica della lingua di arrivo, con le sue più o meno cogenti aspettative in termini di poeticità, a cui la metapoesia, se vuole avere una buona riuscita, deve venire in qualche misura incontro»[28]. La forma versificatoria con cui Xiao «intraprende un nuovo sentiero» è la quartina tipica della poesia classica cinese con versi quinari, senari o settenari, ‘addomesticando’ con schemi prosodici della cultura d’arrivo il testo originario: 

 

La metrica del poema dantesco è la terzina con endecasillabo, ogni verso si compone di undici sillabe, e tre versi costituiscono una stanza, la finale del primo verso e del terzo di una stanza sono in rima, e il secondo verso ha un’altra sillaba finale, che fungerà anche da sillaba finale del primo e terzo verso nella stanza successiva. Di questi tre elementi fondamentali, è impossibile, e forse neanche necessario, riprodurre l’endecasillabo, perché la lingua cinese non è alfabetica, non ha sillabe. La terzina è stata abbandonata dal professor Tian, mentre è conservata nelle traduzioni dei due Huang [Huang Wenjie e Huang Guobin], tuttavia solo Huang Guobin ha mantenuto il sistema di rime finali del poema dantesco; personalmente ho scelto di abbandonare la terzina e di intraprendere un nuovo sentiero utilizzando la quartina della poesia tradizionale cinese, perché questa è la forma più familiare per un lettore cinese.

Nella traduzione in quartine […] la sfida più insidiosa è costruire frasi seconde le regole sintattiche e prosodiche della lingua cinese, organizzare e ordinare frasi e parole secondo il modo di pensare cinese. Le proposizioni de La Divina Commedia sono piuttosto lunghe; la terzina ha sempre frasi complesse, ossia ogni verso non è una proposizione indipendente e di senso compiuto, mentre nella nostra tradizione ogni verso della quartina è una frase indipendente o una componente di frase con senso compiuto. È piuttosto difficile portare avanti questo cambio tra le due lingue. […] Per esempio la terzina dell’incipit dell’Inferno è una lunga e complessa proposizione che dobbiamo trasformare in concise frasi tipiche della lirica cinese[29].

 

Un’ultima caratteristica contraddistingue il lavoro di Xiao Tianyou, una scelta apparentemente meno significativa, in realtà emblematica delle insidie che si trova ad affrontare qualunque traduttore cinese sin dall’inizio del suo lavoro interpretativo della Commedia: la resa dei termini ‘cantica’ e ‘canto’? Non è questa la sede per affrontare un’analisi lessicale accurata, la seguente tabella vuole sommariamente presentare le cinque diverse soluzioni proposte per ‘canto’ ed evidenziare l’uniformità lessicale per la resa di ‘cantica’:

 

 

 

 

Xiao Tianyou, diversamente da quanto avevano fatto i suoi colleghi del XXI secolo, recupera il lemma qu ?, utilizzato cento anni prima da Qian Daosun, il cui significato rimanda alla musica e al canto. Qu indica, infatti, un componimento poetico, diffusosi durante la dinastia Yuan, la dinastia dei mongoli del XII e XIII secolo, che fa uso di un linguaggio colloquiale e di un accompagnamento musicale. Zhu Weiji negli anni Cinquanta era ricorso al morfema che indica il canto o la canzone, ge ?, mentre Tian Dewang aveva optato per zhang ?, l’unità che scandiva la sequenza narrativa dei lunghi romanzi del periodo Ming (1368-1644) e Qing (1644- 1911), giustificando questa scelta, come conseguenza dell’aver trasformato il ‘canto’ in ‘capitolo’ , ossia avendo trasmutato la Commedia dalla poesia in prosa[30].

Il carattere qu è uno dei due utilizzati per la traduzione del titolo dellopera: shenqu ??, e la scelta di questa soluzione lessicale è da attribuire ai primi traduttori giapponesi più che a Qian Daosun. All’inizio del XX secolo quando gli intellettuali cinesi cominciarono a conoscere e scoprire la Commedia si trovarono di fronte allo stesso dilemma che aveva assalito Averroè, nel racconto di Borges, quando si era imbattuto nella distinzione tra commedia e tragedia del testo aristotelico, assente nella cultura araba. Le prime traduzione del titolo del poema dantesco in cinese furono xiju ??(commedia, come dramma dal tono comico)[31] o shen ju ?? (Divino dramma)[32], fu soltanto con la pubblicazione dei tre canti dell’Inferno ad opera di Qian Daosun che il titolo divenne canonizzato in Shenqu ??(divino, spirito, sovrannaturale – canzone, musica), sul modello della versione giapponese (Shinkyoku ??).

Simili difficoltà furono affrontate per la resa dei nomi delle tre cantiche. L’idea di un inferno, luogo dove chi ha peccato soffre pene eterne, è completamente assente nella cultura cinese. Tutti i traduttori scelgono il composto bisillabo diyu ??, letteralmente terreno, ‘posto’ e prigione, parola di derivazione buddhista, utilizzata per indicare l’inferno buddhista. Tuttavia nella dottrina buddhista l’inferno non era un luogo di pene eterne, piuttosto un luogo a cui erano destinate le anime che nelle vite precedenti avevano svolto azioni malvage. La permanenza all’inferno non era eterna, ma limitata, e soprattutto la discesa in questi inferi non era determinata da un’autorita` divina, ma dalle azioni che ciascun individuo aveva commesso nelle vite precedenti. Potremmo dire che la funzione dell’inferno buddhista e` piu` simile al concetto di purgatorio che non di inferno cristiano.

La seconda cantica è invece presentata ai lettori cinesi con due diversi composti. Il primo, Jingjie ??(pulire, purificare- mondo)[33], è utilizzato da Qian (1921) e Wang (1948) nella prima metà del XX secolo, ed è un termine di ispirazione protestante, come fa notare il sinologo Giuliano Bertuccioli nella sua recensione alla traduzione di Wang Weike nel 1954: «In translating the ideological terms Wang has made use of Protestant terminology, though it would have been preferable from the point of view of style if he had made use of the Catholic one»[34]. In realtà Qian motivando la sua scelta assegna ancora una volta la responsabilità ai traduttori giapponesi: «in giapponese il termine è tradotto jingjie [??] o lianyu [??] o jinghuoshan [???]. Desiderando indicare il significato della parola originaria ho scelto jingjie»[35]. Simile la giustificazione suggerita da Wang Weike nella sua prefazione: «Jingjie (Purgatorio), è traducibile anche con jingzuijie [??? pulire-colpa-mondo], dizuisuo [ ??? purificare-colpa-luogo], lianyu [?? purificare- prigione][36], o ancora con il composto jingtu [??], tuttavia temo che quest’ultimo possa creare confusione con jingtu buddhista, per questo ho scelto di utilizzare jingjie»[37]. Il composto jingtu (??)[38], citato da Wang, indica il Paradiso dell’ovest, contrapposto al mondo dove vivono tutte le creature mortali, è il Paradiso creato dal Buddha Amitabha della tradizione mahayana; legittima quindi la preoccupazione di Wang di non generare confusione nei propri lettori tra il Paradiso occidentale dei buddhisti e il Purgatorio dei cristiani.

Tutti i composti, citati da Qian e Wang, rendono, effettivamente, in modo chiaro il duplice significato originale della parola italiana purgatorio: il primo, l’atto diretto a purificare, il secondo, nella concezione tradizionale, uno dei tre mondi ultraterreni. Mentre i tre termini jingjie, jingtu, jingzui suo, sono tutti di origine buddhista, gli altri, dizuisuo e lianyu, sono attestati per la prima volta nelle opere dei missionari gesuiti giunti in Cina nel XVI e XVII secolo[39]. Il composto bisillabo lianyu (??) è quello scelto da tutti gli altri interpreti della Commedia a partire da Zhu Weiji alla metà degli anni Cinquanta[40]. Qian e Wang ricorsero, quindi, a un termine di derivazione buddhista, come era prassi comune nelle prime decadi del XX secolo, gli altri optarono, invece, per il neologismo proposto dai missionari nel XVII al fine di veicolare concetti della tradizione religiosa occidentale[41].

Infine, l’ultima cantica, il Paradiso, è resa con due termini tiantang ?? (cielo-sala) o tianguo ??(cieloregno), entrambi creati dai missionari, la prima dai gesuiti nel XVI e XVII secolo, la seconda dai protestanti nel XIX secolo, per tradurre l’espressione Kingdom of Heaven. Solo Tian Dewang alla fine degli anni Novanta e Xiao Tianyou, l’anno scorso, hanno scelto di adottare la parola protestante, gli altri traduttori sono tutti ricorsi al più antico tiantang. Tian nella sua prefazione precisa di essersi servito, per la traduzione di nomi e toponimi delle sacre scritture, della versione a cura della American Presbyterian Mission di Shanghai, questo spiega la sua scelta[42].

Queste sono solo alcune delle immani difficoltà che i traduttori cinesi hanno dovuto, o dovranno, affrontare nel confronto con il poema dantesco, per ragioni di spazio non possiamo qui affrontare le diverse soluzioni interpretative proposte in questi cento anni di Commedia in Cina per introdurre concetti, oggetti, animali o piante ignoti, perché assenti nella cultura d’arrivo, o quelle che gli interpreti hanno proposto per disambiguare espressioni o parole consuete in entrambi i sistemi linguistici, ma latrici di valori culturali diversi, come nel caso di ‘ombra’, di ‘anima’, o quelle per risolvere nel modo più agile possibile la grande quantità di toponimi e nomi propri, emblema della memoria storica europea.

Non ci rimane che attendere l’altra versione della Commedia ad opera dell’anziano italianista, Wang Jun, e di analizzare il lavoro interpretativo di Agostino Biagi, così da aggiungere altri tasselli al grande mosaico della storia centenaria della recezione della Commedia in Cina, convinti che, come scriveva Zhang Shuguang, il poeta-traduttore, «più numerose sono le versioni di una stessa opera, maggiori le possibilità per il lettore di coglierne l’essenza»[43].

 

Bibliografia

 

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[1] Questa informazione è riportata nella lettera che Giuseppe Tucci inviò ad Agostino Biagi il 21 febbraio 1943, in cui si legge: «[…] sono lieto di dirvi che l’Istituto [Ismeo] ha deciso di adottare il vostro testo per le scuole di tutte le sue Sezioni», Mara Carocci, Lettera a uno zio che voleva cambiare il mondo. Agostino Biagi, missionario francescano, pastore battista, antifascita, traduttore della Divina Commedia in cinese, Matera, Edizioni Magister 2022, p. 242. Altre notizie sulla vita di Agostino Biagi sono contenute nel saggio di Emanuele Banfi, Agostino Biagi ( ??? Ao Shiding), traduttore in cinese della Divina Commedia: il suo grande amore per la Cina, per la sua cultura, per la sua lingua, «Mondo Cinese» 170, XLVIII, 2 (2021), pp. 69-79. Ringrazio il collega Luca Pisano per la generosità con cui ha condiviso le informazioni e i materiali su Agostino Biagi.

[2] Dal maggio 2022 il primo quaderno contenente la traduzione della Commedia è consultabile online: https://accademiadellacrusca. it/it/contenuti/la-commedia-in-cinese-in-rete-ilprimo- quaderno-del-fondo-biagi/24627.

[3] Grazie alle informazioni fornitemi dal collega Luca Pisano, che ha avuto modo di visionare parte del materiale donato all’Accademia della Crusca, e che ancora ringrazio per la generosa condivisione, sappiamo che Biagi era in contatto con intellettuali cinesi residenti in Francia, e che da Lione acquistava e si faceva mandare testi cinesi.

[4] Sull’opera di Liang Qichao, si rimanda alla traduzione e commento di G. Bertuccioli, Un melodramma di Liang Qichao sul Risorgimento italiano: Xin Luoma (La Nuova Roma). Introduzione, traduzione e note, in «Catai» 1, 2 (1981), pp. 307-49; A. Brezzi, La fortuna di Dante in Cina nel XX secolo, in La ricezione di Dante Alighieri: Impulsi e tensioni, a cura di R. Unfer Lukoschik, M. Dallapiazza, München, Marin Meidenbauer 2011, pp. 255-277.

[5] Ida De Michelis, Dante nel risorgimento italiano: letture riformate, in «Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri» 9 (2012), pp. 153-160.

[6] Gao Changxu, Italian literature in the Republic of China: translators, interpreters, intellectuals, and their networks, Tesi di Dottorato, Roma, Sapienza Università di Roma 2022, pp. 67- 70. La traduzione in lingua inglese è del dott. Gao Changxu.

[7] Sulla traduzione dei tre canti di Qian si rimanda a Alessandra Brezzi, Qian Daosun e il suo Inferno – La prima traduzione della Divina Commedia in Scarpari M., Lipiello T. (a cura di), Caro Maestro… Scritti in onore di Lionello Lanciotti per l’ottantesimo compleanno, Venezia, Cafoscarina 2005, pp. 157-170.

[8] Qian Daosun ???, Shenqu yiluan ????, «Xiaoshuo yuebao ????» 12 juan, 9 hao (1921), p. 2. Qian Daosun soggiornò in Italia dal 1908 al 1910, grazie agli incarichi governativi del padre, Qian Xun ?? (1853-1927), funzionario del governo mancese.

[9] Qian Daosun, ibidem.

[10]Per maggiori dettagli v. Gao Changxu, op. cit., pp. 62-63.

[11] Danding ??, Shenqu – diyu pian ????? (Divina Commedia – Inferno), trad. di Tian Dewang ???, Beijing, Renmin wenxue chubanshe 1990, p. 30.

[12] Jiang Yuebin ???, Danding zai Zhongguo de bainian huigu ?????????? [Ripensare gli ultimi cento anni di Dante in Cina], «Waiguo wenxue yanjiu ??????» 1, (2015), pp. 130-138.

[13] La guerra sino-giapponese (1937-1945) ritardò l’uscita delle altre due cantiche che apparvero solo a conflitto concluso nel 1948.

[14] Danding ??, Shenqu – diyu pian (??-???), trad. Tian Dewang ???, Beijing, Renmin chubanshe 1990, p. 31.

[15] Danding ??, trad. Tian Dewang, op. cit., pp. 32-33; la citazione di Dante è in Dante Alighieri, Convivio, I, 7, a cura di G. Inglese, Milano, Bur Rizzoli 2014, p. 75.

[16] L’Inferno fu pubblicato nel 1954 dalla casa editrice Xin wenyi chubanshe (??????), nel 1962 la Wenyi chubanshe (?????) diede alla stampa l’opera integrale.

[17] Edito dalla Shiyue wenyi chubanshe, Pechino, 2004. A partire dall’inizio di questo secolo Can Xue ha ridotto la sua attività creativa dedicandosi principalmente a ricerche letterarie, dando alla luce alcune interessanti monografie su Dante, Calvino, Borges, Kafka.

[18]Danding ?? , Shenqu ?? (La Divina Commedia), trad. Zhu Weiji ???, Shanghai, Shanghai yiwen chubanshe, 1998, p. 1. La frase di Engels è contenuta nella prefazione all’edizione italiana del 1893 del Manifesto del partito comunista, in K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Torino 1963, pp. 319-320.

[19]Danding ??, Shenqu – Tiantang pian ????? (La Divina Commedia – Paradiso), trad. Huang Wenjie ???, Nanchino, Yilin chubanshe 2005, p. 449.

[20]Natalino Sapegno, Avvertenza, in Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia 1985, p. V.

[21]Danding ?? , Shenqu –1 diyu pian (??- 1???), trad. Huang Guobin ???, Beijing, Waiyu jiaoxue yu yanjiu chubanshe 2009, p. 1. Huang compone cinque corposi saggi (Prefazione del traduttore, Prefazione alla traduzione, Nota alla traduzione, Dante, Struttura dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso de La Divina Commedia e alcune tavole) per accompagnare la sua traduzione.

[22] Danding ??, Shenqu –1diyu pian, trad. Huang Guobin ???, p. 5.

[23] Danding ??, Shenqu – Diyu pian ??- ??? (La Divina Commedia – Inferno), trad. Xiao Tianyou ???, Shanghai, Shangwu yinshu guan 2021, p. 4.

[24]Ibidem.

[25]Jorge Luis Borges, Nove saggi danteschi, Milano, Adelphi 2001, p. 159.

[26]Huang Guobin ???, “Translating the Divina Commedia for the Chinese reading Public in the Twenty-first Century”, in «TTR: Traduction, Terminologie, Rédaction: Études sur le texte et ses transformations», XXI, 2 (2008), pp. 195-197.

[27] Danding ??, Shenqu –1 diyu pian, trad. Huang Guobin, op. cit., pp. 32-33.

[28]James S. Holmes, La versificazione: le forme di traduzione e la traduzione delle forme, in S. Nergaard (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani 2002, p. 244.

[29]Xiao Tianyou: Wo weihe yong “jueju” fanyi 700 duo nian qian de Danding “Shenqu”? ???:????????700??????«??»? [Xiao Tianyou: Perché ho tradotto La Divina Commedia di 700 anni fa con la quartina?], http://www.chinanewsitaly.com/4/2021/1217/13146.shtml (20/03/2022).

[30] Danding??, Shenqu – diyu pian, trad. Tian Dewang, op. cit., p. 33.

[31] Utilizzato dallo storico e critico letterario, Wang Guowei ??? (1877-1927), nel suo saggio del 1904 sul romanzo di epoca Qing, Commento critico de Il sogno della camera rossa (Honglou meng pinglun ?????), A. Brezzi , “The ‘Hell’ in China: Chinese translations of Dante’s Inferno in the 20th Century”; in Tham Wai Mun (ed.), Translation and Contrastive Studies: Collected Papers (Fanyi yu yuyan duibi luncong, ?????????), Singapore, Nanyang Technological University, Centre for Chinese Language & Culture 2003, p. 89.

[32] Utilizzato da Shan Shili ??? (1856-1881), la madre del primo traduttore, Qian Daosun, nel suo racconto sul soggiorno in Italia (1908-1909), il lemma ju ? indica qualunque componimento destinato alla rappresentazione scenica; A. Brezzi, op. cit., 2003, p. 90.

[33] Il composto di origine buddhista indica in senso lato qualunque ‘confine pulito non contaminato’’, può essere riferito ai templi o monasteri; Zhongwen da cidian ?????, Zhang Qiyun (a cura di), Taipei, Zhongguo wenhua daxue chubanse 1973, vol. 19, p. 399.

[34] G. Bertuccioli Review: La Divina Commedia, Inferno (1939; 4th edition, 1951); Purgatorio (1948; 3rd ed., 1950); Paradiso (1948; 3rd ed., 1950) by Dante Alighieri and Wang Wei-k’e, «East and West», V, 1 (1954), p. 44.

[35] Qian Daosun, Shenqu yiluan, op. cit., (1921), p. 18.

[36]Anche questo composto è utilizzato dai missionari gesuiti del XVII secolo; Henri Bernard, Les adaptations chinoises d’ouvrages européens, in «Monumenta Serica», X (1945), pp. 339, 352-53.

[37] Danding ??, Shenqu?? (Divina Commedia), trad. di Wang Weike ???, Beijing, Renmin chubanshe 2002, p. 520.

[38]In sanscrito Sukhavati è anche detta Terra pura.

[39] Bernard, H., op. cit., p. 352.

[40]Zhongwen da cidian, op. cit., vol. 20, p. 384.

[41] Cfr. A. Brezzi, The ‘Hell’ in China: Chinese translations of Dante’s Inferno in the 20th Century, 2003, pp. 108-109.

[42] Danding, Shenqu -diyu pian, trad. Tian Dewang, p. 33.

[43]Zhuanlai yige ziliao: Danding zhongyi??????: ????, Wenhui bao ???2002?10?15?, https://www. poemlife.com/forum.php?mod=viewthread&tid=31173.


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