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JEAN-LUC NANCY, Narrazioni del fervore, il desiderio, il sapere, il fuoco. Con un saggio di Flavio Ermini, Bergamo, Moretti & Vitali, 2007

 

 

 

Che scivoli con la leggerezza della spuma marina che diede la nascita a Venere, o si contragga nella cifra di un frammento, di quanto resta di un rogo di pagine e libri, la parola seduce. La seduzione della parola è questo: darsi nella nudità cristallina del significante, lasciando a noi il compito di intuire la profondità alla quale accenna, il suo "fervore". La parola perciò oltre che seduttiva è fervida, e laddove non porta con sé il furore dell’incendio, aleggia al di sopra dell’abisso lacustre o marino. L’alternanza della seduzione nel fuoco e nell’acqua è il filo rosso che lega insieme un ventennio di scritti dell’autore Jean-Luc Nancy. Si tratta di lavori sviluppati a partire da contesti disparati e per destinazioni altrettanto disomogenee, i quali tuttavia si offrono come un evento narrativo e con una naturalezza tale che l’esplicitazione nel titolo della raccolta può soltanto suggellare quella che è l’impressione generale una volta riemersi dalla lettura. Ecco che allora l’accostamento tra la saggistica e la scrittura letteraria non si rivela poi tanto improbabile, ma offre la possibilità di modulare un invito a ciò che Nancy chiama l’approccio "Tutto avviene come un’imminenza. È come ciò che talvolta si chiama poesia, oppure pensiero, oppure amore: una rivelazione è imminente, resta sospesa in questa imminenza, è tutta nell’approccio. […] In definitiva si dimostra che lo sfioramento è la verità. La verità dell’amore è il suo approccio e il suo annuncio […] e così l’amore della verità, il suo approccio, è la verità stessa." La verità della parola non coincide con lo sprofondamento nel suo senso, quanto piuttosto nel modo in cui siamo in grado di avvicinarla. In tal senso, Nancy letteralmente si diverte, nel seguire molteplici strategie di avvicinamento, come lui stesso ammette: "oggi i miti si sono interrotti. Non sono scomparsi: da secoli, presto da millenni, giochiamo con la loro schiuma". E che gioco sia "Afrodite nata dalla schiuma; Aphrodite aphroghéneia […] ma Afrodite è "colei che ama il sorriso", o "colei che sorride volentieri". Così la chiama il cantore cieco, Aphrodite philommèdes?" Nancy non forza mai la parola proprio perché vuole consentire all’opposto una moltiplicazione febbrile dei suoi significati. L’etimologia cede il passo alla visione dell’altra figura femminile dominante, la Maddalena, già rievocata accanto alla dea dell’amore nella suggestiva lettura in appendice di Flavio Ermini : "Il nome di Magdala parla di chiome e d’acqua, parola di scorrimento, di libazione, di effusione." La moltiplicazione delle suggestioni create dalla parola liberata può agire al livello macroscopico della scena, come in Faust dove il rinnegamento della cultura tradizionale viene riproposto da Nancy in nove varianti. Il rifiuto diventa rogo, dal rogo si estraggono le pagine incombuste, e da quelle pagine balzano le parole. Queste non hanno nulla a che vedere con il sapere che veicolavano un tempo, ma sono diventate il richiamo ad un’altra verità, non ancora svelata ma tutta da scoprire: "Eppure si, proprio ora posso aprire un volume di pagine vergini e tracciare la prima parola di una lingua da inventare. Un’altra bruciatura può cominciare a nostra insaputa, perché il nostro insaputo è il sapere esatto dell’innominato." La parola che sopravvive al sapere tradizionale ora concentra in sé il sapere a venire. La concentrazione è appunto il principio che sembra orientare il percorso di senso seguito dall’orientamento di testi nella seconda parte della raccolta. L’apertura è affidata alla danza, non un banale riferimento al corpo come manifestazione più immediata del significante, ma al contrario vista come l’azione di distacco dell’uno dal tutto che dà vita alla fissazione del senso, il salto primigenio, per dirla con l’autore, il quale si lancia in una suggestiva rivisitazione etimologica della parola tedesca Ursprung. Da qui la ricerca del significante si declina in tante immagini: l’ombra, il rapporto sessuale, la camera oscura che avvolge l’abbraccio degli amanti, puntando tuttavia ad un limite estremo, annunciato nella citazione biblica "Vox clamans in deserto". La voce è il confine più estremo al quale può spingersi il significante, una volta che può riscoprirsi come pura emissione di suono. La voce che vibra nel deserto è il grido solitario del Battista, ma è anche ciò che rimane dalla cancellazione di ogni struttura, di ogni parola. "La voce è la precessione del linguaggio, la vera immanenza di esso nel deserto, dove l’anima è ancora sola, dice Valéry, attorniato dai filosofi che la penna di Nancy chiama a raccolta. Ma come la pagina si brucia per riscriversi vergine, la voce ha eliminato la parola per poter davvero dire, e richiamare così l’anima dell’altro "fa tremare l’anima, la sveglia. L’anima sveglia l’altro in se stessa. Questa è la voce". Ma ogni possibilità di incontro si cancella di fronte alla prospettiva abissale dell’uomo ritiratosi nella purezza della voce nel deserto, dove ogni struttura e ogni rapporto viene meno. Qui si scopre l’ultimo degli uomini e può ritrovare il tutto sprofondando in sé stesso, incendio e lago abissale: "Cancellando il proprio sguardo cade in se stesso. È il primo al di fuori senza un didentro. È ciò che resta del dentro quando sprofonda in sé". Qualcosa di abissale, ma che Nancy riconosce in sé e in tutti coloro che lo hanno seguito, e che si allarga al sentire quotidiano "si passa da lì, si passa infinitamente".

 

(Annalisa De Donatis)


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