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IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) pp. 117-118 (scarica il pdf)

Madonne. Regine, principesse e nobildonne nella letteratura medioevale, a cura di DONATELLA MANZOLI, Spolia 2020, pp. 241


Nella storia della letteratura medioevale le donne, descritte o scriventi, appaiono riunite in un hortus conclusus che, a dispetto di limiti perimetrali non troppo ampi, racchiude una straordinaria diversità di forme. Il volume Madonne. Regine, principesse e nobildonne nella letteratura medioevale, a cura di Donatella Manzoli, seguendo il filo rosa della regalità femminile attraverso i contributi di otto studiose (Manzoli, Stoppacci, Bartoli, Degl’Innocenti, Iacono, Spetia, Digilio, Tonelli), restringe il campo d’indagine a quelle donne che, in virtù del loro stato sociale privilegiato, emergono al di sopra della “massa anonima femminile”. 
Il volume Madonne. Regine, principesse e nobildonne nella letteratura medioevale, a cura di Donatella Manzoli, seguendo il filo rosa della regalità femminile attraverso i contributi di otto studiose (Manzoli, Stoppacci, Bartoli, Degl’Innocenti, Iacono, Spetia, Digilio, Tonelli), restringe il campo d’indagine a quelle donne che, in virtù del loro stato sociale privilegiato, emergono al di sopra della “massa anonima femminile”. 
Apre la schiera delle nobildonne un corteo di dame carolinge, che nel poemetto in esametri noto come Karolus Magnus et Leo Papa, attribuito a Modoino di Autun, figurano sorprendentemente presenti a una battuta di caccia. Integrando e ampliando le considerazioni di Peter Godman relative al modello venanziano del Karolus Magnus e alla presenza delle dame carolinge nei panegiristi del re, Donatella Manzoli (Le principesse di Carlo Magno e i gioielli di Venanzio Fortunato, pp. 7-36) dimostra come i versi di Teodulfo e di Angilberto di Saint-Riquier, unitamente agli esametri di Modoino e ad alcune asciutte righe di prosa tratte dalla Vita Karoli di Eginardo, vengano a configurare “un piccolo esercito di donne”, la cui rilevanza deve essere ascritta al ruolo di “vertice politico” che le figlie del re avevano assunto collettivamente, specie dopo la morte della regina Liutgarda, ultima moglie legittima di Carlo Magno.
Saranno poi le dominae imperiales e le virgines moniales di casa Sassonia a “ritagliarsi uno spazio privilegiato in una società governata da soli uomini”, secondo le parole di Patrizia Stoppacci («Acutissima Minerva». Da Hadwig di Svevia a Rosvita di Gandersheim: committenti, maestre e letterate della dinastia ottoniana, pp. 37-68), esercitando poteri politici ed ecclesiastici non inferiori a quelli dei duchi, dei sovrani o dei vescovi coevi e divenendo promotrici di cultura.
Un passo ulteriore nell’indagine del rapporto intercorrente tra le variabili del genere, del rango e del ruolo è svolto da Elisabetta Bartoli (Badesse e nobildonne: potere al femminile tra collezioni epistolari e fonti archivistiche, pp. 69-92), mediante l’esame di alcune lettere-modello datate al XII secolo, in cui figurano come interlocutrici donne “socialmente esposte”. È il caso della contessa-vedova o della badessa-feudatario, entrambe costrette ad assumere la gestione patrimoniale, richiedendo (e promettendo) all’occorrenza aiuti militari o denunciando turbative subite. Dal confronto di questi exempla con epistole in cui, a fronte di situazioni del tutto analoghe, figurano interlocutori maschili, è possibile rilevare, osserva la Bartoli, un’identica retorica epistolare, che “non muta se l’interlocutore è uomo o donna”, giacché “è il ruolo che fa la differenza”. Una constatazione che, sebbene significativa, può tuttavia considerarsi valida soltanto per quelle “categorie femminili” – la vedova e la badessa – “a cui la mancanza di un uomo vicino conferisce fisionomia autonoma e virile”.
L’assenza del contrappeso maschile caratterizza anche un’altra, rivoluzionaria, immagine di donna, quella della “santa nobile”, che “mostra ancora in controluce i valori della cultura di corte (la nobiltà, la bellezza, la virtù), ma che al tempo stesso dà a quei valori un senso completamente diverso”. Sono queste le parole con cui Antonella Degli Innocenti (Nobili e sante: le donne di casa d’Este nel XIII secolo, pp. 93-110) tratteggia il profilo di Beatrice I d’Este, esempio di santità nobiliare, che la studiosa affianca a quello della nipote Beatrice II, riservando infine qualche accenno a Beatrice III, morta “in odor di santità”, senza tuttavia prendere i voti.
Del tutto diversa è invece quella “santità al femminile”, fatta di obbedienza filiale e coniugale, indagata da Antonietta Iacono (Mogli aristocratiche e regine. Educazione femminile e regalità nella Napoli aragonese, pp. 111-134), che muovendo dal ritratto della “donna – coniunx” presente nel De obedientia del Pontano giunge a esaminare la “funzione economica” della moglie ravvisabile nel trattatello De concordia et ineundo coniugio del Caracciolo, autore inoltre di quattro biografie di donne (la vita della sorella e della regina Giovanna I e le due biografie mitiche di Penelope e Didone), presentate come exempla virtutis.
Fortemente avverso alla castità delle donne, nemica della bellezza, è l’anonimo autore del romanzo in lingua d’oïl Partenopeus de Blois, presentato da Lucilla Spetia (Nomen omen: la Melior del Partenopeus de Blois e il suo autore, pp. 135-170) al fine di illustrare “la femminilizzazione del desiderio erotico”, incarnata dalla protagonista Melior, erede dell’impero bizantino, che, contro ogni convenzione, sceglie il proprio amante, ricerca il piacere erotico, conosce le arti liberali, la medicina, la teologia e la magia ed esercita prerogative proprie dei clercs e degli chevaliers.
D’altra parte l’immagine di una donna che non è più “il sostegno del cavaliere (…) ma rappresenta ella stessa un modello di norme alternativo”, secondo le parole di Maria Rita Digilio (Laudine e il doppio finale dell’Iwein di Hartmann von Aue, pp. 171- 190), è offerta anche dalla figura di Laudine nell’Iwein di Hartmann von Aue, il quale assolve completamente la regina dalle accuse di frigidità e volubilità a lei rivolte da Chretién de Troyes nell’Yvain.

È infine un’autoassoluzione letteraria quella di Francesca da Rimini, che, come scrive Natascia Tonelli (Libri galeotti da Eloisa a Flamenca a Francesca, pp. 191-210), “ammanta di favoloso e romanzesco il suo traviamento nelle parole di Dante”. Attraverso un percorso fatto di “libri galeotti”, che lega l’immoderatus amor di Eloisa alla passione di Flamenca e al piacer sì forte di Francesca, la studiosa confuta l’idea che la nobildonna di Rimini sia, nelle intenzioni di Dante, un “paradigma negativo”.
A scapito dunque di un titolo che parrebbe evocare “lo stereotipo di un medioevo fantasy e fiabesco”, il volume presenta un mondo femminile estremamente concreto, protagonista e oggetto di un continuo adattamento al divenire storico, nel tentativo di superare i limiti imposti dal genere, ora attraverso la legittimazione politica e intellettuale, ora mediante la santità spirituale o domestica, ora gridando alla rivendicazione di diritti erotici, ora affermando una muliebre virilità, in un percorso che, senza cedere alla tentazione di proiezioni o parallelismi impropri, getta le basi e offre utili strumenti per la definizione della donna moderna. 


di Chiara Bellaveglia

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