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Tutte le facce dell’amore

di Mark Jakovlev (Jakob Margolis)

In: «Semicerchio», LVII (2017/2), Uncreative poetry, pp. 26-33.


Saggio sulla raccolta poetica A memoria/Naizust’ di Annelisa Alleva pubblicato in italiano e in russo a San Pietroburgo dalla casa editrice Puškinskij Fond nel 2016 (http://pushkinfond.ru/)



Perdonami tutto, tutto,
Amore mio, – che t’ho fatto!
Marina Cvetaeva

L’ispirazione di tutti questi versi – è Brodskij.
Questo significa che il famoso poeta per me è stato anche una Musa.
                                                                                                                                         
                                                                          Annelisa Alleva dalla postfazione di A memoria/Naizust’ 




Annelisa Alleva è autrice di nove raccolte. Il suo ultimo libro è un’antologia di poesie d’amore, dal titolo A memoria/Naizust’. Scritto nel corso di 30 anni, merita un discorso a parte per la sua unicità. Il libro è stato diviso dall’autrice in due parti: «Prima» – i versi fra il 1981 e il 1989 – e «Poi» - quelli che vanno dal 1996 al 2012, ma, a mio parere, si compone di cinque parti. Leggiamo attentamente queste cinque parti del libro.
È difficile dire perché il padre di AA, medico, all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso avesse trovato per sua figlia di sette anni un’insegnante di russo, la lingua di Puškin e di Tolstoj, fortemente esotica in quegli anni. Forse suo padre era un sostenitore del paese che aveva sbaragliato il fascismo, che aveva lanciato il primo uomo nel cosmo, e che aveva costruito «un futuro luminoso» per tutti gli uomini sulla Terra? No, mi assicura lei: suo padre voleva semplicemente che la figlia studiasse una lingua difficile, che avrebbe potuto renderla una persona singolare.E credo che abbia raggiunto il suo scopo: lo studio del russo ha reso effettivamente sua figlia una persona singolare.
L’insegnante, come racconta Annelisa nella postfazione del suo libro, era una paziente del padre un’anziana signora polacca con le piume sul cappello, che aveva perso tutti i parenti in guerra e viveva con difficoltà, e forse il dottore, senza fare ulteriori progetti sulla carriera della figlia, aveva voluto semplicemente aiutarla. E così facendo le costruì una vocazione.
La bambina era molto sensibile e dotata per le lingue, imparò piuttosto presto l’alfabeto cirillico, e cominciò a leggere e a scrivere in russo: s’innamorò della lingua, e più tardi di tutta la letteratura russa. Diventata adulta, scrive:
«Non ho mai capito che cosa venisse per primo: mi ero innamorata di un poeta russo perché innamorata di quella letteratura, o il contrario?»
La risposta è semplice ed è contenuta nella Bibbia: «Al principio fu la Parola», e la parola fu… «avtobus», autobus in russo. Questa fu la prima parola che apprese nella lingua di Dostoevskij e di Cechov, perché cominciava con la lettera «A». Evidentemente la sua insegnante aveva un metodo tutto suo, diverso da quello che si praticava in Russia. Come vedremo più avanti dai versi di AA, il metodo dell’insegnante si rivelò giusto, e «avtobus» non fu solo la prima parola russa imparata, ma il luogo del suo addio a un grande amore.
Il tratto fondamentale del carattere della bambina era l’attenzione costante al suo mondo interiore e il desiderio di preservarlo dai genitori e dai fratelli più grandi, perché si vergognava di parlare con loro di quello che occupava la sua immaginazione infantile.
Confidava i suoi segreti di ragazzina solo al foglio bianco di carta del diario, che teneva dall’infanzia, chiudendosi a chiave in camera sua. Per nascondere i suoi segreti ad occhi estranei, la bambina scriveva in italiano, ma coi caratteri cirillici, usando l’alfabeto russo. Al padre non piaceva che la figlia si chiudesse in camera sua e, quando era già un’adolescente, le sequestrò la chiave. La chiave presa dal padre aprì la strada al suo diario segreto.
Evidentemente tutti i figli nella famiglia di AA erano dotati filologicamente, e i due fratelli, poco più grandi di lei, «giovani esploratori», erano capaci non si sa come di decifrare gli appunti russo-italiani nel diario, che riuscivano puntualmente a trovare nella stanza della sorella. Questi, ridacchiando, si mettevano più tardi a raccontare i suoi segreti in pubblico, a pranzo, davanti al padre e alla madre, mentre la bambina arrossiva dalla vergogna.
La chiave sequestrata dal padre alla figlia rappresenta il divieto di tenere un proprio segreto nascosto alla famiglia. Forse A memoria/Naizust’ è una reazione nella donna già adulta a un trauma infantile. Forse nasce anche da questo il suo desiderio di radiografare coi versi da parte a parte la propria anima. Se in casa non c’è segreto, non c’è un angolo tuo nel quale poterti raccogliere in solitudine, la casa è rotta. Tutta la vita cerchiamo quel che abbiamo perso durante l’infanzia, quello che ci mancava. Per AA – è la chiave perduta.
Il tema della «chiave perduta» è cominciato nel percorso poetico dell’autrice non da oggi, non da questo libro. Già nel 2010 aveva pubblicato il libro di versi La casa rotta (Jaca Book, Milano 2010, Premio Sandro Penna) e la «chiave perduta» è metafora di molti suoi versi.
Adesso, al computer, mi scrive al contrario: in russo, ma coi caratteri latini – per lei è più semplice, mentre io, come una volta i fratelli maggiori «giovani esploratori», devo lambiccarmi il cervello per decifrare il contenuto dei suoi messaggi al computer.
Naturalmente, finita la scuola, Annelisa ha proseguito gli studi scegliendo il corso di laurea in Lingua e Letteratura russa alla Facoltà di Lettere dell’Università di Roma La Sapienza.
Prima d’incontrare il poeta Iosif Brodskij, AA aveva scritto solo diari e racconti, e da ragazzina si esercitava a scrivere in rima. Lui diventò sua Musa e maestro.
Si conobbero a Roma nell’antica Villa Mirafiori il 10 aprile 1981, dove IB leggeva la prefazione alla nuova edizione americana in due volumi delle poesie e dei poemi di Marina Cvetaeva, mentre AA si era appena laureata e aveva finito proprio allora di tradurre lo cvetaeviano Racconto su Sonecka.
Avrebbe voluto domandare al poeta visto per la prima volta quale fosse il significato di un verso di Marina Cvetaeva: «Poiché, poeta, una volta/Che ti è data la voce, il resto – è preso», ma si vergognava di farlo in un’aula universitaria.
Dopo la conferenza Annelisa, insieme con altri ascoltatori, si avvicinò a IB per un autografo, ma lui chissà perché firmava i libri di quelli che stavano in fila dietro di lei, e a lei fece capire con un gesto che doveva aspettare. Come ha raccontato nella straordinaria intervista a Valentina Poluchina a Venezia nel 2004:

«Poi mi fece l’autografo, aggiungendo a questo il suo numero di telefono. Immediatamente mi diminuì l’appetito e peggiorò il sonno».

IB partì per Londra e AA sentì la necessità di perfezionare il suo
 inglese proprio a Londra; alla fine dell’estate tornò in America e andò lì anche lei con tre amici italiani. Seguendo le tracce di lui, s’avvicinò alle sue radici, ai suoi genitori: vinse una borsa di studio e fu mandata, questa volta casualmente, a Leningrado. Lì andava a trovare i genitori anziani di IB, e poi più tardi scrisse su questa frequentazione la poesia Dai Brodskij (1987):

Cominciai a tornare ogni giovedì.

Nella prima poesia di questa raccolta antologica la figlia del dottore si è fatta da sola una diagnosi e ha previsto il corso della malattia:

Noi a spicchi, riflessi nello specchio
dell’armadio socchiuso.
Una lunga crepa si snoda sul soffitto.
                           Londra, giugno 1981

Si potrebbe concludere che il libro di versi A memoria è un armadio socchiuso a due ante, nel quale si specchiano poeticamente a turno il Poeta e la Musa, e sono presenti tutte le facce dell’amore. Al suo interno la poesia Specchio, pensata come un dialogo, finisce con l’inevitabile conferma del suo alter ego:

Io sono il tuo specchio.

La prima poesia è breve, filosofica alla giapponese, e profetica alla Cechov: se nel primo atto è attaccato al muro un fucile, nell’ultimo sicuramente sparerà! Il soffitto è crollato dopo circa otto anni, nel gennaio 1989.
Nella poesia Specchio (1988) AA scriverà:


Specchio mio bello…

e quello le risponderà:

Ti dico picche.

Ma quel tempo è ancora lontano. I versi di Brodskij volavano nel 1974 da Ann Arbor a San Pietroburgo: «Da nessun posto con affetto addì/del mese di martembre […]», mentre Annelisa appuntava nel suo diario nel 1981, poco dopo averlo conosciuto:

Questo quaderno
si sta trasformando piano piano
in un campionario di pensieri.
A ogni pagina
vorrei scrivere di te, e non oso.
L’amore, la gelosia si possono confessare solo a chi riama.[…]
                                               Roma, settembre 1981

Il tuo passato appicca il fuoco al mio futuro.
                         Roma, novembre 1983

IB ha scritto tre poesie legate ad AA: Notte, ossessionata dal biancore della pelle (1983), Elegia (1986) e Aria (1986), ma lei si riconosce anche nella poesia Dedica su un libro (1991), Ricordo (1995) ed è presente nella sua prosa: in Fondamenta degli incurabili (1989) è la ragazza «con gli occhi di senape-e-miele», nella Lettera a Orazio, in Dolore e ragione (1995), IB la vede in sogno.
AA ha scritto più di settanta poesie legate a IB, a cominciare con Noi a spicchi, riflessi nello specchio (1981) e a finire con Jusupovskij Sad, scritta a Pietroburgo nel maggio 2012, e prima inedita in italiano.
L’unicità del libro A memoria sta nel fatto che il Poeta e la Musa si sono invertite le parti: il Poeta IB è diventato la Musa, mentre la Musa AA si è trasformata in Poeta. Seguire quest’unica metamorfosi non kafkiana, durata per 30 anni, è di grande interesse. Tanto più che l’autrice del libro ha ordinato tutte le poesie dando loro una data (mese e anno) e ha indicato il luogo preciso in cui sono state scritte, cosa che aiuta molto il lettore a capire come avvenisse la trasformazione della Musa in Poeta, come il verso diventasse sempre più profondo e libero, come cambiassero le metafore e gli altri tropi nel corso di 30 anni. Questo caso è unico, non conosco un altro esempio di trasformazione della Musa in Poeta.
Molti contemporanei hanno dedicato a Brodskij ricordi, versi, interviste, ma un libro di versi, a parte lei, non gliel’ha dedicato nessuno.
Un paradosso del libro consiste nel fatto che l’autrice, che nascondeva dall’infanzia il suo mondo interiore, trasformandolo nel segreto di un diario personale, a un tratto dischiuda il proprio cuore, spalanchi la propria anima. Non temerò di dire che una tale assenza di difesa e di pietà cvetaeviana, prima di tutto verso se stessa, e poi verso l’amata Musa, non le ho mai trovate in nessun altro. In una delle poesie più belle della raccolta, Lettera in forma di sonetto (1985), AA scrive:

Come tutti i nativi dei Gemelli
sei doppio, bugiardo, volgare e ladro.
Ti piace lasciare spalancato l’abbraccio di un lucchetto violato,
dopo avergli sottratto il cuore
Ora ne hai due, ma che dico! Cento.

E non ami nessuno. Collezioni.

AA dice nell’intervista con Valentina Poluchina:
«Secondo me dietro tutta questa nebbia Iosif nascondeva una certa insicurezza. Attirava a sé e spariva. Rubava amore agli altri per nascondere la sua insicurezza».

Dalla strada, la pioggia, sempre tornavo a te,
ma tu mi lasciavi alla porta.
Allora cominciai a pensare a un’altra casa.
                          Roma, maggio 1985

«La presenza di Iosif nella mia vita in effetti era la sua costante assenza. Giocava proprio con questo: appariva e spariva, ma non del tutto, mi teneva con la corda lenta. La corda era il telefono».
E non importa dove si trovi il telefono: la sostanza non cambia. Che si tratti di un telefono pubblico o privato, coi fili o senza, il telefono è una corda lenta, alla quale ti tiene l’amore.
Di proferire un tale giudizio alla Musa del cuore non sarebbe capace chiunque, e più avanti, sempre nella Lettera in forma di sonetto, c’è un verso quasi cvetaeviano, sonante come un manrovescio, che fa capire tutto:

Il mio amore è esclusivo quanto il tuo non lo è.

Lo sguardo infantile fisso sul proprio mondo interiore non è sparito, perché un quarto di secolo dopo si fa sentire in una donna. Scrive nella «Lettera»:

[…] Dovrei
scrivere di me, che uso i morsi della
nostalgia come dita frettolose in cerca
di un motivo, sulle note di uno zufolo,
su e giù.

Nell’intervista con Valentina Poluchina l’autrice del libro afferma:
«Con Iosif non c’era amicizia, ma semmai la guerra. Domandavo a me nel diario e a lui nelle lettere: “Chi siete? Un amico o un nemico?”… E allo stesso tempo studiavo il suo comportamento, cercavo di capirlo, scoprirlo e fronteggiarlo, per proteggermi in qualche modo, salvarmi, liberarmi di lui». Sempre dalla Lettera:
Perché voglio restituirti quello che non m’appartiene,
è tuo; di te mi vorrei in qualche modo liberare.
Se tu scrivi non è a me che t’indirizzi,
ma al pubblico tutto. I tuoi versi
ingioiellano un’altra, che ispirando è spirata.
È a lei che dedichi i tuoi versi.
A lei. Per fortuna nella tua lingua i
l tradimento vuole dopo di sé il dativo,
ed è giusto: meglio differenziare anche nella grammatica quell’atto di deviazione,
e lasciare solo all’odio e all’amore l’accusativo.

Come si fa qui, per l’ennesima volta, a non ricordare Aristotele, che diceva che dall’amore all’odio c’è un passo? Da Chi varca questa porta (1997):

Più volte quando ti amavo fui tentata
di spingerti giù per una scala stretta,

Come si fa qui a non ricordare Cvetaeva:

Oh, il grido delle donne di tutti i tempi:
«Amore mio, che t’ho fatto?!»

«Tutti noi traiamo origine dall’infanzia», disse un aviatore francese. E Annelisa conservò sempre il suo senso di vergogna, dall’infanzia in poi, per tutta la vita. A metà degli anni Ottanta IB era a casa di AA a Roma, lei uscì per qualche motivo, e quando tornò a casa vide che IB, senza turbarsi affatto, sfogliava il suo diario scritto in italiano. Lei dominò il suo senso istintivo di vergogna all’idea che lui comunque non avrebbe capito, al massimo avrebbe contato quante volte il suo nome figurasse fra le pagine.
Leggendo il libro A memoria/Naizust’ ho avuto la sensazione di leggere la continuazione di un altro diario poetico molto personale. A volte infantilmente innocente e aperto, perché i poeti sono bambini mai cresciuti fino in fondo.
Ma la cosa più importante nel libro non è la vergogna: la lettura della lirica amorosa, in fin dei conti, è sempre uno spiare attraverso il buco della serratura, perché un vero poeta scrive solo per sé e della sua anima. Qui si acuisce la metafora delle “chiavi perdute”.
In Dalla strada, la pioggia, sempre tornavo a te (1985):

[…] Così simile a te
doveva essere il mio amore, che ancora
una volta tornai a te, senza le chiavi.

La cosa più importante di questo libro è che vi riconosci e ritrovi i tuoi sentimenti. Questo vuol dire che il poeta si è sollevato a un’altezza tale da consentirgli di abbracciare con lo sguardo le sorti degli altri. E le citazioni sopra riportate tratte dai classici russi sono solo la conferma di questo.
La bambina è diventata grande, ma il sentimento di vergogna non è sparito. Nella postfazione al libro A memoria/Naizust’ l’autrice scrive: «Certo, ero sicura di vivere un’avventura folle e allo stesso tempo eccezionale; scomoda quanto unica. La vergogna continua; mi sento ingannata, e anche di questo mi vergogno» Nella Lettera:

Ti devo tutto. Sei capace, anche nelle righe,
di trasformare in rimpianto il mio rancore.

Quante donne riconosceranno se stesse in questi versi?

«Era una relazione di carta fra un uomo che spariva continuamente e una donna che si poteva permettere il lusso di svolazzare da un libro all’altro, come fanno le farfalle con i fiori. Anche di questo mi vergognavo…» Ancora:

Ti tratto come se fossi vivo, amandoti,
e non da cadavere ambulante;
ti dò le mie speranze, la mia tenerezza.

«C’incontravamo di rado, ma ci scrivevamo e ci telefonavamo. Avevamo pochi testimoni. Era un amore vissuto in solitudine, sia quando eravamo ognuno per conto proprio, sia in due».

Per scrivere versi purtroppo serve questo: il tormento lacerante dell’amore e della solitudine, «ognuno per conto proprio, e in due». Le persone felici non scrivono versi e sicuramente non ne leggono… 
Forse quelli che sto per citare sono i versi più forti e profondi contenuti nel libro A memoria, che si possono riferire a tutti gli innamorati della Terra. Sempre dalla Lettera:

Morremo entrambi. Della giustizia,
qualche volta, si può fare a meno.

La morte livella tutti – i felici e gli infelici, i ricchi e i poveri, quelli che amano e quelli che non amano. È giusto. Ma se tu ami davvero, la «giustizia divina» ti sembra inadeguata. Sei pronto a dare all’amato la tua vita, purché l’amato viva, sia pure senza di te, e continui oltre – continue, continue, continue
Da Chi varca questa porta (1997):

Ogni notte invocavo giustizia:
«Dai vita solo a chi la merita, o Signore».

Da «Procida e Ischia» (2001):

(…) Non volevi tornare.
Per te Ischia restò sempre l’isola felice.
Io invece volevo la terraferma,
per fare dell’isola una vita.

Se non ci sono figli, al loro posto nascono e rimangono i versi, o i quadri, o la musica, se resta il ricordo di te. L’ingiustizia suprema è quando non resta niente di un amore.
AA ha anticipato tutti: 30 anni prima dell’uscita dell’antologia Fra quelli che non mi hanno dimenticato, che comprende i versi di vari poeti dedicati a IB, l’autrice del libro A memoria/Naizust’ aveva già scritto:

E anch’io morrò, senza dimenticarti.

Anche colei che non dimentica scomparirà, ma rimarranno i suoi versi su di lui e i versi di lui su di lei, quasi fossero la loro continuazione…

AA ricorda nell’intervista a Valentina Poluchina:

«Ogni trionfo è sempre in qualche misura una forma di tirannia. Ricordo che Iosif mi chiamò da Londra il giorno in cui seppe di aver ricevuto il Premio Nobel e mi pregò con voce un po’ lamentosa: “Per favore, dimmi che sei contenta”. Io risposi: “Certo che sono contenta. Siete stato bravo”»

Nelle sue ultime tre parole è contenuta una punta d’ironia difensiva e di una preoccupazione che stringe il cuore: che il soffitto dell’amore, che grava sulla crepa fin dal primo verso del libro, possa non reggere ai suoni delle trombe di rame, delle fanfare della vittoria, e crollare, semplicemente sprofondare, cosa che in seguito sarebbe successa.
Tuttavia il primo verso di Annelisa dopo l’annuncio della «buona novella» non contiene una goccia di pathos nei confronti della Musa amata, diventata una celebrità: c’è solo un’infinita tenerezza e tristezza, come se tutto fosse rimasto com’era, e non fosse successo niente:

Dalla teiera fredda il tè schizzato
sui bordi del lavello in porcellana
ricrea le tue lentiggini sul viso.
Lavarle via diventa una carezza.
         Roma, novembre 1987

La sorpresa del libro di AA è nel fatto che i suoi versi siano totalmente indipendenti dai versi del suo maestro. Questo si può chiamare «il fenomeno di Frieda Kahlo»: quando, pur trovandosi accanto a un grande maestro, la Musa riesce a conservare la sua indipendenza creativa, una sua propria scrittura, che non somiglia a quella del maestro.

Prima che il mare avanzi andrò in cerca
di conchiglie, uniche a custodire nell’interno
la bianca cavità delle tue braccia. Sono
piccole schegge; ne serviranno due tasche
per ricomporre in un mosaico la tua eco.
              Brighton, luglio 1988

In una delle ultime poesie, Specchio, scritte prima della rottura, AA scrive:

Tu m’inganni                                          Come tutti.
Tu mi tormenti.                                     La felicità non esiste.
Sì, il biberon sbattuto a terra dal neonato,
che sbava latte sul tappeto.                    I versi.

Il libro A memoria/Naizust’ attira, viene la voglia di rileggerlo. Di fargli orecchie, di sottolinearne i versi, di mettere punti interrogativi ed esclamativi, di tenere a mente qualcosa e d’impararlo a memoria.
È scritto da una donna e sembrerebbe rivolto soprattutto alle donne, ma è interessante che tutti e cinque i traduttori siano uomini, così come l’autore del saggio e della recensione al libro. Quindi il libro attira tutti.
Qualsiasi persona che ha amato (e chi non ha amato?) conosce questo tempo vuoto – «la vita senza di te».
Paul Eluard ha scritto:

Potrei vivere in solitudine
senza di te
chi lo dice
chi può vivere senza te
in solitudine
chi
vivere a dispetto di tutto
vivere a dispetto di sé.

Parafrasando Paul Eluard, insieme con Françoise Sagan, che sto per citare, l’autrice del libro di versi A memoria/Naizust’ tutto il tempo «senza di te» tace, e noi sentiamo l’eco di questo «silenzio fertile»:

E vedo te, ti perdo, soffro, e la mia sofferenza è simile al sole nell’acqua gelida.

Nella sezione «Poi» tornano spesso i ricordi di quello che è stato «Prima». Come ha detto Sergej Esenin:

Faccia a faccia
non vedi la faccia.
Ciò che è grande si vede a distanza.

Da «Ma la tua specialità erano gli angeli»:

Ora voliamo a corona sopra le tue ceneri.
Dopo la prima diffidenza ci teniamo per mano.
                    Roma, febbraio 1996

Per mano si sono prese molte persone, che hanno conosciuto IB, ma con quelle che non lo hanno dimenticato si potrebbe formare una città.

Incarnavi tutto l’amore, eri un pasticcio,
eri le prove generali prima che la vita
esplodesse, e a ogni frammento si desse un nome.
                          Roma, febbraio 1996

Nella bellissima poesia Chi varca questa porta, scritta a Cetona nel luglio 1997, AA scrive della porta del Cimitero sull’Isola di San Michele, che è metafora dell’ingresso nell’altro mondo. Di questa porta scrisse Dante nella Commedia, attraverso questa porta è appena passato il vecchio amore:

Chi varca questa porta
è reciso dalla terra
come i fiori che porta.
Qui riposa un uomo senza terra. […]

Senza astio né passione ora ti vedo,
senza speranza, senza paura, senza attesa.
Io ti vedo com’eri, io non ti velo.
Io ti vedo anche se non sei più.
Io vedo un incantesimo rotto
e una terra smossa che si richiude più rossa.

AA nell’intervista a Valentina Poluchina:

«Certo, nella vita non seguiva le regole che predicava. Allora molte affermazioni di Iosif complicavano il fatto che potessi capirlo. Mi disorientavano. Oggi mi sono rimaste una forza e una ricchezza straordinarie. Sia allora che adesso quello che m’interessava era Iosif poeta, poeta russo, quello che lui pensava della vita, delle cose più semplici, per me era importante la sua esperienza».

Sempre da Chi varca:

Se eri nube, vapore,
come posso ora piangerti?
Apparivi e sparivi,
oscuravi e davi luce,
eri cortina al sole.

AA nell’intervista a Valentina Poluchina:

«In virtù di questo sopportavo tutto il resto. Hegel ha scritto nell’Estetica che ogni uomo dovrebbe imitare Cristo, ripercorrerne la vita attraverso le sue tappe. Ecco, Brodskij è stato il mio Calvario. Puškin ha scritto che la sofferenza è una buona scuola, ma che la felicità è la migliore università. Brodskij è stato la mia scuola».

In Chi varca scrive ancora:

Ma passata l’età eletta
dell’autolesionismo, come si può
rimpiangere una nube?
Arida la terra, secco il ciglio.
Eri una nube che non piovve mai.
Sotterrano un amore fatto di parole.

L’originalità del libro A memoria/Naizust’ è anche nell’assenza di questo cliché, nella sua naturalezza, nel fatto che non si capisce come siano «cuciti» questi versi nella loro assenza di ‘fattura’.
Forse per questo sono stati scritti così a lungo, per 30 anni, finché tutto non si è rimarginato, tutto non è tornato a posto:

Finalmente tutto funziona.
Sei diventato una strada
percorsa da molti,
e anch’io vi cammino. 
Sei diventato un pozzo
dove non manca acqua per molti,
e anch’io vi attingo il secchio.
È finito il tempo maledetto
in cui ti volevo per me sola
e piangevo perché eri di molti.
Ma tu stesso ormai non sei più uno.
Ti sei trasformato in specchio.
                     Roma, 2000

In questi versi AA realizza quello che Anna Achmatova aveva insegnato a Brodskij, e lui di conseguenza a lei: il perdono e la riconciliazione. Nell’articolo Il silenzio fertile AA ricorda:

«Per me Iosif era l’ingresso in un altro mondo, più grande del mio». […]
«Iosif, al contrario, amava in me l’innocenza, la purezza, la giovinezza. Ricordo che una volta, a Londra, fu turbato dal fatto che gli raccontai di aver comprato dei biglietti scontati della metropolitana riservati agli studenti, mentre non ero più studentessa. Mi disse che era una bugia, e che se ero capace di dire una bugia simile, avrei potuto anche tradire mio marito. Cercai di spiegargli di no, che le due cose non erano paragonabili, ma ricordo tuttora questa discussione e la sua delusione. Iosif cercava l’innocenza, perché non aveva questa qualità. Un giorno, tempo dopo, mi scrisse: “Se ho motivi per pensare di essere buono, è per Voi”»[…].
«Ora, molti anni dopo, capisco che la tenerezza di Iosif verso di me era totalmente sincera e, a volte, anche disperata» […].
«A lungo è stato la mia Musa, anche se la cosa può suonare strana. Io non gli dedicavo i miei versi, ma era lui che me li ispirava. Ne ho scritti molti, dove Iosif era il mio ‘tu’ poetico, anche se nella vita gli davo del Voi» […]

La morte di Brodskij alla fine di gennaio del 1996 è per lei un grande dolore: il febbraio 1996 è il periodo in cui ha scritto più versi su di lui. In questo periodo ricompone il passato e crea un ponte fra la prima parola russa imparata, ‘avtobus’, e l’ultimo addio, «incerto, come un vero addio»:

Te ne sei andato sul finire di gennaio,
sette anni dopo il nostro ultimo incontro.
Salii senza salutarti sul sessanta
fermo al capolinea, tirando fuori il biglietto.
Davanti alla porta mi fissavi le gambe
dalle calze scure. T’invitai a salire,
ma tu facesti cenno di no con la testa.
Poi salisti un gradino, poi l’altro,
poi tornasti indietro, poi continuammo
a guardarci per lunghissimi istanti.
Poi sparisti nella notte, poco prima
che l’autista rimettesse in moto.
Fu incerto, quell’addio, come un vero addio.
L’autobus singhiozzò prima di prendere l’avvio,
rabbrividirono i vetri. Quella notte sul finire
di gennaio si arrestarono le nostre lancette.
Così, coi primi freddi, si esauriscono le batterie.
                                     Roma, febbraio 1996

Questo fu l’addio per sempre. Noi non possiamo prevedere, citando il poeta Tjutcev, non solo «che eco avrà la nostra parola», ma anche quale addio sarà l’ultimo. Seppure, che cosa significa l’ultimo? La mattina seguente alla morte di lui, Annelisa camminava lacerata per il corridoio del suo appartamento a Roma, quando dall’alto le parve di sentire la sua voce. Lui ripeteva in inglese: «Continue, continue, continue…»
Lei percepì questa parola come un testamento; ha rispettato le sue volontà e ha continuato a scrivere versi:

Canto per salvarti dall’oblio del tempo.

«Prima» a lui, come a un melomane raffinato, piacevano i versi liberi di lei, il suo ragionamento «diritto, mentre lui, al contrario, aveva un modo di procedere circolare, labirintico», scrive Annelisa. Speriamo che anche «Poi», lassù, «il melomane», citando l’ultimo verso della poesia di IB «Aria», dedicata ad AA, nell’ascoltare la voce di lei, «si rallegri al canto dell’orfano».

Traduzione dal russo a cura di Annelisa Alleva


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26 giugno 2023
Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

21 giugno 2023
Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

6 maggio 2023
Blog sulla traduzione

9 gennaio 2023
Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

15 ottobre 2022
Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

19 settembre 2022
Poeti di "Semicerchio" presentano l'antologia ANIMALIA

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

27 agosto 2021
Recensibili 2021

11 giugno 2021
Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

16 aprile 2021
Filologia della canzone: presentazione di "Like a Rolling Stone" di M.G. Mossa

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

28 dicembre 2020
Bandi per collaborazione con Semicerchio e Centro I Deug-Su

20 novembre 2020
Pietro Tripodo Traduttore: presentazione online di Semicerchio 62

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

28 maggio 2020
Seminario di Andrea Sirotti sulla nuova Dickinson

22 maggio 2020
Seminario di Antonella Francini su AMY HEMPEL e LAUREN GROFF

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

28 aprile 2020
Progetto di Riscrittura creativa della lirica trobadorica

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