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IN SEMICERCHIO. RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXIV (2021/1) pp. 133-135 (scarica il pdf)

FLAVIANO PISANELLI, LAURA TOPPAN, Confini di-versi. Frontiere, orizzonti e prospettive della poesia italofona contemporanea, Firenze University Press 2020, pp. 308, € 17,90


Confini di-versi si presenta come uno strumento utile a inquadrare il campo delle scritture migranti italofone, con particolare attenzione per la poesia. Frutto di una lunga fedeltà di cui sono testimonianza le locandine dei convegni svoltisi presso l’Università Paul Valéry di Montpellier a partire dal 2012, il volume è pensato e costruito come un viaggio. Quello dei dodici autori su cui è posta la lente dell’analisi critica, tutti legati all’esperienza del transito fisico, linguistico, identitario e culturale, ma anche quello intrapreso dagli stessi Pisanelli e Toppan in varie zone d’Italia per raggiungere i poeti del corpus da loro proposto: uomini e donne ritratti nel piccolo Album fotografico collocato in coda al volume, prima della fondamentale Bibliografia. 
Senza mai discostarsi dai requisiti propri di un lavoro accademico, Confini di-versi non rinuncia all’idea di una critica come militanza. A trent’anni dalla nascita del fenomeno di una letteratura italiana transnazionale, Pisanelli e Toppan provano a capitalizzare un duraturo lavoro di approfondimento e frequentazione, riepilogando i termini di una produzione quantomai feconda, pur nello stato di endemica precarietà ricettiva in cui è da sempre costretta. Dare un volto ad alcuni dei poeti che hanno scelto la lingua italiana per la propria attività creativa induce a considerare tali autori non già come un capitolo a parte della tradizione letteraria patria, ma come i portatori di un cambiamento in favore del quale è ormai inevitabile e doveroso adoperarsi: «Sarebbe opportuno che gli studiosi considerassero in particolare la possibilità di inserire il vasto settore della letteratura italiana contemporanea, ivi compreso quello della letteratura italiana della migrazione, all’interno di una letteratura italofona, proprio come è accaduto da ormai molti decenni alla letteratura anglofona, francofona, ispanofona e lusofona, tutte nate dalle diverse letterature postcoloniali» (p. 23).

Nel primo paragrafo, gli autori tracciano un breve ma affilato preambolo che mette direttamente in relazione quanto verrà affrontato nel corpo del testo con l’attuale configurazione geopolitica. Partendo dall’esposizione di un imprescindibile presupposto storico, essi indicano come i più recenti fenomeni linguistici ed estetici in atto nelle varie tradizioni letterarie nazionali rispondano, più o meno direttamente, a un discorso di portata globale. Attraverso un rovesciamento (oramai inevitabilmente innestato) del rapporto fra centro e periferia del mondo, la prima e più importante delle implicazioni che la cosiddetta letteratura della migrazione porta con sé riguarda la stessa essenza vitale delle lingue/letterature, ovvero il fondamento dell’identità culturale, non più rapportabile ai confini nazionali. 
Lo studio offre in prima battuta una sintetica ma esaustiva introduzione al panorama delle scritture migranti e alle molteplici implicazioni teoriche che caratterizzano l’esperienza di autori divisi tra più lingue, spesso segnati da esperienze traumatiche come la guerra e la persecuzione politica o razziale. Da un inquadramento di ordine generale, si passa poi alla situazione italiana, caratterizzata da una condizione peculiare: «[…] essendo l’italiano una lingua di limitata tradizione coloniale, esso è in effetti ‘adottato’ più volentieri dallo scrittore migrante che decide di risiedere in Italia; tuttavia, l’autore straniero che si esprime in italiano ha generalmente una competenza linguistica non paragonabile a quella dello scrittore anglofono o francofono proveniente da un paese che ha conosciuto un più o meno lungo periodo di colonizzazione» (p. 23). Tale condizione, che ha determinato buona parte del ritardo tipico della fattispecie nazionale, potrebbe rivelarsi, sul lungo periodo, un’importante occasione: «[…] se da un lato la debole competenza linguistica dello scrittore che si esprime e scrive in italiano […] rallenta la nascita e lo sviluppo di una letteratura italofona. della migrazione consapevole e linguisticamente matura, dall’altro la scrittura di questi autori rappresenta per il sistema letterario nazionale un’ottima e profonda occasione di rinnovamento espressivo» (ibid.).
Si arriva infine allo specifico della poesia, interessata da un cospicuo ritardo rispetto alla situazione di altri paesi, in cui la storia coloniale ha accelerato il dibattito intorno al tema dell’identità linguistico-letteraria: «A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con un ritardo di circa un decennio rispetto alla pubblicazione di opere in prosa, si registrano le prime pubblicazioni di raccolte poetiche scritte in italiano da autori migranti» (p. 34). La proposta di Pisanelli e Toppan pone particolare accento sull’opera degli autori di prima generazione, i quali vivono senza mediazioni l’esperienza dell’erranza fra paesi-lingue-culture, misurando l’impatto (potenziale o effettivo) che la loro produzione ha avuto e potrebbe ancora avere sulle lingue europee, a partire da una riconsiderazione dell’idea di cultura nazionale: «Queste condizioni ci conducono a comprendere sempre di più l’importanza, sul piano letterario, linguistico e culturale, di questi scrittori di prima generazione che sono ormai in via di estinzione. Attraverso le loro opere ‘impure’ (o dissidenti), essi sono i soli autori a poter oggi operare sulle frontiere tra le lingue, le culture e, di conseguenza, a rimettere in discussione i principi di una cultura che non è ahimè ancora pronta ad accogliere al suo interno un modello identitario e linguistico plurale, corale, interculturale» (p. 34).
Fra i molteplici risvolti stimolati dall’esperienza degli autori migranti, si può segnalare la poetica dell’inter-lingua, a cui gli autori dedicano un paragrafo specifico. Presi in un meccanismo di contingente ‘doppia incompetenza’ (così definita dai linguisti), gli autori che trasmigrano da una lingua-identità a un’altra attraversano una sorta di terra di nessuno, nella quale l’essenza prima della concezione poetica è messa a nudo e costretta a riformularsi dall’esigenza espressiva, trovando nuovi accenti, nuovi modi, nuove parole, in costante rapporto con accenti, modi e parole della lingua d’origine. Come efficacemente messo in luce dagli autori di Confini di-versi, la condizione in cui si trovano autori in between dipende inevitabilmente da una soluzione di compromesso. Questa esperienza di straniamento linguistico-identitario, e quindi cognitiva, può essere tesaurizzata per conoscere aspetti inediti e irraggiungibili da una tradizione linguistica-letteraria univoca e consolidata attraverso i secoli. È così che le esperienze individuali, segnate dallo spaesamento, possono contribuire a un’approfondimento delle identità culturali collettive: «Mia Lecomte […] sostiene che i mondi che arrivano ad incontrarsi attraverso l’opera dello scrittore-migrante non corrisponderebbero sempre ai mondi che l’autore avrebbe percorso o nei quali avrebbe vissuto, ma sarebbero il luogo interiore della loro costante sensazione di estraneità al mondo esteriore e, al tempo stesso, il luogo esteriore di una interazione sempre possibile ma mai raggiunta in modo definitivo». (p. 28)
Il corpo centrale del testo presenta la biografia e la poetica di un gruppo di autori di varia provenienza geografica. Per il gran numero di testi citati, questa parte è leggibile anche come una piccola antologia. Introducendo brevemente alcune voci della poesia migrante già riconosciute dalla critica e dai lettori, come Gëzim Hajdari, Ubax Cristina Ali Farah, Ndjock Ngana Ndjock, Thea Laitef e Julio Monteiro Martins, gli autori del volume si rivolgono alla platea di poeti e poetesse incontrati nello svolgimento della propria precedente attività, selezionandoli in base a un criterio relativo alla costanza e consistenza della produzione e alla volontà di rappresentare ampiamente le provenienze geografiche. I dodici autori, presentati per provenienza geografica, sono Božidar Stanišic e Arben Dedja (area balcanica), Mihai Mircea Butcovan e Barbara Serdakowski (Europa dell'Est), Barbara Pumhösel ed Eva Taylor (Europa Centrale), Vera Lúcia de Oliveira, Carlos Sánchez e Francisca Paz Rojas (America Latina), Nader Ghazvinizadeh e Hasan Atiya Al-Nassar (area mediorientale) e infine Cheick Tidiane Gaye (Senegal). Come affermano i firmatari del volume, tali autori «[…] sembrano rappresentare in modo più autentico la situazione attuale di questa produzione letteraria fondata sul plurilinguismo, sulla dislocazione identitaria e sull’elaborazione di un’identità plurale, nozioni in grado di sviluppare una vera e propria poetica di frontiera» (p. 57).
Particolarmente interessanti sono poi le interviste raccolte nella quinta parte del volume. Il questionario proposto agli autori, infatti, è atto a determinare il rapporto sussistente fra esperienza della migrazione e ispirazione poetica, con particolare attenzione alle implicazioni linguistiche e compositive (comprese quelle relative a traduzione e autotraduzione) dello spostamento geografico. Gli autori sono esplicitamente invitati a descrivere, a partire dalla propria esperienza individuale, quale sia, sul piano della scrittura, il rapporto fra le lingue di cui si servono. Sono inoltre presenti quesiti in cui gli autori vengono interrogati sulla propria prassi compositiva, sull’impatto della propria produzione nel panorama della tradizione letteraria italiana e sul trinomio identitario lingua-popolo-nazione. In questo modo, la vis teorica, sacrificata in ragione di un’ordinata serie di profili critici, è recuperata per voce degli stessi poeti presentati.
Se, ad esempio, scorriamo i pareri espressi dagli autori in merito alla categoria di ’poesia italofona’, troviamo un ventaglio di posizioni che spaziano dal fastidio esternato da Dedja – «Preferirei essere chiamato poeta italiano» (p. 215) – all’ironia di Butcovan – «La definizione del poeta già di per sé mi imbarazza quanto basta. ’Italofono’ è un insulto in più» (p. 221) – all’atteggiamento problematico di Pumhösel, che invita a notare come la sua produzione di narratrice per l’infanzia non sia mai stata oggetto di categorizzazioni relative alla sua origine austriaca. Poche, in generale, sono le posizioni pacificate, come quella di Taylor, che richiama la componente ludica della propria produzione in versi. Più comuni, invece, appaiono le posizioni di compromesso (come a esempio nel caso di Serdakowski e de Oliveira, che registrano un miglioramento rispetto ai decenni passati) e di rifiuto. Blando e ironico nel caso di Paz Rojas, Ghazvinizadeh e Al-Nassar («Non sono molto entusiasta della definizione di ’poeta italofono’», p. 278) più categorico nel caso di Gaye («Se essere poeta italofono può voler dire poeta di serie B, in questo caso non lo accetto», p. 283).
Qualunque sia l’atteggiamento assunto dagli autori interrogati, la domanda denuncia di per sé il ritardo che è tanta parte della peculiarità italiana in merito alle scritture migranti. Tale ritardo, di carattere prevalentemente storico, è spesso frammisto a un senso di rifiuto (altra faccia di una vagheggiata ’purezza’ o ’superiorità’ della tradizione letteraria patria) costituzionalmente messo in crisi, come ricordato da Pisanelli e Toppan, dallo stesso atto di nascita della scrittura migrante italiana: «A partire dal 1995 gli scrittori italiani della migrazione chiedono sempre più di essere annoverati tra gli autori della letteratura italiana contemporanea, proprio come è accaduto ai numerosi migrant writers che, ormai da decenni, si esprimono in altre lingue dell’Europa Occidentale» (p. 24).
Confini di-versi è un libro plurimo, come le storie che racconta: puntuale introduzione pratica e teorica alla letteratura transnazionale (con il corollario delle infinite strade che questa prospetta), aggiornato sondaggio e antologia di poeti italiani della migrazione, documento storico di una consolidata tradizione di studio. Soprattutto la teoria letteraria ha dimostrato di saper dialogare compitamente con le questioni sollevate dalla difficile posizione degli scrittori presi fra due o più lingue-culture-identità, affrontando uno spettro di approfondimenti possibili che vanno dalla storia geopolitica ai paradigmi giudiziari, dalla linguistica al cognitivismo. Utile a chi si avvicini alla poesia italofona della migrazione e a chi desideri approfondire l’opera degli autori presentati, lo studio lascia intravedere un complesso panorama di questioni che è possibile affrontare solo da una prospettiva interna, nello sforzo di «[…] sollevare nuovi interrogativi sull’evoluzione della letteratura contemporanea e della letteratura dei mondi» (p. 53).

di Fabrizio Miliucci

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