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Analisi vs interpretazione Due poesie di Mandel’štam su cattedrali gotiche

Di Michail L. Gasparov

 

In: Semicerchio LV (02/2016) “30 anni”, pp. 220-224.

 

Io vorrei riabilitare alcuni luoghi comuni che sono stati dimenticati nella critica letteraria contemporanea. Il primo è l’opposizione tra testi semplici e testi complessi. Io sono un pedante, persino nella filologia amo i metodi scientifici esatti con calcoli e statistiche. Ma adesso per la prima volta faccio appello non alla nostra ragione, ma alla nostra intuizione. È l’intuizione del lettore che ci dice che questa poesia è semplice, mentre quella è complessa. Voi avete di fronte a voi i testi di due poesie del poeta russo Osip Mandel’štam, una più antica e una più recente. Si può intuire che una di esse è più semplice, mentre l’altra è più complessa; e io penso che le nostre opinioni coincideranno: la prima poesia è semplice, la seconda è complessa.

Ora, il secondo luogo comune: le poesie semplici e quelle complesse richiedono due differenti metodi di lettura e comprensione: l’analisi e l’interpretazione. Per alcuni critici questi termini sono sinonimi; io penso che siano diametralmente opposti. L’analisi è utile per i testi semplici. Dal punto di vista etimologico, analysis vuol dire ‘scioglimento’: leggiamo una poesia semplice, la comprendiamo nel suo insieme, e poi tentiamo di capire meglio i suoi elementi, i suoi particolari. Il nostro pensiero va dall’insieme ai particolari. Al contrario, nel processo dell’interpretazione il nostro pensiero va dai particolari all’insieme. L’interpretazione è utile per i testi complessi. Leggiamo una poesia complessa, non riusciamo a comprenderla nel suo insieme al primo tentativo, ma possiamo afferrare il senso di alcune sue parti, scritte più chiaramente. Partendo da questa comprensione parziale, cerchiamo di capire il senso delle parti adiacenti e quindi proseguiamo proprio come quando risolviamo un cruciverba. Infine l’intero testo è compreso – forse con dei punti ancora oscuri. (Alcune osservazioni. Sappiamo che i testi complessi, ermetici sono caratteristici della poesia del XX secolo. Vediamo in essi un mare di oscurità con rari isolotti di luce: cominciando da queste parti, arriviamo a comprendere l’insieme. E interessante che nella poesia classica dei secoli XVIII-XIX la situazione è esattamente all’opposto: abbiamo un’estesa area di testo perfettamente chiaro con alcuni punti di stile più elevato, più oscuro, più ‘pindarico’. Tali oscurità elevate sono, per così dire, una sorta di corsivo semantico nei testi classici e i punti di luce hanno la stessa funzione nei testi contemporanei. Un’altra cosa interessante è la differenza tra la percezione delle opere di letteratura e la percezione dei quadri. Io penso che noi concepiamo sempre il quadro inizialmente come un insieme, una composizione in una cornice, e solo successivamente il nostro sguardo inizia a vagare tra gli elementi più importanti e quelli meno importanti sulla tela: gli psicologi conoscono i percorsi seguiti dai nostri occhi. Nei testi letterari, noi vediamo all’inizio solo la prima piccola parte del testo, poi la successiva, e così via; perciò siamo in grado di dire se siamo di fronte ad una poesia semplice o ad una poesia complessa solo quando l’abbiamo letta fino in fondo e la guardiamo retrospettivamente. Ma questa è solo una digressione.)

Adesso, il terzo e ultimo luogo comune. Mi riferisco alla comprensione delle poesie; che tipo di comprensione è questa? Voglio dire una cosa semplice: noi abbiamo capito una poesia se siamo capaci di ridirla con parole nostre, proprio come uno scolaretto. Io so benissimo, è un luogo comune, che la poesia non permette la resa in altre parole, che tutto ciò che provoca poesia svanisce non appena viene ripetuto ‘in parole proprie’. Io considero piuttosto il procedimento inverso: noi dobbiamo avere dapprima in mente una certa espressione verbale, una certa formula di puro contenuto che non è ancora poesia, cosicché successivamente noi possiamo evidenziare quegli strumenti espressivi che trasformino questo puro contenuto in poesia. I retori antichi conoscevano questo fenomeno quando tracciavano una differenza nel discorso tra tesi e ornamento.

Ridire il testo, comprendere il testo, significa fare una ricostruzione: quale situazione è descritta nel testo, o in quale situazione le parole del testo possono essere pronunciate. Così quello che abbiamo in mente è la comprensione di un testo solo al livello del senso comune. Io devo far riferimento a questa tradizionale virtù britannica, il senso comune, sebbene sappia che il senso comune, la coscienza del quotidiano, sia uno dei problemi filosofici più difficili del nostro tempo. Ma io non sono un filosofo, così posso nuovamente far riferimento all’intuizione di ogni lettore che sente questo livello del senso comune e anche altri, più profondi e più oscuri livelli della comprensione. Ciò è importante, poiché noi sappiamo che molti studiosi amano pensare ad ogni poesia, anche la più semplice, come ad un enigma che aspetta di essere risolto, a un testo che necessita di un’interpretazione; così essi cominciano a cercare e poi ad imporre al testo poetico i propri pensieri e concezioni, psicoanalitiche, sociologiche, mitologiche e così via. Non penso che ciò sia corretto. Non è un lavoro di ricerca, bensì un’opera creativa. Certo ogni lettore, anche ogni studioso ha il diritto di dedicarsi ad un approccio creativo, ma egli non deve attribuire i risultati della sua creazione al poeta che sta leggendo.

Ma per finire questa introduzione io devo aggiungere alcune parole in difesa di coloro che tentano di interpretare persino i testi più semplici che meritano solo un’analisi. Il campo della nostra ricerca può essere largo o stretto. Quando noi osserviamo un singolo testo poetico isolato, esso può risultare semplice e richiedere solo un’analisi di tipo immanente. Ma quando noi allarghiamo un poco il nostro campo di indagine e vi inseriamo altri testi, allora il nostro oggetto si farà più complicato e richiederà non analisi, ma interpretazione. Puškin ha scritto una breve poesia: «L’uccellino, creatura di Dio non conosce né affanni, né difficoltà…» [Ptic?ka Božija ne znaet ni zaboty, ni truda]. È una poesiola molto semplice, la possiamo trovare persino negli abbecedari. Ma essa è inserita nel lungo poema Gli zingari [Cygany], un racconto romantico con morte e passioni; e in opposizione a questo sfondo essa acquista, è ovvio, un significato più profondo, richiedendo di essere interpretata. E se la prendiamo in esame nel contesto di tutta l’opera di Puškin, in opposizione allo sfondo di tutta l’intera tradizione culturale europea indietro fino ai Vangeli e persino oltre, la necessità di interpretare questo testo si renderà ancora più evidente. In questa opera di interpretazione vengono individuati due concetti: i contesti, un sistema di associazioni con opere dello stesso autore e i sottotesti, un sistema di associazioni con i testi di altri autori noti al nostro poeta. Questi due concetti hanno ottenuto piena applicazione negli studi contemporanei su Mandel’štam solo di recente. Successivamente, questi esercizi di intertestualità sono divenuti persino una sorta di sport. Si tratta di un fenomeno positivo, ma solo se ci ricordiamo che un caotico intreccio di sottotesti non rende il testo semplice e chiaro. Noi dobbiamo ancora distinguere le associazioni semantiche virtuali che sono realmente attualizzate nel testo (in modo più o meno ovvio) da quelle che offrono solo variazioni di luce al testo. Quando leggiamo o ascoltiamo una frase la nostra memoria non trattiene ogni significato di ogni parola come elencato nel vocabolario, questo disturberebbe la nostra comprensione. Allo stesso modo, quando leggiamo una poesia, per la nostra comprensione non abbiamo bisogno di tutte le associazioni intertestuali che sono state reperite attraverso una laboriosa indagine, noi dobbiamo sentire la loro gerarchia: solo questo è necessario, che una sia importante, mentre l’altra risulta arbitraria.

Adesso passiamo ad esaminare due poesie di Mandel’štam che possono servire da esempi di un testo destinato all’analisi e di un testo destinato alla interpretazione. Seguiamo il procedere del nostro pensiero in entrambi i casi. La prima poesia si intitola Notre Dame, ed è, come l’ha definita uno studioso, il «manifesto dell’acmeismo». Essa è chiara, come può essere chiaro un manifesto: la descrizione esaltata di una cattedrale e poi una conclusione, per dirla in breve, come la morale di una favola: ciò significa che la cultura sopravanza la natura stabilendo in essa un armonioso equilibrio di forze contragenti.

Noi possiamo riassumere la poesia in questo modo, strofa dopo strofa: I) la cattedrale che si erige sul posto di una corte romana è leggera e splendente; II) ma questa leggerezza è il risultato di un equilibrio dinamico della volta che incombe in basso e della resistenza delle elastiche arcate; III) la costruzione ci colpisce per i suoi contrasti; IV) ed anch’io voglio creare bellezza dalla resistenza dei materiali. La prima strofa è uno sguardo dall’interno, da sotto la volta; la seconda dall’esterno; la terza ancora uno sguardo dall’interno e la quarta studia la costruzione ancora dal suo esterno. La prima strofa è simile al passato, le due strofe intermedie sono come il presente e l’ultima è come uno sguardo nel futuro.

Questa è la comprensione del lettore della poesia presa nella sua completezza. Adesso diamo uno sguardo ai suoi particolari. Lo stile gotico è un sistema di contrafforti e lo stile della poesia è un sistema di antitesi. Il verso più significativo è «l’abisso razionale dell’anima gotica»: un abisso è qualcosa di irrazionale, ma qui persino l’«abisso» è creato razionalmente dalla nostra ragione. Un labirinto di elementi è qualcosa di orizzontale, una foresta imperscrutabile è qualcosa di verticale. Un labirinto di elementi suggerisce che gli elementi naturali sono organizzati in una costruzione umana, intricata, ma intricata coscientemente. La foresta è ovviamente una reminiscenza delle Correspondances di Baudelaire, ma per Baudelaire e i simbolisti la Natura era un tempio, mentre per Mandel’štam il tempio è la Natura. Forza egizia e modestia cristiana: la paura di Dio del cristiano lo costringe a creare costruzioni non umili, ma potenti come le piramidi egizie. Il giunco e la quercia, la stessa idea in un’immagine concreta. Il sottotesto dell’immagine è la favola di La Fontaine e Krylov: in una tempesta un giunco è più forte di una quercia. E il sottotesto di questo sottotesto è la frase di Pascal (in Russia resa popolare da una poesia di Tjutc?ev): «L’uomo è solo un giunco, ma un giunco pensante». E un giunco che sorge dal fango era in una poesia del giovane Mandel’štam il simbolo di idee così importanti come il cristianesimo e il giudaismo. Qui mi devo fermare, ma voi vedete come può essere importante la spiegazione dei particolari di una poesia quando noi ci dipartiamo dalla sua comprensione come un insieme.

Ho cercato di fare un’analisi immanente della poesia; ho cercato di porre in evidenza alcuni suoi sottotesti; adesso dobbiamo osservare il suo contenuto, le dichiarazioni programmatiche di Mandel’štam e degli altri acmeisti.

Noi sappiamo che l’acmeismo era una reazione al simbolismo, una specie del Parnasse francese in Russia, una scuola letteraria di breve vita creata da Gumilev e Gorodeckij. Costoro sostenevano che il poeta deve scrivere di questo mondo, non dell’altro; questo mondo è buono, è ricco di buone cose e il poeta, come Adamo nell’Eden, deve dare un nome a tutte le cose (ecco perché è ricordato Adamo nella prima strofa di Notre Dame). E Notre Dame è appunto una poesia su un tempio, ma non è una poesia religiosa. Mandel’štam non guarda al tempio con gli occhi di un credente, ma con gli occhi di un artigiano, un maestro che non si cura del fatto per quale Dio stia egli costruendo, ma si preoccupa soltanto che la sua costruzione rimanga solida per un lungo periodo. Notre Dame è l’erede della corte romana di giustizia, il simbolo della successione di tre culture: celtica (un popolo alieno), romana e cristiana. La cultura non è parte della religione, ma la religione è parte della cultura. Questa è la concezione esposta da tutti gli acmeisti. Mandel’štam aggiunge una formula in più: egli scrive nel suo articolo programmatico II mattino dell’acmeismo: «Gli acmeisti condividono il loro amore per l’organismo e l’organizzazione con un Medioevo fisiologicamente geniale» e segue poi un panegirico per il tempio gotico in quanto organismo.

«Organismo e organizzazione», ci sia permesso notare come questi due concetti non siano sinonimi, ma contrari: l’organismo è parte della natura, l’organizzazione è parte della cultura. Nel suo articolo Mandel’štam glorifica la cattedrale gotica come un organismo, nella poesia su Notre Dame egli la glorifica come un’organizzazione. Questa è una contraddizione.

Ma passiamo adesso alla poesia successiva, scritta 25 anni più tardi, nel 1937, nell’esilio e non vedremo alcuna contraddizione. Notre Dame era un inno all’organizzazione, alla cultura che supera la natura; la seconda poesia è un inno all’organismo, alla cultura che nasce dalla natura. Leggiamo questo oscuro testo, una poesia che non richiede un’analisi, ma un’interpretazione, richiede di essere risolta come un cruciverba.

 

In una prima variante la poesia portava il titolo Reims-Laon che poi fu cancellato. Con questo titolo sarebbe più comprensibile: il titolo sarebbe un’allusione alla Francia e forse alle cattedrali medievali. Senza il titolo essa diviene una sorta di indovinello con un incipit tipico dell’indovinello: Ho visto e poi un’immagine fantastica. Se cancellassimo il titolo a Notre Dame, anche questa poesia diverrebbe una sorta di indovinello.

Così noi ci chiediamo di cosa parli la poesia, quali cose noi osserviamo in ogni singola strofa. La prima strofa ci mostra un lago, la dimora di pesci in questo lago, una barca con enigmatici animali, una volpe e un leone, e una rosa assai incomprensibile in una ruota. Il lago si erge a strapiombo, esso contraddice il nostro senso comune, così che pensiamo che tutte queste immagini siano metaforiche. Cosa significano tutte queste metafore? Leggiamo oltre. La seconda strofa: tre portali, archi, una campata, delle torri: tutti elementi di un edificio, forse di un tempio gotico (torri e portali). Adesso possiamo ricostruire retrospettivamente il senso della prima strofa: la rosa è il tondo rosone di vetro dipinto sul portale di centro; i begli ornamenti della facciata sono gli increspamenti sul lago verticale; la barca è la navata (navis, ‘nave’, la parte più lunga della struttura della chiesa). La terza strofa conferma la nostra supposizione: intorno alla cattedrale noi vediamo una città di commerci e attività sulla riva nei pressi di un fiume. Nello scorrere possiamo notare l’accumularsi di immagini animate: non solo pesci, un leone e una volpe, ma anche viole, gole abbaianti di cani come i portali, il salto di una gazzella come il semicerchio della parte superiore del portale, un grillo che stride come una città rumorosa; la roccia sospira, la cattedrale di arenaria si solleva inebriata di liquido come una pianta acquatica e il lago, il fiume, l’oceano sono come un ragazzino che sta giocando. Questo oceano che si leva alle nubi è lo stesso lago che si erge a strapiombo e le tonde tazze di acqua nel cielo ci rimandano alla tonda rosa nella ruota.

Questo è il risultato di una prima lettura sequenziale della poesia: dal particolare all’insieme. Rileggiamo e cerchiamo di capire alcune immagini che rimangono oscure. Perché la rosa è nella ruota? Perché la rosa di vetro dipinto (con le sue associazioni mistiche) non assomiglia a un fiore: il fiore è concentrico e la finestra circolare di vetro dipinto ha verghe radiali come i raggi in una ruota (con ulteriori associazioni semantiche, quali la tortura ecc.). Perché gli avversi malanni puntano l’interno della chiesa? I malanni che sono qualcosa di male assediano la chiesa dall’esterno: ed essi sono avversi non tanto nei confronti degli archi esterni dei portali, quanto degli invisibili archi mai spalancati, forse proprio quelli che sostengono una cattedrale gotica: i malanni vogliono minare questi archi perché la cattedrale crolli. Qui possiamo notare un possibile sottotesto: gli avversi malanni che assediano la cattedrale ci rammentano Notre Dame de Paris di Victor Hugo, dove mendicanti, ladri e storpi (che sono malattie sociali e fisiche) egualmente assalgono la cattedrale. Perché la pietra arenaria è onesta? Perché, ed è questo un concetto assai rilevante, solo nella natura ogni cosa è onesta, mentre nella società umana ogni cosa è erronea, distorta. Questo tema sociale è presente in quasi tutte le poesie di Mandel’štam del 1937. Perché la campata viola è attraversata dalla gazzella? Io penso perché Mandel’štam aveva in mente il quadro di Claude Monet rappresentante la cattedrale di Rouen e conservato al museo di Mosca: le luci in esso sono color arancio e le ombre sono viola. Possiamo affermare anche di più: sia il gotico che l’impressionismo sono associati nella sua mente all’elemento dell’acqua, egli scrisse in uno dei suoi saggi: «Nella sala di Claude Monet nel museo sentiamo l’aria del fiume» e «Cosa è più fluido, un tempio gotico o un’increspatura nell’oceano?». Questa può essere l’origine di tutto il complesso di immagini legate al lago-fiume-oceano in questo componimento.

E l’ultima e più complessa questione: cosa significa: una volpe e un leone combattevano in una barca? Il primo pensiero può essere quello che si tratti di una semplice allegoria: la volpe è l’astuzia, il leone la forza. Possiamo confermarlo: il gotico è il prodotto di una iniziale cultura urbana e in letteratura l’opera più conosciuta della nascente cultura urbana è il Roman de Renart su di una volpe astuta che si oppone ad un potente leone. Ancora di più: possiamo indicare anche il risultato di una cultura cittadina più tarda, l’opera del poeta François Villon, ladro e vagabondo, nemico del potere statale: Mandel’štam lo amava, si identificava in lui e scrisse su di lui un saggio, comparandolo con un piccolo animale astuto dalla pelliccia logora. In esilio nel 1937 Mandel’štam lo ricordò: diceva continuamente «devo fare come Villon» e in quello stesso marzo del 1937 scrisse una poesia su di lui opponendo Villon al potere dispotico («potere egizio» diceva). C’è un’espressione russa, «raskac?ivat’ lodku», alla lettera «scuotere la barca», per indicare la lotta per il potere con tale zelo che l’oggetto di questo potere può perire. Penso che questo sia il senso presente nelle parole «una volpe e un leone lottavano in una barca».

Vediamo che il tema sociale emerge ora e di nuovo in questa poesia del 1937 dedicata ad un’antica cattedrale. Negli stessi mesi Mandel ’stam scriveva un lungo poema assai oscuro, Versi sul soldato ignoto, dedicato alla prima guerra mondiale e alla futura nuova guerra; egli scrisse poesie su Roma fascista contemporanea e sull’antica Grecia senza classi e lotta di classe, e così via. Il tema della guerra mondiale è presente anche nella nostra poesia. Vi ricordo che il titolo della poesia era Reims-Laon. Tutti sanno che il bombardamento della cattedrale di Reims suscitò sensazioni terribili nel 1914 (Mandel’štam stesso scrisse una poesia su di ciò a quel tempo). Ma non tutti sanno che Laon era il luogo dove la Grande Berta tedesca venne montata per bombardare Parigi poco tempo più tardi. E un’altra associazione storica: Laon era il luogo della famosa comune di Laon nel XII secolo, una della prime rivolte del terzo stato contro i signori feudali, una rivolta assai sanguinosa che è descritta in tutti i manuali di storia.

Ho detto che la prima poesia di Mandel’štam era l’apoteosi dell’organizzazione, della cultura. La seconda è l’apoteosi dell’organismo, della natura. Nella sua poesia più antica Mandel’štam, come gli altri acmeisti, predilige la cultura che sorge dalle altre culture, con antiche tradizioni storiche. Il tardo Mandel’štam vuole che una nuova cultura cresca spontaneamente dalla onesta natura con la sua biologia e geologia. Possiamo indovinare la causa di ciò: l’esperienza storica di un poeta russo nei peggiori anni del regime sovietico. Ma questo non è il nostro tema principale. Qui volevo rendere chiara la differenza tra una poesia semplice e una complessa, tra i processi di analisi e quelli di interpretazione; ho cercato di farlo nei limiti delle mie possibilità.

 

(Trad. di Stefano Garzonio)

 

Notre Dame

 

Dove il giudice romano giudicava genti straniere 

c’è una basilica - e gioiosa, prima

 come fu un tempo Adamo, stende i nervi,

 fa giocare i muscoli la lieve volta a croce.

Ma trapela all’esterno il progetto misterioso:

qui s’industriò la forza degli archi 

perché la massa poderosa non travolgesse le pareti 

e ozioso è l’ariete della volta temeraria.

Labirinto d’elementi, bosco inestricabile, 

razionale voragine dell’anima gotica, 

potenza egiziana e cristiana timidezza, 

accanto al giunco la quercia — e, sempre re, l’archipendolo. 

Ma più attenzione, Notre-Dame, baluardo, 

mettevo a studiare le tue costole mostruose, 

più sovente pensavo: dalla cattiva grevità 

anch’io, un giorno, saprò creare la bellezza.

 

1912 (pubbl. 1913)

(Trad. di Serena Vitale)

 

 

Reims-Laon

 

Vedevo il lago dritto, a piombo, -

con la rosa tagliata nella ruota giocavano i pesci 

costruita la dimora d’acqua dolce.

Volpe e leone lottavano nella barca.

 

Occhieggiavano nei tre latranti portali i mali – 

nemici di altri archi nascosti.

Di corsa una gazzella traversò la campata di viole 

e dalle torri la roccia sospirò improvvisa, —

 

e piena d’acqua si è sollevata l’onesta arenaria, 

e in mezzo alla città-grillo delle botteghe,

 l’oceano-ragazzo si alza dal fiume 

e lancia tazze d’acqua verso le nuvole.

 

4 Marzo 1937 

(Trad. di Maurizio Calusio)


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