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FRANCESCO BRUSCO, «La capovolta ambiguità di Orione». L’Argentina di Francesco Guccini (pp. 84-94)


 

Geografie letterarie, paesaggi sonori

Intitolato semplicemente Guccini, il disco pubblicato nel 1983 dal cantautore modenese, punto di svolta di tutta la sua produzione musicale[1], chiude una trilogia del viaggio che scandisce il lustro a cavallo tra i due decenni.

Lalbum Amerigo (1978) aveva sovrapposto alla storia di Enrico Guccini, prozio del cantautore emigrato negli Stati Uniti nel 1912[2], la disillusione personale di Francesco verso quel mito americano da cui era stato ammaliato fin da quando, a soli quattro anni, aveva assistito alla liberazione di Pavana da parte delle truppe della Quinta Armata.

In Metropolis (1981) invece, limmaginario tragitto spazio-temporale aveva fatto tappa nei grandi centri urbani del Vecchio Continente, ognuno espressione di una storia e di una simbologia propria. Da Bologna a Bisanzio, dal luogo della sicurezza a quello del dubbio, dal particolare alluniversale andata e ritorno.

Guccini e lepilogo perfetto. Il cantautore giunge a una perentoria conclusione, limpossibilita del viaggio per luomo contemporaneo, cui e preclusa la vera conoscenza dei luoghi visitati: «Da tempo e mare non simpara niente» proclama Gulliver nel brano a lui dedicato. La stessa sorte pervade la seconda traccia del disco, Argentina, diario di viaggio in forma di canzone:

 

In Argentina ci sono stato due volte, con Flaco. La prima abbiamo fatto Buenos Aires e Junin, la citta di Flaco. La seconda siamo andati con Roversi e Syusy Blady [per il programma tv Turisti per caso (1998), NdA] e abbiamo fatto da Buenos Aires fino alla Terra del Fuoco, la Patagonia, che ho scoperto che non è in Oceania come io credevo. E poi dalla Terra del Fuoco, da Ushuaia che ho scoperto essere fatta soprattutto dagli immigrati bolognesi fra laltro con un battello abbiamo fatto il canale di Beagle e siamo arrivati in Cile, dallaltra parte. É stato un viaggio molto bello quello lì, forse uno dei più belli che abbia mai fatto. La prima volta che ci sono andato, Buenos Aires mi ha fatto limpressione di unItalia anni Cinquanta. Ha una impronta molto italiana data da tutti gli emigranti che si sono stabiliti li. Anche lo spagnolo argentino e fortemente influenzato dagli italiani. Mentre in spagnolo lavorare si dice trabajar, in Argentina molti dicono lavurar[3].

 

Nel brano si rinnova il motivo del viaggio interiore, reso impervio dallimpossibilità di trovare una guida nella «capovolta ambiguità di Orione», unica costellazione visibile in entrambi gli emisferi: «La guardi e non ti tornano i conti, perché e rovesciata. Capisci che sei in un altro mondo»[4].

 

Poi un giorno, disegnando un labirinto

di passi tuoi per quei selciati alieni

ti accorgi con la forza dell’istinto

che non son tuoi e tu non gli appartieni.

E tutto è invece la dimostrazione

di quel poco che a vivere ci è dato

e l’Argentina è solo l’espressione

di un’equazione senza risultato[5]

 

Nella geografia letteraria di Guccini, ancor più che in quella di altri autori coevi, i luoghi non sono mai fotografie di latitudini reali ma milieu personali fatti di percezioni e rappresentazioni dello spazio-tempo assolutamente soggettive, cui pero si collegano precisi riferimenti culturali. Il cantautore, soggetto percettivo, assume unimportante funzione nella ricostruzione del senso di quegli stessi ambienti, diventando intermediario nella decifrazione delle simbologie culturali e umane insite nei luoghi narrati, siano essi spazi vissuti o soltanto immaginati[6].

LArgentina di Guccini, in tal modo, assurge a simbolo geografico di «quella nostalgia che prende a volte per il non provato», facendosi allo stesso tempo illusione del «già vissuto»:

 

Poi quelle strade di auto scarburate e quella gente

anni Cinquanta già veduta

tuffato in una vita ritrovata, vera e vissuta

come entrare a caso in un portone di fresco, scale

e odori abituali

posar la giacca, fare colazione e ritrovarsi in giorni

e volti uguali,

perché io ci ho già vissuto in Argentina

chissà come mi chiamavo in Argentina

e che vita facevo in Argentina?

 

É la descrizione di un déjà-vu: «Mi pareva di esserci già stato. Vedevo strade già conosciute, bar già frequentati. In qualcuno forse ero già entrato davvero. Non penso ad altre vite, ma a impressioni letterarie fugaci»[7].

Linvocazione del luogo lontano avviene sotto forma di epifora, ed e resa ancor più veemente dalla musica: proprio in concomitanza di quellultima terzina di versi larmonia afferma la tonalità con risoluzioni sempre più sfumate, facendo seguire alla cadenza autentica V-I la plagale IV-I, per poi chiudere sulla dominante con una successione V-IV-I-V anchessa di «capovolta ambiguità».

É interessante comparare il brano di Guccini a quelli, di medesima ambientazione, composti a pochi anni di distanza da altri due cantautori, Paolo Conte e Ivano Fossati. In entrambi, alla voce narrante del turista si sostituisce quella del migrante. Affidandosi inizialmente allinterpretazione su ritmo di habanera di Bruno Lauzi[8], Conte rinnova in Argentina (1981) un panorama gia catturato in Sudamerica (1979), sul cui orizzonte si misura la rovente disillusione del sogno per i tanti espatriati in cerca di fortuna:

 

È tutto grande in Argentina

Malinconia

ne abbiam frustate

scarpe a Buenos Aires

il cielo riservato agli emigranti

 

E i bastimenti gridano

— Partiamo —

davanti a un mare enorme americano

che sciacqua un sogno

vecchio ormai

 

Tra quei volti che guardano loceano potrebbe benissimo esserci il tassista cantato da Guccini, «gaucho di Sondrio o Varese, ghigna da emigrante, impantanato laggiù lontano».

Laggiù lontano si consumano anche gli Italiani d’Argentina di Ivano Fossati (dallLp Discanto, premio Tenco per il miglior album nel 1990), immigrati di terza generazione in bilico tra due culture, non piu italiani ma non ancora argentini[9]. Un filo spezzato, simboleggiato dal vano tentativo di mettersi in contatto radio con la madrepatria, concluso in un disperato monologo incapace di colmare la «distanza atlantica»:

 

Ecco, ci siamo

ci sentite da lì?

In questo sfondo infinito

siamo le ombre impressioniste

eppure noi qui

guidiamo macchine italiane

e vino e sigarette abbiamo

e amori tanti.

Trasmettiamo da una casa d’Argentina

illuminata nella notte che fa

la distanza atlantica

la memoria più vicina

e nessuna fotografia ci basterà

 

Nessuna fotografia, nessuna cartolina musicale viene esibita da queste canzoni, le quali evitano arrangiamenti in stile e mimetismi che risulterebbero luoghi comuni, cliché da turisti, per lappunto. «Nei libri arabi non si parla quasi mai di cammelli», dice Guccini citando Borges[10]. Nella sua opera, come in quella di Conte e Fossati, le suggestioni musicali provenienti dallAmerica Latina si depositeranno con estrema compattezza,

amalgamandosi in profondità con quelle letterarie.

 

Tango al Tenco. L’influenza di Flaco Biondini nella canzone gucciniana; suoni e ritmi d’Argentina in Conte e Fossati

 

I racconti degli italiani dArgentina hanno come controcanto quelli degli argentini dItalia: polifonie che compongono unepica latinoamericana i cui sentimenti cardine passionalità e malinconia su tutti filtrano nelle espressioni artistiche, letterarie, musicali, coreutiche. Le danze, in particolare, si rivelano organismi stratificati in cui alle radici autoctone si sovrappongono innesti africani ed europei[11]: questi ultimi, nel corso del Novecento, intraprendono il viaggio inverso dallAmerica del Sud ai porti del Vecchio Continente. La loro diffusione si lega allurbanizzazione e al trionfo della borghesia[12], la quale giunge a una completa separazione tra la sfera pubblica e quella privata che prende vita nei bar, nelle sale da ballo, nei caffé concerto.

«Pensiero triste che si balla», secondo la definizione di Enrique Santos Discépolo[13], il tango e di gran lunga la danza piu diffusa. Nato attorno al 1870 dallincontro tra la habanera cubana e le danze portuali argentine di origini creole e afroamericane, assimila ben presto elementi melodico-armonici delle musiche popolari spagnole e italiane a loro volta importate dallimmigrazione europea di fine Ottocento[14].

Italiani sono molti degli strumenti utilizzati, specialmente violini e chitarre, prima dellaffermazione del bandoneon. Italiani sono alcuni schemi armonici derivati dallopera e dalla canzone napoletana, dalle quali sono mutuati anche i motivi melodrammatici dellamore e del tradimento. Italiani sono infine molti dei cantanti e dei compositori delle origini[15].

Prima che i poeti argentini e uruguaiani comincino a cimentarvisi, i testi vengono scritti di preferenza in lunfardo, gergo dei bassifondi di Buenos Aires e dellarea rioplatense il cui lessico attinge a piene mani anche dai dialetti italiani. Amori, terre lontane, giovinezze perdute: la tanguedad e perfetta espressione dellamarcord italo argentino. Lo stesso Astor Piazzolla, anchegli migrante di terza generazione[16], dirà: «Sobre el tango flotan las melodias de los italianos»[17].

Lungo le medesime rotte, soprattutto in seguito ai drammatici capovolgimenti politici nel Sudamerica degli anni Sessanta e Settanta, una diaspora di artisti raggiunge la nostra penisola in esilio più o meno volontario. Juan Carlos Biondini detto Flaco, futura spalla destra di Guccini, è tra questi[18]. Il simbolico passaggio di consegne tra le due Americhe, sancito dallalbum Amerigo, si incarna nella staffetta tra la statunitense Deborah Kooperman (con Guccini dal 1970) e Flaco, presentato al cantautore proprio dalla chitarrista americana:

 

Cera una manifestazione a Marzabotto, per lanniversario delleccidio. Ero andato li con questo gruppo, fondato da Gianni Coron, che era stato non solo il primo bassista dei Nomadi ma anche il primo manager di Francesco Guccini. Tra gli artisti seguiti dallagenzia di Coron cera anche Deborah Kooperman, che conosceva Francesco [...] Io avevo già pensato, su consiglio di Deborah, di chiedergli di suonare con lui, perché sapevo che era rimasto senza chitarrista ma non lho fatto perché mi vergognavo; per fortuna ci ha pensato lei[19].

 

Lingresso dellargentino funge da catalizzatore per lampliamento di orizzonti di cui Guccini inizia ad avvertire il bisogno. La cultura e la musica dellAmerica Latina, daltra parte, esercitano già da tempo una seduzione particolare nei suoi confronti: «Cera già un interesse da parte mia, però Flaco lha sicuramente acuito, lha precisato»[20]. Un interesse che affonda le sue radici nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando il giovane Francesco inizia il suo apprendistato alla chitarra:

 

I miei primi pezzi andavano dal rocknroll al blues, ma cerano anche pezzi latinoamericani, ecco che troviamo la musica latina: allora erano molto di moda, se così si può dire, la Malagueña, o Cuccurucucu Paloma[21].

 

Una cosa che peraltro lo accomuna a De André, anchegli inizialmente educato alla chitarra sudamericana, con tanto di maestro colombiano[22]. Poi gli anni da chitarrista di balera, con la necessaria frequentazione del tango argentino in salsa emiliana. In maniera più matura, dalla fine degli anni Settanta lascendente ispanico è ulteriormente corroborato dalle letture e dallapprofondito ascolto dei cantautori catalani Lluis Llach Premio Tenco nel 1979 e Joan Manuel Serrat[23].

Ma è chiaramente Biondini a farsi ambasciatore della miglior tradizione musicale argentina la quale, prima ancora che nella produzione ufficiale, entrerà in scena durante gli improvvisati concerti all’Osteria delle Dame, il locale fondato nel 1970 dal cantautore e dal frate domenicano Michele Casali. Il box set pubblicato nel novembre 2017[24] testimonia la corposa presenza in scaletta di canzoni popolari argentine. Possiamo sentire Francesco e Flaco intonare Jacinto Chiclana[25], Chacarera del ‘55, Yo quiero un caballo negro e A Don Nicanor Paredes[26]. Ricorda Sergio Secondiano Sacchi, co-fondatore del Club Tenco:

 

Flaco non soltanto cantava. Tra una strofa e l’altra forniva anche la traduzione letterale. Com’era diverso, con i suoi poeti, il tango-canzone dalla caricatura che noi eravamo soliti fare. Da noi lo si usava solo come stereotipo umoristico e caricaturale: Celentano col suo Grazie, prego, scusi, Walter Valdi con Il palo della banda dell’Ortica (prima che Jannacci la rivestisse con un nuovo manto dixie), i Gufi con Orango Tango… Questo era stato il nostro terreno di coltura. Lo stesso Guccini aveva fornito un saggio di questa attitudine con il suo Il bello, quello col vestito della festa e la brillantina in testa. Ci innamorammo di quella musica. E fu proprio grazie a quelle serate che cominciarono ad arrivare a Sanremo i grandi vati della canzone americana meridionale, quella ispanica. Gli argentini Atahualpa Yupanqui, Susana Rinaldi e Mercedes Sosa[27].

 

Così come aveva fatto la Kooperman per l’idioma folk nordamericano, Biondini può assicurare un pedigree da madrelingua che va ad inserirsi su un retroterra assolutamente favorevole a quel tipo di commistione stilistica. Flaco, dichiarerà Guccini, «è stato il primo a scoprire certe analogie tra le atmosfere del tango e quelle delle mie canzoni»[28]. È lo stesso Biondini a spiegare quali:

 

Certi testi di Francesco potevano benissimo essere dei testi di tango, raccontavano una certa vita urbana proprio come fa il tango. Poi musicalmente lui usava molto quella che era la base della milonga e del tango, recuperata da Astor Piazzolla: la divisione del quattro in otto, con suddivisione degli accenti del tipo 3-3-2… Se ascolti Libertango, ad esempio, li senti… Francesco ha usato questa divisione in modo totalmente intuitivo ne La locomotiva. Lui però si ispirava più che altro a un ritmo nordamericano, e lì subentra l’essere parenti di certe musiche: cos’è che lega la musica degli Stati Uniti a quella del Sudamerica? Qual è la radice comune? L’Africa. Quasi tutta la musica che sentiamo ha origini africane, e così anche il tango e la milonga, ma non solo… Se ascolti Stand By Me ci trovi la stessa divisione della milonga e del tango usata per La locomotiva… Oppure mi viene in mente anche Diana di Paul Anka, successone degli anni Cinquanta. Tutto questo, nella canzone d’autore ti costringe anche a dividere le parole in un certo modo. Certamente l’italiano e lo spagnolo hanno dinamiche diverse da un punto di vista letterario, perché la sfiga dell’italiano, ciò che lo rende difficoltoso, è che finisce con le vocali, con prevalenza di parole piane, mentre nello spagnolo ci sono tante parole tronche, per non parlare dell’inglese che è il massimo della facilità per scrivere, tutte parole corte, monosillabiche, che puoi montare facilmente[29].

 

A partire dall’Lp Signora Bovary (1987), Biondini non è più soltanto chitarrista ma comincia a collaborare alla scrittura musicale[30], accrescendone ulteriormente la componente sudamericana. Caso esemplare è Scirocco, tra i brani musicalmente più belli del cantautore modenese, accompagnato dal bandoneón di Juan José Masolini su ritmo di milonga, danza di cui il tango è una sorta di discendente borghese:

 

Flaco aveva appena finito un disco di musiche di ispirazione sudamericana, e mi piaceva un giro armonico che mi stava strimpellando con la chitarra. «Fammelo risentire», gli dissi… È venuto a casa mia, l’ha ripetuto, e su quella musica ho scritto il testo di Scirocco[31].

 

L’incipit del giro armonico è in realtà estremamente gucciniano, basato sulla classica successione I- / VII / VI / V7 che caratterizza, tra gli altri, brani come Primavera di Praga e Il vecchio e il bambino. Ma proprio quando l’armonia sembra dirigersi verso il consueto approdo alla relativa maggiore la penna di Biondini si rivela pienamente con un’inedita progressione:

 

|| Fa Do/Mi | Si?/Re La/Do# | Do° Sol/Si | Si?° Fa/La | | Sol#° Mi/Sol# | Sol-6 La7 | La4 La7 ||

 

Accordi diminuiti e rivolti su bassi che scendono cromaticamente, estranei alla tavolozza armonica personale di Guccini:

È proprio la calata dei bassi a creare quell’armonia molto caratteristica che io ho preso dallo stile di Astor Piazzolla. Lui ha sempre usato moltissimo i bassi cromatici che si muovono, che a sua volta ha preso dalla musica classica… Sono sempre applicazioni prese da un genere e portate all’altro. A un certo punto poi Francesco, dato che aveva bisogno di esprimere un’idea letteraria mi ha detto: «Qua ci vuole qualcosa di diverso»… allora io mi sono messo lì a fare la la laaaa [canta la parte a contrasto di Scirocco, NdA] dove canta «Lui restò come chi non sa proprio cosa fare…». Sono tre parti in tutto e tra una parte e l’altra in studio di registrazione abbiamo inserito uno special, con un pedale, che era una mia idea, e una progressione di accordi Re- / Mima sempre mantenendo il pedale di Re al basso. Questo è l’arrangiamento: a volte è come prendere un palo di scopa e farlo diventare un albero fiorito[32].

 

Il testo è tra i più felici esempi dell’affinità tra la poetica di Guccini e quella del tango, a cui fanno riferimento dettagli di natura quasi cinematografica. Il «bar impersonale» in cui è ambientata la scena, tra le torri e via dei Giudei, è la versione bolognese del bodegón argentino, mentre l’«abito di percalle» della donna è una citazione dei tanti percal che abbigliano le danzatrici argentine[33].

Anche il canto, così come i bassi, segue un andamento prevalentemente discendente, conferendo una tinta di ineluttabile malinconia ai versi:

 

Ma io sapevo come ti sentivi schiacciato

fra lei e quell’altra che non sapevi lasciare

tra i tuoi due figli e l’una e l’altra morale

come sembravi inchiodato

 

Amori impossibili come quello del protagonista si associano anche nel tango a simili profili melodici:

 

Spesso la frase musicale inizia con un salto di quarta ascendente (dalla dominante verso la tonica superiore) per discendere paulatinamente [gradualmente, NdA]. Questo tratto è messo in relazione con una passione amorosa in cui predominano frustrazione e rinuncia. È questo il motivo per cui i salti ascendenti del centro della melodia vengono seguiti da irrimediabili discese. Dopo l’ansiosa salita melodica ritorna la caduta con la ripetizione della frase iniziale, in una macroforma ternaria riespositiva propria della canzone dell’epoca così come rilevato da Adorno in un suo celebre saggio sulla musica leggera [Il fido maestro sostituto (1963), NdA]. In questo modo, il profilo melodico dei tanghi riflette il fatalismo dell’uomo che si ferma nel piacere morboso della propria angoscia senza mai trovare una soluzione positiva alla sua disperata situazione[34].

 

Scritta interamente da Guccini è invece la musica di Tango per due, da Quello che non (1990): «Era da tanto tempo che volevo scrivere un tango, mi ci ero messo tante volte, alla fine ci sono riuscito», dichiara soddisfatto[35]. È la storia di un altro incontro, più fortunato di quello di Scirocco, seppur avvolto dallo spleen del tempo passato. Anche in questo caso la scrittura è fortemente cinematografica nel presentarci i protagonisti, inquadrati con cambi di campo scanditi dalla danza:

 

Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole

Lei, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole,

Lui bar, alcol, nicotina, capelli indietro, cravatta, bici,

Lei, lei rayon, lei signorina, la permanente coi ricci

 

Lui in tonalità maggiore, lei in minore, si potrebbe aggiungere richiamando in causa il contesto armonico, giocato sull’alternanza dei due modi che si spartiscono la quartina dopo la strofa fondata su una progressione per quarte — con dominanti secondarie e temporanee tonicizzazioni[36] — che il cantautore riproporrà dieci anni dopo:

 

|| Re- La7 | Re- Re7 | Sol- Re7 | Sol- | Do | Fa | Mi7 | La7 ||

 

Si arriva poi alla chacarera trunca di Luna Fortuna (in Parnassius Guccini, 1993) musicata ancora da Biondini, che impone nuovi schemi alla metrica gucciniana:

 

[Flaco Biondini] ogni tanto ci fa sentire dei pezzi del folklore del suo paese e la chacarera è una danza argentina. A me è piaciuta molto e gli ho detto: «Perché non facciamo una chacarera?». Operazione che è stata di notevole difficoltà perché la lingua italiana mal si adatta tutto sommato ad un tempo caratteristico come quello della chacarera. Ci siamo riusciti, e pare che sia riuscito anche a imparare a cantare perché le prime volte Flaco mi sgridava sempre perché avevo delle divisioni non giuste secondo lui[37].

 

Guccini si trova infatti a dover riscrivere i versi, ricorrendo al doppio ottonario per adeguarsi al ritmo anacrusico della danza. Il primo emistichio presenta la classica accentuazione su terza e settima sillaba; il secondo, aderente alle terzine della melodia, pone l’accento su quarta e settima:

 

Notte calda come tante vicino al fiume che canta

Aria piena del barlume di un lume fioco in distanza

E di lucciole sfuggenti con cui la notte si ammanta

 

Allo stesso Flaco è affidato anche il compito di armonizzare la voce di Guccini, espediente fin lì rarissimo nella produzione del cantautore. Proprio dall’eccezionalità del procedimento deriva una funzione quasi di virgolettato, di traduzione dei versi al plurale. Lo stesso accade con Canzone delle colombe e del fiore — dall’album D’amore di morte e di altre sciocchezze (1996) — ricca di polifonie vocali che sconfinano quasi in territorio Inti Illimani[38].

È di Flaco anche la musica — che stavolta precede di molto il testo — di Primavera ‘59, un altro tango che arricchisce l’album Stagioni (2000):

 

Avevo fatto un disco per la Fonit Cetra di brani strumentali [Marginaltangos (1981), NdA]. C’era un pezzo che si chiamava El Trece, che a Francesco piaceva moltissimo, ed era basato sul tango, ma suonato sempre a modo mio, perché io ho sempre interpretato secondo il mio gusto. Oggi lo fanno tutti ma al tempo no, perché il tango era considerato musica intoccabile. Francesco ha deciso di metterci un testo, chiamandolo Primavera ‘59; lo abbiamo inciso rispettando le stesure e tutte le mie idee, con l’arrangiamento originale[39].

 

Su un’armonia ancora una volta memore di Piazzolla[40], la voce del cantautore procede con insolito cromatismo: un altro infelicissimo amore, narrato arrampicandosi sul pentagramma per un’undicesima[41] per poi ridiscendere «paulatinamente» sillabando semitoni fino al ritorno sulla fondamentale.

 

Ma i giovani s’illudono d’essere immortali

e che ogni storia duri per l’eternità

non sanno quanti fili, trame occasionali

si tessono o svaniscono in casualità

 

Le sonorità e i ritmi di importazione argentina, a partire dalla metà degli anni Settanta, appaiono anche nella produzione di altri cantautori italiani: ancora una volta, sono Paolo Conte[42] e Ivano Fossati a fornirci validissimi metri di comparazione.

Nella musica del primo, i segni musicali latinoamericani, personalmente rielaborati, diventano connotazioni di esotismo e stravaganza. Sintetizzato come in un compendio, il tango è per Conte «il riassunto della vita, così come una lucertola è il riassunto di un coccodrillo»[43]. Dal tango derivano i temi del duello tra i sessi, come pure il motivo del bar solitario, locus amoenus e horridus allo stesso tempo (tale è il suo celebre Mocambo). In diversi passaggi inoltre l’artista piemontese ricorre alla lingua spagnola, creando, come afferma Stefano La Via, un inesistente linguaggio ibrido, quasi un nuovo lunfardo[44].

Accompagnato dal bandoneón, il suo primo Tango (1975) narra l’incontro, ambientato in un ristorante, tra un’elegante signora e il suo vecchio amante, destinato ad accettare la sconfitta con lucida tristezza. Del 1979 è Blue tangos, tratto dall’album Un gelato al limon, che vede alla chitarra proprio Flaco Biondini. Da un colore all’altro per un nuovo compendio lirico, Alle prese con una verde milonga (1981), in cui la danza viene personificata al punto che l’autore si rivolge a lei come ad una donna:

 

Mi avrai, verde milonga inquieta

che mi strappi un sorriso di tregua ad ogni

accordo, mentre fai dannare le mie dita

 

Qui il duello sessuale finisce col trionfo del poeta che addomestica la danza, invocandone le ‘divinità’ nel proprio lunfardo personale:

 

Fino ai laghi bianchi del silenzio

fin che Atahualpa o qualche altro Dio

non ti dica descansate niño che continuo io

 

Atahualpa Yupanqui, ossia «Viene da terre lontane per raccontar qualcosa», è lo pseudonimo di Héctor Roberto Chavero Aramburu. Conte lo conosce personalmente al Club Tenco, e gli rende omaggio anche nelle note del disco definendolo «ultimo grande interprete della danza pampera chiamata milonga»[45]. Il cerchio si chiude nel 2004 con Il regno del tango, che ci riporta alla nascita del tango europeo a inizio ‘900, tra immigrati in terra straniera[46].

Anche Fossati utilizza tango e milonga per connotare ambientazioni e personaggi, spesso sottolineandoli con strumenti che ricordano il bandoneón (fisarmonica, armonium, organetto), come avviene per la «femmina in Buenos Aires con gli occhi che fan moneta» in L’angelo e la pazienza (1996). In questo particolare filone di brani, il cantautore genovese ricorre a melodie lente, cadenzate dal suo tipico canto in anticipo sul tempo, che sottolinea ulteriormente il carattere sensuale e nostalgico dei temi. Si ascolti Notturno delle tre (1992), quasi una milonga, in cui Fossati riprende uno dei suoi motivi tipici, l’osservazione del mondo da «una persiana che rimane aperta».

Fa storia a sé, invece, Tango disorientato (2001), pezzo interamente strumentale (come tutto l’album da cui è tratto, Not One Word) debitore del Piazzolla di Vuelvo al sur (1988).

 

Pagine argentine tra Borges e Martín Fierro

 

Musica e lettaratura si legano a doppio filo al nome del più influente scrittore argentino del Novecento, Jorge Luis Borges.

Già con Evaristo Carriego (1930), ricco di vivide descrizioni dei quartieri italiani di Buenos Aires, egli aveva avviato una sistemazione storico-poetica delle danze argentine. Ma è il 1965 l’anno del tango per Borges. Dall’incontro con Piazzolla a fine gennaio nasce una feconda quanto riottosa collaborazione, il cui primo frutto è l’album El tango. Di poco successiva la raccolta Para las seis cuerdas[47], undici testi di milonghe in cui ai ricordi dell’infanzia bonaerense si interpongono gli archetipi derivati dalla poesia gauchesca.

Simili rimembranze e protagonisti occupano, nell’autunno di quello stesso 1965, le conferenze sul tango, fortunosamente registrate e ritrovate solo nel 2002.

Guccini scopre Borges durante il servizio militare: L’Aleph dell’argentino, pubblicato in Italia per la prima volta nel 1959, è tra le letture che accompagnano i riposi di Francesco in caserma, assieme al Diario minimo di Umberto Eco e ad altrettante pagine di Eliot, Milton, García Lorca e Edgar Lee Masters[48].

Aleph è «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli»[49]. È lì che Guccini incontra i temi dominanti della poetica borgesiana: il tempo e il destino, la morte e l’immortalità, la metafisica e l’infinito, la memoria e i labirinti. È soprattutto l’ossessione per il tempo, oltre all’assunto generale dell’autore che «parte sempre da sè stesso», ad accomunare i due. Per Guccini, Borges è «uno scrittore che reinventa il tempo»[50], sdoppiandolo e interpretando il sogno come realtà, tanto da eliminare ogni confine tra vero e fantastico, verosimile e assurdo. Registri che si ritrovano con la stessa alternanza in tanti brani del cantautore modenese, come Bisanzio (1981), Autogrill (1983) o appunto Argentina. Non a caso, quando lo cita esplicitamente in Via Paolo Fabbri 43 (1976) — dopo aver ballato «un tango argentino col casquè» — Guccini reitera a distanza di pochi versi il proprio rapporto con il tempo:

 

Jorge Luis Borges mi ha promesso l’altra notte

di parlar personalmente col persiano[51]

ma il cielo dei poeti è un po’ affollato in questi tempi

forse avrò un posto da usciere o da scrivano.

Dovrò lucidare i suoi specchi

trascriver quartine a Khayyám

ma un lauro da genio minore

per me, sul suo onore, non mancherà.

Se avessi coraggio, se aprissi del tutto le porte

farei fuochi greci e girandole per la tua fronte

ma sai cosa io pensi del tempo e lui cosa pensa

di me

sii saggia com’io son contento qui in via Paolo Fabbri 43

 

Lo stesso tempo reinventato è tra i topoi dell’altro cantautore borgesiano per eccellenza, Roberto Vecchioni. Già Ninni (dall’album Calabuig, Stranamore e altri incidenti, 1978) parte da un racconto dell’argentino, Il libro di sabbia (1969), in cui l’autore siede su una panchina con se stesso più giovane; Vecchioni si ritrova invece su un treno con suo padre, sua madre, suo fratello e se stesso vent’anni prima. Borges ricomparirà periodicamente in tutta la produzione del cantautore milanese: si ascoltino Dentro gli occhi (1982), Io non appartengo più (2013), e Il miracolo segreto (2013) ispirato all’omonimo racconto dell’argentino.

All’interno della produzione gucciniana, Borges funge anche da anello di congiunzione con l’epica gauchesca, cui è dedicato un saggio della Discusión (1932) e che affiora in diversi racconti del già citato L’Aleph. Alle radici di questo filone c’è la cosiddetta payada, un’improvvisazione poetica[52] accompagnata dalla chitarra, tra due o più payadores che duellano a colpi di versi rispondendo anche per ore alle rispettive ‘domande’. Gli stili musicali più utilizzati sono la cifra, la huella e la stessa milonga[53], mentre il soggetto principale è appunto la vita del gaucho, il mandriano della Pampa, il cui lessico diventa linguaggio letterario grazie alle opere che istituiranno il genere a partire dalla prima metà dell’Ottocento, proprio quando la civiltà dei gauchos inizierà a estinguersi. A immortalarne le gesta, eroi più o meno storicamente rintracciabili: dal Ramón Contreras figlio della penna di Bartolomé Hidalgo al Fausto Criollo di Estanislao del Campo, fino al più celebre, il gaucho Martìn Fierro creato nel 1872 da José Hernández.

Loro epigono novecentesco, incontrato da Guccini proprio nel racconto che dà il titolo a L’Aleph[54] è il Don Segundo Sombra (1926) di Ricardo Güiraldes. A un episodio minore del suo romanzo — e a un poema dello stesso Borges, El gaucho — si ispira la primissima canzone ‘argentina’ del cantautore emiliano: Antenòr[55], dall’album Metropolis (1981). È la storia di un giovane gaucho che viene sfidato a duello da «un uomo mai visto prima» per «una donna non ricordata». Antenòr non vorrebbe duellare ma non ha scelta perché, in base al codice d’onore del suo clan, rifiutando perderebbe la reputazione e dovrebbe lasciare la città, mentre uccidendo l’avversario sarà costretto all’esilio in quanto assassino. La chitarra, suonata per terze su corde di nylon, ci porta subito in clima latino. Ma a testimonianza del sincero avvicinamento personale del cantautore verso lo stile sudamericano, va detto che Biondini prende parte alle registrazioni solo in un secondo momento, al ritorno da un soggiorno di quattro mesi e mezzo in patria:

 

Su Antenòr credo di aver messo due o tre note, in realtà… Perché avevano chiamato un mio amico con cui avevo fatto la scuola di jazz, Paolo Gianolio. Non volevo suonare per via di Pier Farri [all’epoca produttore e arrangiatore di Guccini, NdA]. Quando è stato terminato quel disco è avvenuta la rottura tra lui e Francesco[56].

 

Ritorna, intonata su una terza quasi blues sotto la quale soggiace un accordo di settima diminuita, la «nostalgia del non provato»:

 

La cantina era quasi vuota, scarsa d’uomini e d’allegria:

se straniero l’avresti detta quasi piena di nostalgia.

Nostalgia ma di che cosa, d’un oceano mai guardato,

d’una Europa mai sentita, d’un linguaggio mai parlato?

 

E ritorna anche il motivo del destino, degli «sbagli nati per caso» e della vita che «gioca d’azzardo», tema caro a Borges quanto a Güiraldes: «Pero, que quiere, es el destino y ese hombre traiba el empeño de que se cumpliera»[57].

 

Verso l’Ultima Thule

 

Nella personale epica gucciniana non può mancare un altro dei più grandi argentini, Ernesto Che Guevara, cui sono dedicati ben due brani.

Quello che dà il titolo all’album Stagioni (2000) è scritto in due momenti ben distinti:

 

È una canzone nata nel 1967, poco dopo la morte del Che. Avevo scritto una piccola strofa, che poi era rimasta lì. Tempo fa, in casa di amici, ho riproposto quelle poche parole vecchie di trent’anni, assieme ad altre canzoni mai incise. Sono piaciute molto. Quasi per gioco, ho fatto la stessa cosa durante un concerto. Come sai, io interrompo spesso i brani per parlare con il pubblico. Avevo visto un gruppo di ragazzi con la maglia del Che, e così ho pensato di dedicargli quella strofa: è venuto giù il Palasport. Tutti mi hanno detto che non sarebbe stato male finire la canzone. È stata dura: sono dovuto tornare indietro con un lungo flash-back, creando un parallelo tra quella generazione e questa[58].

 

Introdotto da un riff di chitarra classica e battiti di mani, il pezzo replica la sequenza di accordi di Tango per due, sulla medesima tonalità e con simili profili melodici[59], a conferma dell’istintiva tendenza di Guccini a legare i soggetti di derivazione argentina a precise soluzioni musicali. Viene ripresa anche la dialettica tra una tonalità minore — su cui Francesco canta i ricordi della sua generazione — e la sua parallela maggiore, che sostiene i versi esplicitamente dedicati alla vicenda del Che, la cui laica sacralità è resa dalla reiterata cadenza plagale Sol/Re:

 

Che Guevara era morto, ma ognuno lo credeva

Che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva

 

L’antitesi maggiore-minore caratterizza anche Canzone per il Che, dall’album Ritratti (2004), il cui testo è accreditato all’inedito duo Francesco Guccini - Manuel Vázquez Montalbán, con musica di Juan Carlos Biondini. È proprio Flaco a proporre al Guccini traduttore un testo del letterato spagnolo, Poema al Che, ispirato a materiale scritto dallo stesso Guevara e precedentemente musicato da Biondini su iniziativa del già citato «La capovolta ambiguità di Orione». L’Argentina di Francesco Guccini Saggi Sergio Secondiano Sacchi:

 

A Flaco assegnai l’unico brano inedito, recuperando una lunga poesia, del 1968, di Manuel Vázquez Montalbán, basata per due terzi su frasi dello stesso Che. Chiesi all’autore se poteva ridurla, sforbiciandola, a formato canzone. Manuel, che non si ricordava nemmeno più di averla scritta, mi promise che l’avrebbe fatto. Ma fu una promessa che si trascinava di rimando in rimando. Alla fine mi autorizzò a fare, di quel testo, ciò che volevo. Fu Flaco stesso che si occupò dell’operazione. E con ottimi risultati. Ancora migliori, furono quelli musicali. Tanto che lo stesso Francesco Guccini, qualche anno dopo, ha voluto incidere quella canzone, traducendola in italiano[60].

 

Nella versione gucciniana i versi si comprimono e si dilatano, obbligando alla disparità anche la metrica musicale e governando l’alternanza tensione-risoluzione ancor più di quanto faccia l’armonia. Quest’ultima, dopo il Re maggiore che caratterizza tutta la prima parte, ripiega sulla sua relativa minore proprio nel momento in cui il rivoluzionario argentino si accinge a dare l’ultimo saluto ai suoi genitori e a Castro:

 

Addio vecchi, oggi è il giorno conclusivo

non lo cerco, ma è già tutto nel mio calcolo.

Addio Fidel, oggi è l’atto conclusivo

sotto il mio cielo, nella gran patria di Bolìvar

 

Riecco la milonga, e uno struggente bandoneón. Gli ultimi versi, non più cantati, riprendono le ultime parole pronunciate dal Che prima di essere ucciso: «Signor Colonnello, sono Ernesto, il “Che” Guevara. Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo».

Ascoltando con attenzione la discografia gucciniana, diventa chiaro come questi riferimenti letterari e musicali non siano un mero esercizio di stile, né tanto meno un’imitazione sterile di idiomi letterari e musicali differenti. La poetica di Guccini, alimentata da letture, ascolti, visioni ed esperienze, diventa un mezzo per indagare le relazioni che legano uomini, terre e idee, ricomponendo un mosaico in cui le tessere della musica e della letteratura si uniscono a quelle della storia, della geografia e del costume.

L’ultima Thule (2012) è una magnifica summa di tali istanze espressive. Immaginato da anni come tale, fin dal titolo, è per Guccini il degno epilogo di una ricchissima produzione discografica. Difficile resistere alle metafore suggerite da quel vascello in copertina che naviga tra i ghiacci verso una terra leggendaria all’estremo nord dell’Europa, conosciuta da Guccini proprio grazie ai versi di Jorge Luis Borges[61]:

 

E ora, attraversando sette secoli

dall’Ultima Thule

la tua voce mi giunge

Snorri Sturluson.

 

Dopo quell’ultimo viaggio musicale Francesco si concentra sulla scrittura, con una prolificità che non cede neanche un passo allo scorrere del tempo, sua grande ossessione. Quegli stessi milieu personali un tempo cantati adesso dimorano tra le pagine dei suoi romanzi. Quando nell’aprile del 2018 incontra un altro celebre uomo di Buenos Aires, Guccini si presenta, emozionato, declamandogli i primi versi del capolavoro di Hernández.

L’interlocutore argentino stavolta non è un letterato né un cantautore. Un altro Francesco, papa della chiesa cattolica, anch’egli emozionato e sorpreso da quella citazione: «Perché conosci il Martín Fierro?».

 

Bibliografia

 

Marco Aime, Tra i castagni dell’Appennino. Conversazioni con Francesco Guccini, Torino, UTET 2014.

Samuel L. Baily, Immigrants in the Lands of Promise. Italians in Buenos Aires and New York City, 1870-1914, Ithaca, CornellUniversity Press 1999.

Massimo Bernardini, Guccini. Momenti della canzone d’autore, Padova, Muzzio Editore 1987.

Jorge Luis Borges, Il tango, Milano, Adelphi 2019.

Jorge Luis Borges, Per le sei corde. Undici milonghe, Milano, Adelphi 2020.

Francesco Brusco, Guccini. Frammenti di un discorso musicale, Milano-Udine, Mimesis 2020.

Massimo Cotto, Un altro giorno è andato. Francesco Guccini si racconta a Massimo Cotto, Firenze, Giunti 1999.

Gabriella Fenocchio (a cura di), Francesco Guccini. Canzoni, Milano, Bompiani 2018.

Francesco Guccini, Cròniche epafàniche, Milano, Feltrinelli 1989.

Francesco Guccini, Vacca d’un cane, Milano, Feltrinelli 1993.

Francesco Guccini, Cittanòva blues, Milano, Mondadori 2003.

Francesco Guccini, Non so che viso avesse. Quasi un’autobiografia, Milano, Mondadori 2010.

Francesco Guccini, Tralummescuro, Milano, Giunti Editore 2019.

Ricardo Guiraldes, Don Segundo Sombra, Editorial Universidad de Costa Rica 1996.

Paolo Jachia, Francesco Guccini. 40 anni di storie romanzi canzoni, Roma, Editori Riuniti 2002.

Pirjo Kukkonen, Tango Nostalgia, Helsinki, Helsinki University Press 1996.

Stefano La Via, Musica per poesia in Paolo Conte. Una rilettura di ‘Madeleine’, in Centro Studi Fabrizio De Andre (a cura di), Il suono e l’inchiostro. Cantautori, saggisti, poeti a confronto,Milano, Chiarelettere 2009.

Cristina Mastinu, Miti, musiche, immagini dell’America Latina nella canzone di Ivano Fossati, tesi di laurea, Universita degliStudi di Sassari, Facolta di lettere e filosofia, anno accademico2002-2003.

Oscar Juan Matteucci, Los Italianos y el tango, Pehuajo, 1997.

Giovanni Messina e Cecilia Lazzarotto, Percezione e narrazione dei luoghi. La poetica di Guccini fra prospettive geografiche e applicazioni didattiche, in Lorenzo DAgostino (a cura di), Percorsi sul pentagramma. Geografia, letteratura e musica, Torino,Nuova Trauben 2018.

Dale Alan Olsen e Daniel Edward Sheeh (a cura di), The Garland Handbook of Latin American Music. Volume 1, New York-Londra, Garland Publishing 2000.

Cristiana Pagliarusco, Non è uno scherzo sapere continuare. Guccini, l’America e quella strada tra la via Emilia e il West, in«Acoma», n. 9 (2015).

Valentina Pattavina (a cura di), Francesco Guccini. Stagioni, Torino, Einaudi 2000.

Federica Pegorin, Francesco Guccini. Cantore di vita, Cantalupa, Effata 2006.

Federico Pistone, Tutto Guccini. Il racconto di 161 canzoni, Roma, Arcana 2020.

Curt Sachs, Storia della danza, Milano, Il Saggiatore 1996.

Ilaria Serra, Italian Tango between Buenos Aires and Paolo Conte, in Italian Sound. Special Issue of California Italian Studies,v. 4, n. 1, 2013.

Paolo Talanca, Fra la via Emilia e il West. Francesco Guccini: le radici, i luoghi, la poetica, Milano, Hoepli 2019.

Rosa Ucci, Nostalgia tradimento amore. Viaggio all’interno del tango, Chieti, Tabula Fati 2011.



[1] L’album Guccini segna innanzitutto l’esordio di Renzo Fantini come produttore al posto di Pier Farri, controverso deus ex machina dei dischi precedenti. Per la prima volta i musicisti hanno carta bianca negli arrangiamenti; inoltre, a partire da quello stesso anno gli stessi collaboratori in studio — Vince Tempera, Ares Tavolazzi, Ellade Bandini, Flaco Biondini — formeranno il gruppo fisso di Guccini anche per i concerti.

[2] L’anno di partenza si desume dalla data di rilascio del passaporto, cfr. Massimo Cotto, Un altro giorno è andato. Francesco Guccini si racconta a Massimo Cotto, Firenze, Giunti 1999, p. 103.

[3] F. Guccini, in Marco Aime, Tra i castagni dell’Appennino. Conversazioni con Francesco Guccini, Torino, UTET 2014, p. 147.

[4]Ivi, p. 143.

[5] Per i testi di Guccini si è fatto riferimento alle due raccolte supervisionate dal cantautore: Valentina Pattavina (a cura di), Francesco Guccini. Stagioni, Torino, Einaudi 2000; Gabriella Fenocchio (a cura di), Francesco Guccini. Canzoni, Milano, Bompiani 2018.

[6] Cfr. Giovanni Messina e Cecilia Lazzarotto, Percezione e narrazione dei luoghi. La poetica di Guccini fra prospettive geografiche e applicazioni didattiche, in Lorenzo D’Agostino (a cura di), Percorsi sul pentagramma. Geografia, letteratura e musica, Torino, Nuova Trauben 2018, pp. 67-84.

[7] Francesco Guccini, in «Corriere della Sera», 6 giugno 2020.

[8] Nel Qdisc Amici miei (1981). Il Qdisc, marchio di proprietà della RCA italiana, è un vinile da 12” con quattro canzoni. Il brano sarà poi ripreso dall’autore nell’album Snob (2014), con un ¾ molto più veloce della prima versione.

[9] Cfr. Cristina Mastinu, Miti, musiche, immagini dell’America Latina nella canzone di Ivano Fossati, tesi di laurea, Universita degli Studi di Sassari, Facolta di lettere e filosofia, anno accademico 2002-2003, p. 86.

[10] In un’intervista privata del 1982: https://www.youtube.com/ watch?v=8wz4Nmd1F9I, ultimo accesso 26 aprile 2021.

[11] Cfr. Curt Sachs, Storia della danza, Milano, Il Saggiatore 1996, pp. 22-3.

[12] Cfr. Pirjo Kukkonen, Tango Nostalgia, Helsinki, Helsinki University Press 1996, p. 230.

[13] Paroliere e musicista argentino della prima metà del Novecento.

[14] In Argentina gli italiani arrivano massicciamente a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Gli anni formativi del tango, tra il 1870 e il 1920, sono anche quelli del più grande flusso migratorio dall’Europa e particolarmente dall’Italia. Gli italiani costituiscono il 60% circa dell’immigrazione totale verso l’Argentina prima del 1890, con un picco di 23 mila arrivi nel 1870. La popolazione di Buenos Aires cresce da 91.395 abitanti nel 1855 a 2.415.142 nel 1936. Nel 1887, su 433.375 abitanti, il 53% è nato all’estero e il 32% di costoro in Italia. Il tasso di immigrazione di ritorno è alto: tra 1881 e 1910 il 41.6% degli italiani fa ritorno in patria da Buenos Aires. Cfr. Ilaria Serra, Italian Tango between Buenos Aires and Paolo Conte, in «Italian Sound. Special Issue of California Italian Studies», v. 4, n. 1, 2013, p. 3. I dati sono tratti da Samuel L. Baily, Immigrants in the Lands of Promise. Italians in Buenos Aires and New York City, 1870-1914, Ithaca, Cornell University Press 1999, p. 59.

[15] Cfr. Rosa Ucci, Nostalgia tradimento amore. Viaggio all’interno del tango, Chieti, Tabula Fati 2011, p. 19.

[16] Il nonno paterno, Pantaleone Piazzolla, e un pescatore emigrato in Argentina da Trani. La famiglia materna è invece originaria di Villa Collemandina (Lucca). Il maggior successo di Piazzolla, Libertango, viene inciso a Milano nel 1974, con Tullio De Piscopo alla batteria, Pino Presti al basso e Filippo Dacco alla chitarra.

[17] In Oscar Juan Matteucci, Los Italianos y el tango, Pehuajó, 1997, p. 39.

[18] Nativo di Junín, Biondini arriva in Italia nel 1974, stabilendosi a Parma per studiare jazz con Filippo Daccò. L’incontro con Guccini è del 1976; Flaco collaborerà tra gli anche con Paolo Conte, nel disco Un gelato al limon (1979).

[19] Juan Carlos Biondini, intervista personale, 21 aprile 2020. Le interviste dell’autore a Francesco Guccini e Flaco Biondini sono pubblicate in Francesco Brusco, Guccini. Frammenti di un discorso musicale, Milano-Udine, Mimesis 2020.

[20] Francesco Guccini, intervista personale, 8 aprile 2020.

[21]Ibidem.

[22] Il cantautore genovese ne serberà il ricordo nelle ritmiche di brani come Franziska e Andrea, manifestando in seguito una fortissima fascinazione per la musica brasiliana, testimoniata dall’ultimo album Anime salve (1996) e dall’idea, mai realizzata, di un disco tributo a Caetano Veloso e ad altri artisti brasiliani.

[23] Da Serrat, Guccini tradurrà La Tieta in dialetto modenese con il titolo La ziatta, nell’album Ritratti (2004). La sua versione si manterrà fedele alla storia originale di un’anziana zia morente, rispetto al ben più libero adattamento fatto in precedenza da Paolo Limiti per Mina (Bugiardo e incosciente, 1969).

[24]L’Ostaria delle Dame (2017), Universal Music.

[25] Brano di apertura del disco El tango (1965), prima collaborazione tra Piazzolla e Jorge Luis Borges, di cui si parlera piu avanti.

[26] Una delle undici milonghe dalla raccolta di Jorge Luis Borges Para las seis cuerdas (1965). Don Nicanor Paredes è il “ras” del barrio Palermo, popoloso quartiere di Buenos Aires, «i baffi un po’ ingrigiti / ma lo sguardo luminoso / e all’altezza del cuore / il rigonfio del coltello. / Il coltello di una morte / della quale non voleva / raccontare; brutta storia / di dadi o corse di cavalli».

[27] Sergio Secondiano Sacchi, in «Il Cantautore», 2009, p. 12.

[28] Francesco Guccini, in «Tv Sorrisi e Canzoni», 21 marzo 1987.

[29] Juan Carlos Biondini, intervista personale, 21 aprile 2020.

[30] Saranno quindici i brani di cui sarà co-autore nei dischi di Guccini.

[31] Francesco Guccini, intervista personale, 8 aprile 2020.

[32] Juan Carlos Biondini, intervista personale, 21 aprile 2020.

[33]Cfr. Gabriella Fenocchio, op. cit., p. 194.

[34]http://www.icbsa.it/mostrevirtuali/passione_argentina/it/stilemi.html#, ultimo accesso 12 marzo 2021.

[35]Francesco Guccini, in «Rockstar», dicembre 1990.

[36]La tonicizzazione, che in questo caso avviene sull’accordo di Sol minore, è il procedimento che conferisce enfasi particolare ad un grado della scala che, per breve tempo, è percepito come una nuova tonica.

[37]Francesco Guccini, in «La parola a Guccini», intervista audio allegata alla rivista «Tutto», 1994.

[38]Si confronti ad esempio la linea melodica sul terzo verso di ogni strofa con quella cantata dal gruppo cileno ne La Fiesta de San Benito (1’26”), da Vive Chile! (1973).

[39]Juan Carlos Biondini, intervista personale, 21 aprile 2020.

[40]La sezione centrale, con il solo di sassofono, si rifà a Zita, secondo brano della Suite Troileana (1976).

[41]L’intervallo melodico che va dal La2 iniziale al Re4 del terzo verso (sulla prima sillaba di “sanno”).

[42]Conte, tra l’altro, è legato al milieu gucciniano sia per la collaborazione con Biondini sia per il sodalizio professionale con Renzo Fantini, manager di Guccini dal 1975.

[43]Paolo Conte, in Ilaria Serra, op. cit., p. 16.

[44]Stefano La Via, Musica per poesia in Paolo Conte. Una rilettura di ‘Madeleine’, in Centro Studi Fabrizio De André (a cura di), Il suono e l’inchiostro. Cantautori, saggisti, poeti a confronto, Milano, Chiarelettere 2009, p. 171.

[45]Vinicio Capossela tradurrà da Atahualpa il brano Los ejes de mi carreta (in italiano, Abbandonato), nell’album Rebetiko Gymnastas (2012).

[46]Ilaria Serra, op. cit., p. 24.

[47]Jorge Luis Borges, Per le sei corde. Undici milonghe, Milano, Adelphi 2020.

[48]Massimo Bernardini, Guccini. Momenti della canzone d’autore, Padova, Muzzio Editore 1987, pp. 15-6.

[49]Jorge Luis Borges, L’Aleph, Milano, Feltrinelli 1959, p. 161.

[50]Paolo Jachia, Francesco Guccini. 40 anni di storie romanzi canzoni, Roma, Editori Riuniti 2002, p. 109.

[51]Il “persiano” in questione è ?Umar Khayyam (1048-1131), poeta, astrologo, politico e filosofo persiano, a cui Borges fa riferimento nel suo Elogio dell’ombra (1969).

[52]Basata sulle décimas, gruppi di dieci versi, per lo più ottonari.

[53] Dale Alan Olsen e Daniel Edward Sheeh (a cura di), The Garland Handbook of Latin American Music. Volume 1, NewYork-Londra, Garland Publishing 2000, p. 398.

[54]Il romanzo è citato a pag. 156. Il traduttore Francesco Tentori Montalto definisce Don Segundo «un gaucho mutato nel fantasma poetico di se stesso».

[55]https://guccinifanclub.wordpress.com/2018/06/11/antenorcommento-di-a-morreale/, ultimo accesso 15 marzo 2021.

[56]Juan Carlos Biondini, intervista personale, 21 aprile 2020.

[57]Ricardo Güiraldes, Don Segundo Sombra, Editorial Universidad de Costa Rica, 1996, p. 193.

[58]Francesco Guccini, in «Il Mucchio», 27 marzo 2000.

[59]Si confrontino, ad esempio, i versi di Tango per due a 0’28” («la vita è solo una cosa rimasta indietro non c’è più, ma c’era») con quelli di Stagioni a 0’23” («di un ottobre avanzato con il cielo già bruno»). Altre similitudini si incontrano nel prosieguo dei brani.

[60]Sergio Secondiano Sacchi, in «Il Cantautore», 2009, pp. 12-3.

[61]Dalla poesia Un lettore, tratta da Il libro degli esseri immaginari (1969), in cui Borges cita Snorri Sturluson (1178-1241) storico, poeta e politico islandese.


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