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Dante e Gogol’. Storia di un parallelo creativo
Di Stefano Garzonio

 


Della dipendenza de Le anime morte dalla Divina Commedia si scrisse già fin dalla loro comparsa. Fu Aleksandr Herzen ad evidenziare per primo, ricollegandosi agli stati d’animo dei letterati russi legati al fallimento della rivolta decabrista (basti pensare alla lirica di Puškin Besy, ‘I demoni’. «Fuggono le nubi, turbinano le nubi; / Invisibile la luna / Rischiara la neve volante; / È fosco il cielo, la notte è fosca. / Fuggono i demoni sciame su sciame / Nella sconfinata altezza, / Coll’ululo e lo strido lamentoso / Lacerandomi il cuore...» [trad. T. Landolfi]), il parallelo tra l’epoca di Nicola I descritta da Gogol’ e le bolge infernali immaginate da Dante. I singoli quadri del viaggio agli inferi del poeta fiorentino erano dunque rapportabili ai terribili quadri della vita della Russia feudale, quali li aveva a suo tempo già tracciati Aleksandr Radiscev nel suo Viaggio da Pietroburgo a Mosca e che adesso ricomparivano in una dimensione dantesca, di «assenza di luce» e di «tremenda inanità», nel viaggio di C? ic?ikov.

 

Il parallelo tra Divina Commedia e Anime morte è ormai uno dei temi danteschi più vivi nell’ambito degli studi letterari russi ed è legato ad indicazioni dello stesso Gogol’, nonché a testimonianze e ad interpretazioni coeve. Ne troviamo traccia, ad esempio, nell’opera di P.A.Vjazemskij, il quale, nel commentare una lettera di Gogol’, a proposito delle parti incompiute del secondo tomo notava: «...è impossibile dare un giudizio definitivo, ma è improbabile che egli potesse riuscire senza una svolta radicale ad imboccare coerentemente la luminosa via e come Dante concludere la propria Divina Commedia con il Purgatorio e il Paradiso».

Come è noto, Gogol’ aveva pensato il suo capolavoro suddiviso in tre parti; a noi è giunta completa solo la prima, mentre della seconda, dopo la distruzione dell’ultima redazione da parte dell’autore in un momento di crisi spirituale e creativa, ci sono rimasti brani non compiuti in due diverse redazioni. Alla prima parte, corrispondente all’Inferno, sarebbero dovute seguire una seconda parte, il Purgatorio, ed una terza, il Paradiso, per le quali lo scrittore prevedeva un ruolo del tutto specifico, di portata quasi teurgica, nel suo progetto di rigenerazione morale e spirituale della Russia cui egli si sentiva chiamato, specie dopo la crisi mistico-religiosa che caratterizzò l’opera degli ultimi anni ed in primis i celebri e discussi Brani scelti della corrispondenza con gli amici (1847).
Già in una lettera del 28 Febbraio 1843 a Stepan Ševyrëv Gogol’ notava: «Ancora una volta devo ripetere che la mia opera è assai più seria e significativa di quanto si possa supporre dalla sua prima parte». Lo scrittore aveva infatti in mente di ridefinire il destino di Cicikov «nella cui gelida esistenza è già in nuce ciò che poi farà cadere nella polvere in ginocchio l’uomo di fronte alla saggezza dei cieli» (Opere Complete, VI, 242).
Per genere stesso Le anime morte non erano pensate come romanzo, ma proprio in prospettiva dantesca aspiravano ad essere ‘poema’. Lo si evince da una celebre dichiarazione dell’autore: «La cosa cui mi dedico e su cui fatico non è simile ad una novella, né ad un romanzo... Se Dio mi aiuterà a compiere questo poema, cosi come deve essere, allora questa sarà la mia prima opera importante» (XI, 77).
Il riferimento alla categoria letteraria del ‘poema’ riveste un’importanza particolare. Non più un romanzo in versi come era stato l’Evgenij Onegin, ma un ‘poema in prosa’ e questa circostanza fu avvertita da molti contemporanei di Gogol’, non tanto da Belinskij che tese poi a fornire dell’opera una lettura in chiave realistico-satirica che è certamente corretta, ma nel contempo riduttiva, bensì da alcuni letterati vicini alle istanze slavofile.
Fu K. Aksakov ad individuare ne Le Anime morte il carattere di vero e proprio nuovo poema nazionale, di epopea percorsa dallo spirito della ‘narodnost’ e caratterizzata nel suo «atteggiamento verso l’atto creativo» da tratti che il critico riconosce solo in Omero e Shakespeare (K. S. Aksakov, Alcune parole sul poema di Gogol’, 1842). E fu Stepan Ševyrëv a ricondurre la natura epica dell’opera, specie per la sua inarrestabile fantasia pittorica, per la sua luminosità meridionale, per quella che il critico chiama la sua «poludennaja stichija», ‘natura meridionale’, alla poesia italiana (S. P. Ševyrëv, Le avventure di Cicikov ovvero le Anime morte, 1842). Ševyrëv riconosceva nel sistema iconico del capolavoro gogoliano, nelle sue immagini ardite, nelle sue comparazioni ed antitesi, una stretta connessione, da un lato, con la poesia omerica e, dall’altro, con quella di Dante e Ariosto. Ne riportava un esempio comparando il brano dal Purgatorio (III, 79-84) «Come le pecorelle escon del chiuso / A una, a due, a tre, e l’altre stanno / Timidette atterrando l’occhio e l'muso /... / Sì vid’io muovere a venir la testa / Di quella mandra fortunata allotta...» con il brano delle Anime morte: «Come i colombi volano sulla messe e beccano l’orzo o il miglio, silenziosi, senza il solito tubare e se qualcosa d’improvviso li spaventa, d’improvviso abbandonano il loro elisir, poiché li ha colti una più seria occupazione: così anche questa nuova folla abbandonava la riva...».
Certo Ševyrëv non sembra tener conto di un tratto specifico del sistema iconico di Gogol’ che si costruisce su un approccio ironico alle immagini e comparazioni ardite ed inusuali e non si fonda su quel «carattere ingenuo» che Belinskij individuava nel sistema iconico della grande tradizione epica, in primo luogo di quella omerica (Belinskij, Opere complete, VI, 419).
L’analisi della componente ‘dantesca’ delle Anime Morte, dopo i primi accenni contemporanei, diviene più frequente e circostanziata quando la nuova scuola accademica russa, verso la fine del secolo XIX, tende a reinterpretare la storia letteraria nazionale nella sua globalità, mossa anche dall’esigenza di una edizione critica dell’opera dei classici.
Già Aleksej Veselovskij aveva individuato un evidente parallelo con Dante quando aveva posto in risalto le aspirazioni salvifiche dell’opera gogoliana, il culto della donna ‘angelicata’ e dell’eterno amore. Egli giunse alla conclusione che l’energia di cui è dotato Cicikov si sarebbe poi, nel progetto gogoliano, volta al bene, al servizio dell’umanità, e che come «Dante giunge all’ascesi e alla contemplazione delle forze divine che costituiscono la Candida Rosa, e il principio femminino, incarnato in Beatrice, gli strappa canti di gioia e devozione, così l’errabondaggio per la terra russa con il cuore colmo di sofferenza e rabbia per la condizione del prossimo, le innumerevoli immagini di vizi e sofferenze, sostituite poi dalla lotta del bene contro il male, debbono risolversi con il trionfo della luce, della verità e della bellezza» (A. Veselovskij, Studi e caratteristiche, Mosca, 1912, t. II, p. 239). Insomma Cicikov doveva rigenerarsi sposando la causa della redenzione, della purificazione, divenendo testimone di bellezza e verità, della vittoria della luce sulle tenebre.
Ovsjanniko-Kulikovskij (Gogol’, SPb., 1912, pp. 38- 39) sottolineò la profonda e per certi versi maniacale aspirazione di Gogol’ a servire la Russia, ad esserle utile. Egli cita alcuni passi della celebre Confessione, per esempio, laddove Gogol’ afferma: «Mi conciliai con il mio essere scrittore solo quando sentii che in questo campo avrei potuto servire la mia terra», oppure: «non appena mi resi conto che nel campo letterario potevo egualmente servire lo stato, abbandonai tutti i miei precedenti incarichi, lasciai Pietroburgo, la società delle persone che mi erano spiritualmente vicine, la Russia stessa, per potere da lontano e in solitudine da tutti decidere come fare a dimostrare di essere anch’io cittadino della mia terra e di volere fedelmente servirla...». La creazione delle Anime Morte divenne così per Gogol’ una vera e propria testimonianza di fedeltà alla patria. Osservando da lontano la Russia egli voleva descriverne sì tutte le brutture e le miserie, ma poi scoprirne i buoni principi che in lei si celavano, ed indicarne infine il cammino della rinascita. Proprio nel complesso rapporto ‘Gogol’-Rus’ Ovsjanniko-Kulikovskij vide un analogo dell’idea ruskiniana di Dante «uomo al centro del mondo», e in tale «antitesi egocentrica» egli individuò una sorta di autoidentificazione di Gogol’ con Dante. Il racconto delle avventure di Cicikov si trasformava dunque nella contemplazione poetica della Rus’ da una magnifica lontananza, nella sofferta narrazione su un mondo di tenebre (‘Inferno’) che si mutava poi in poema morale-religioso della purificazione (‘Purgatorio’) e dell’armonia (‘Paradiso’), poema la cui struttura tripartita discendeva dalla Commedia. Non a caso la concezione delle Anime Morte si venne chiarendo durante il soggiorno romano di Gogol’, proprio quando lo scrittore, secondo la testimonianza dell’Annenkov, si dedicò assiduamente alla lettura del poema dantesco.
L’autoidentificazione di Gogol’ in Dante era certo analoga alla autoidentificazione in Dante caratteristica di altri scrittori e pensatori russi del tempo i quali, come molti intellettuali italiani dell’epoca risorgimentale, vedevano Dante il sommo esempio della loro condizione di esuli e combattenti della libertà nell’epoca della Restaurazione. Nel patriottismo gogoliano prevale tuttavia l’aspetto mistico-religioso su quello propriamente politico-civile.
Secondo S. Šambinago, nel suo Trilogia del romanticismo (N. V. Gogol’, M., 1911, pp. 152-153), le Anime Morte avevano per Gogol’ una funzione simile a quella della Commedia nel senso che l’opera doveva segnare in prospettiva didattica un graduale passaggio dalla condizione delle tenebre infernali alla luce divina, a quell’impero universale, in parte riconducibile all’idea dantesca del De Monarchia, che sembra talvolta affiorare negli ideali, certo contraddittori ma sinceri, di Gogol’ verso la chiesa ortodossa e il potere imperiale dello zar. Proprio l’impossibilità di realizzare artisticamente questo grande progetto etico-religioso è, a detta dello Šambinago, alla base delle successive crisi gogoliane, della tragica distruzione della seconda redazione del poema. Gogol’ avvertì chiaramente l’impossibilità di trasformare un «ammuffito angolo d’Europa», quale era la Russia, in Stato ideale.
Anche in epoca sovietica si registrano importanti contributi relativi al tema ‘Dante-Gogol’’. Vale la pena innanzitutto ricordare le notevoli righe scritte sul tema da Viktor Šklovskij (Narrazioni sulla prosa, Mosca, 1966, II, p. 147). Il noto critico prende in analisi la celebre scena del tribunale, nella quale si registra l’unico riferimento diretto a Dante nel testo gogoliano:

 

 «...uno dei sacri officianti che si trovavano lì, il quale con tanto fervore sacrificava a Temi, che ambedue le maniche gli s’erano lacerate sui gomiti, e da un pezzo n’era spuntata la fodera (in ricompensa di che, lo avevano promosso a suo tempo a registratore di collegio), si offrì a far da guida ai nostri amici, come già Virgilio si offrì a far da guida a Dante, e li condusse in camera di consiglio, dove non c’era altro che un’ampia poltrona, e in essa, dinanzi al tavolo sormontato dallo Specchio e da due grossi libri, sedeva solitario, come il sole, il presidente. A questo punto il novello Virgilio fu così penetrato di pio terrore, che non osò in alcun modo introdurre un piede colà, e diede volta, mostrando la schiena logora come uno stoino con appiccicata in un punto una piuma di gallina».

Šklovskij pone in evidenza il parallelo tra il tribunale e i miseri, volgari c?inovniki gogoliani da un lato, e l’inferno e i suoi diavoli nell’opera di Dante dall’altro. L’immagine stessa dello Specchio, aggeggio di legno dorato, girevole, a tre facce, su cui sono riportati gli ukazy di Pietro, simbolo della legge di quel misero inferno, e del suo Lucifero, il presidente del tribunale paragonato al sole (ma questa immagine può essere interpretata anche come parodia dello stesso Paradiso dantesco), sono evidenti reminiscenze dantesche seppure deformate da spirito parodistico e satirico. Sul problema del genere letterario cui ricondurre il capolavoro gogoliano esiste un’importante affermazione di Tolstoj che ebbe a dire:

 

«Ogni grande artista deve creare le proprie forme. Se il contenuto delle opere d’arte può essere infinitamente vario, allora lo deve essere anche la loro forma... Prendete le Anime Morte di Gogol’. Che cosa sono? Né un romanzo, né una novella. Sono qualcosa di assolutamente originale».

Da questo giudizio si diparte Jurij Mann nel saggio Sul genere delle Anime morte (1972), per approfondire il problema della caratterizzazione di genere delle Anime Morte. A suo parere, tutti i tentativi di definire l’opera di Gogol’ rifacendosi alle categorie tradizionali, ivi compreso il poema, sono destinati al fallimento. Tale circostanza risulta evidente se si analizzano i contributi di quegli studiosi che si sforzarono di trovare la chiave di interpretazione del genere delle Anime Morte nel noto Manuale di letteratura per la gioventù russa sul quale Gogol’ lavorò nel corso degli anni quaranta. Ed infatti tale opera non ci fornisce la definizione di genere del capolavoro gogoliano, ma ci permette di approfondire quale comprensione dei generi letterari avesse lo scrittore. Ad esempio, secondo Gogol’, dopo Omero l’epopea non è più possibile, mentre si registrano esempi (Ariosto, Cervantes) del «genere epico minore». Proprio a questo genere molti studiosi hanno voluto ricollegare le Anime Morte, ma malgrado i molti elementi di contatto, non è possibile identificare l’opera con questa categoria. Particolarmente interessante risulta la definizione fornita da Gogol’ del romanzo. Egli ne sottolinea il carattere analogo a quello del dramma e il fatto che esso «non afferra tutta la vita, ma un avvenimento significativo in essa, tale che faciliti una resa perfetta della vita malgrado le convenzioni di spazio». Come si vede, una definizione che potrebbe calzare anche per il primo tomo delle Anime Morte, i cui tratti drammatici risultano evidenti.
Gogol’ defini tuttavia la sua opera ‘poema’. In Russia allora con ‘poema’ si indicava in primis la tradizione epica omerica, tradizione che Gogol’ riteneva ormai irripetibile mostrandosi così in disaccordo, almeno apparente, con le analisi fomite delle Anime Morte da Aksakov e Ševyrev. Con ‘poema’ si indicavano anche le composizioni in versi di stampo byroniano e puskiniano, e ‘poemi’ erano chiamate varie composizioni di natura satirica o didattica. Ma ‘poema’ era definita anche la Commedia (spesso svjašc?ennaja poema, ‘Sacro poema’), opera per la quale Gogol’ esprimeva in quegli anni tutto il suo entusiasmo a Ševyrev, sostenendo i di lui tentativi di fornirne una traduzione russa finalmente adeguata. Ed è proprio questo, come sottolinea Mann, il punto di partenza per una definizione di genere del testo gogoliano.
Il rapporto tra Gogol’ e la Divina Commedia risulta assai complesso e contraddittorio, ma è innegabile, malgrado autorevoli pareri contrari come quello di Gukovskij che definisce «opinione erronea» uno stretto collegamento delle Anime Morte alla Commedia (Il Realismo di Gogol’, 1958, p. 520). Verso Dante vi è infatti da parte di Gogol’ un atteggiamento ora ironico, ora partecipe. Questo atteggiamento paradossale, spesso antitetico, è caratteristico di Gogol’ uomo e letterato e della sua creazione artistica. E d’altra parte il suo capolavoro ha un carattere composito, ricco di reminiscenze ed atteggiamenti parodistici, di diversi principi costruttivi, che lo rendono un’opera di genere sincretico, opera che pur chiamandosi ‘poema’ si ricollega al romanzo picaresco, alla tradizione del viaggio letterario, al romanzo di costume, al dialogo lucianeo, ecc. Il rapporto con la Divina Commedia non è dunque meccanico e imitativo, ma è accompagnato da innumerevoli altri legami e dipendenze letterarie spesso anche più evidenti e decisive. Talune persino si sovrappongono alla componente dantesca. È il caso dell’evidente riferimento nelle Anime Morte alla Comédie Humaine di Balzac. Gogol’, come hanno posto in risalto vari studiosi, risentì notevolmente del fascino dell’epopea realistica balzachiana, la quale a sua volta nella stessa denominazione si ricollegava alla Divina Commedia. In questa prospettiva la dimensione dantesca del romanzo realistico francese si trasferì mutatis mutandis nell’epopea realistica gogoliana e il Dante gogoliano è anche un Dante francese oltre che il Dante rivisitato dagli idealisti tedeschi (v. oltre).
Mann nota come la tradizione dantesca non venga recepita da Gogol’ in modo meccanico, ma venga trasformata ed inserita in una dimensione nuova e diversa. Ora essa viene rivisitata in chiave ironica, come nel brano già commentato da Šklovskij, ora viene recepita in modo del tutto serio, quando viene privilegiato il principio etico di successione dei personaggi-peccatori nel primo tomo. Ed infatti come in Dante i personaggi si succedono in base alla crescente gravità dei peccati di cui si sono macchiati in vita, così anche nelle Anime morte registriamo un «processo di impoverimento della personalità» nella galleria dei personaggi via via introdotti in base al crescente loro grado di pošlost’, di quella «volgarità autosoddisfatta» che è tratto negativo specifico del mondo etico dei personaggi gogoliani. «Passando da Sobakevic? a Pljuškin siete presi dal terrore, ad ogni passo vi impantanate, affondate più in basso», notò Herzen. Si parte infatti da Manilov, analogo degli ignavi di Dante (III, 61-63), punto di partenza segnato dall’assenza di una forza attiva, buona o cattiva che fosse, per poi, nei successivi pomešc?iki, porre in risalto diverse e sempre più gravi passioni e deviazioni dello spirito. In Pljuškin si manifesta poi in tutta la sua gravità il problema della libertà umana, della scelta cosciente tra bene e male, scelta cosciente che rende più grave il peccato. Una situazione analoga si ripete con ancor maggiore chiarezza nella biografia di C? ic?ikov , altro grande peccatore perché, a differenza delle anime «irreparabilmente morte», risulta potenzialmente vivo.
La scoperta della dimensione dantesca, infernale, della Russia è sviluppata in parallelo, come aveva notato ancora Herzen, anche in specifiche ‘finestre’ attraverso le quali Gogol’ apre squarci e prospettive sulla vita di Pietroburgo. La pointe di questo procedimento si realizza nel «Racconto del capitano Kopejkin»
Per quanto concerne poi la seconda parte, qui Gogol’ evidenzia nei singoli powasczfó-peccatori non solo i difetti, ma anche i pregi. Questi personaggi, a detta dello stesso Gogol’ (Lettera a K. Markov del dicembre 1849), erano «caratteri più significativi dei precedenti». Betrišc?ev, ad esempio, «come molti di noi, racchiudeva in sé accanto a molte virtù anche un mucchio di difetti». Non solo Betrišc?ev, ma anche Tentetnikov, Platonov, Chobuev e addirittura il goloso Petuch nascondono in sé tratti di nobiltà d’animo. 
La seconda parte doveva segnare un’evoluzione interiore anche nel protagonista Cicikov, nel quale doveva cominciare a manifestarsi la voce della coscienza. Si pensi alle parole che Murazov profferisce a Cicikov: «Ah, Pavel Ivanovic?! che uomo sarebbe potuto uscir da voi, se appunto così, con la forza e la pazienza aveste lottato sulla buona strada, mirando ad uno scopo migliore!». 
 La redenzione doveva aver luogo nella terza parte, come risulta dalle memorie di A. M. Bucharev. Da una lettera di Gogol’ a Jazykov veniamo inoltre a sapere che il pentimento doveva raggiungere anche l’altro grande peccatore Pljuškin. In questa prospettiva ci saremmo trovati di fronte all’ultima fase di «una storia di un’anima», della redenzione dell’uomo moderno, del suo accostarsi alla realtà in quello che giustamente aveva indicato poter essere Ševyrëv «un poema del nostro tempo». 
 Un’analisi ancora più attenta delle reminiscenze dantesche nel poema gogoliano ha permesso a E. A. Smimova (Il poema di Gogol ’ «Le Anime Morte» Leningrado, 1987, pp. 126-134) di scoprire altre significative analogie tra i due poemi. La studiosa si diparte dal già menzionato parallelo proposto da Herzen tra Inferno dantesco e Russia delle Anime morte, parallelo forse suggerito a Herzen da Gogol’ stesso, e che aveva spinto il pensatore russo a riconoscere nel cammino di Cicikov una vera e propria discesa agli inferi «...ad ogni passo vi impantanate, affondate più in basso...». Proprio il ‘motivo della discesa’, dell’ ‘impantanamento’ di Cicikov e del suo calesse è riproposto più volte nel corso della narrazione (basti qui ricordare l’incisione nella stanza di Pljuškin che raffigura i cavalli che stanno affogando).

 

Proprio come Dante, il quale, abbandonando l’Inferno nota:

Tanto ch’i’ vidi delle cose belle
Che porta ’l ciel, per un pertugio tondo;
E quindi uscimmo a riveder le stelle (XXXIV, 137-39) 

nel finale della prima parte Gogol’ nota: «solo il cielo sopra la testa, e le nubi leggere, e trasparente fra mezzo la luna, esse sole sembrano immobili». Nel 1846 preparando la ripubblicazione della prima parte del poema Gogol’ preparò delle tracce per la sua rielaborazione. Interessante notare come egli avesse intenzione di tracciare nel finale un nuovo paesaggio che si associasse all’immagine dell’imbuto infernale. E d’altra parte, al principio della seconda parte, il paesaggio ivi descritto instaura un evidente parallelo con la montagna del Purgatorio bagnata dal mare in Dante.
Ma la Smirnova ha evidenziato altre interessanti associazioni o coincidenze con Dante nella prima parte dell’opera. La studiosa ha posto in risalto, ad esempio, le evidenti analogie tra la residenza di Manilov e il Limbo dantesco; la pioggia, l’oscurità e cani nell’episodio della Koroboc? ka presentano invece analogie con il Canto VI dell’Inferno, mentre l’episodio del rientro in città di Cicikov («La variopinta barriera aveva preso un certo colore indefinibile; i baffi di un soldato, piantato lì di sentinella, gli figuravano sulla fronte, molto più su degli occhi...» e più in basso «esseri d’un genere speciale, che sotto forma di dame in scialletto rosso e scarpette senza calze volteggiano come nottole ai crocicchi...») riecheggerebbe l’episodio delle Furie (Canto IX). Si ha dunque, secondo la Smirnova, una proiezione dell’Inferno dalle immagini della città NN sui realia della vita russa. La figlia del governatore costituisce invece la personificazione dell’idea filosofica che illumina la massa informe dei personaggi ‘non uomini’ del poema. È l’unico personaggio non contaminato dalla pošlost’ che pervade la scena. In essa pare risiedere l’idea della primigenia purezza e della potenziale rigenerazione, rinascita della società. In secondo luogo, la figlia del governatore incarna l’idea romantica della bellezza femminile quale riflesso della superiore armonia celeste. Ella è dunque portatrice di luce, come Beatrice nella Commedia, e come Beatrice («Là armonizzando il ciel t’adombra», Purg. XXXI, 144) è armonia (cf. la scena del ballo, dove della figlia del governatore si dice: «con un ovale di viso così incantevole, che un artista lo avrebbe preso a modello per una Madonna»), Probabilmente questo personaggio ‘angelicato’ avrebbe dovuto fornire un contributo decisivo alla ‘redenzione’ di C? ic?ikov nel progetto irrealizzato dell’opera.
Assai importante risulta il fatto che Gogol’, per quanto si sia allontanato dal modello dantesco, abbia tuttavia rispettato quel suo carattere di poema-trilogia che era collegato dalla filosofia idealistica al concetto di triade come più adeguata categoria della conoscenza. Gogol’ probabilmente conosceva attraverso Ševyrëv il noto studio di Schelling Dante in prospettiva filosofica (1803), (su tale circostanza e più in generale sull’influsso di Schelling nell’opera di Gogol’ si veda il saggio di E. A. Smirnova, Sul polisemantismo delle Anime morte, 1983) e le tesi sul valore simbolico universale della Commedia ivi esposte, e tuttavia trasgredendo il modello del romanzo ed allontanandosi anche da quello della Commedia, egli nel suo tentativo di creare un poema-trilogia valido per la contemporaneità, del quale intendeva sottolineare il carattere universale e privilegiare il sostrato filosofico, mantenne vive nella sua opera le proprietà universali della Commedia. Egli creò dunque, proprio come aveva già fatto secondo Schelling Dante, «una combinazione del tutto originale, per così dire organica, non riproponibile con l’ausilio di un qualsiasi artificio arbitrario, di tutti gli elementi di tutti questi generi (dramma, poema, romanzo, ecc.), un individuo assoluto, a nient’altro rapportabile se non a se stesso».
Alcune annotazioni preziose al tema ‘Gogol’-Dante’ sono reperibili anche nel capitolo dedicato a Gogol’ da E. Kuprejanova nella Storia della Letteratura Russa [voi. II, Leningrado, 1981, pp. 567-568]. In particolare la studiosa evidenzia l’antitesi esistente tra la ‘bric?ka’ (il calesse) di Cicikov e la ‘ptica-trojka’ cantata nella chiusa della prima parte dell’opera e nel contempo rileva l’evidente «trasformazione ideale» della prima nella seconda nel progetto epico-salvifico di Gogol’. La chiusa della prima parte conferisce infatti all’opera il carattere di epopea dello spirito nazionale e identificando simbolicamente nella trojka l’anima nazionale ne prospetta la rigenerazione. E così il carattere tripartito del progetto gogoliano dovrebbe avere al proprio centro, come protagonista, l’anima umana, nelle sue tre dimensioni, individuale, nazionale e universale proprio come, potremmo noi aggiungere, individuale è il carattere del romanzo, nazionale il carattere dell’epica e universale il carattere di quell’individuo assoluto’, non ‘un libro’, ma ‘il libro’, che Gogol’ vedeva come proprio fine ultimo di uomo e scrittore e che aveva come suo antecedente la Commedia di Dante, se non proprio il profetismo biblico.
Sul carattere composito e sul complesso intreccio semantico delle Anime Morte molto si è scritto e le prime indicazioni vengono da Gogol’ stesso. Come ricorda Pavel Annenkov in relazione alla seconda parte dell’opera, Gogol’ si preparava «a ricondurre ad un unico piano d’espressione tutta la vita, l’immagine dei pensieri, l’indirizzo etico e la sua stessa visione dello spirito e delle virtù della società russa». Qui molti autori, tra cui Donald Fanger e Aram Asojan (Dante e la letteratura russa, 1989; «Onorate l'altissimo poeta», 1990), hanno posto in risalto l’analogia esistente tra progetto delle Anime Morte e Commedia nel complesso strutturarsi dei piani di lettura delle due opere. Mi riferisco ai quattro livelli interpretativi – letterale, allegorico, morale ed anagogico – di cui Dante scrive a Cangrande della Scala a proposito della Commedia e che in parte possono essere riferiti anche alle Anime morte, come si evince anche da scritti di e su Gogol’ e come è stato evidenziato da E. A. Smirnova.
Avendo in mente le Anime Morte, Gogol’ tendeva ad evidenziare il fatto che «tutte le mie ultime opere costituiscono la storia della mia propria anima». L’idea che la vita terrena prepari quella eterna, caratteristica secondo Hegel proprio dell’impegno eroico di Dante, si fa largo anche nella concezione sempre più mistico-religiosa che della letteratura nutre Gogol’ negli ultimi anni. Non è dunque un caso che egli tenda a riconoscersi nell’immagine profetica di Dante, conferendo al proprio capolavoro analogo valore simbolico e pathos spirituale, analoga partecipazione individuale, temi ed immagini. Non a caso nell’anima umana si è più volte voluto riconoscere la vera, più autentica protagonista, della progettata trilogia gogoliana. Individuando in se stesso l’«apostolo della verità», Gogol’ tende a modellarsi sulla figura artistica e morale di Dante, giungendo a posizioni spirituali assai vicine a quella che a Dante espone Cacciaguida nel XVII canto del Paradiso. In definitiva, come acutamente sottolinea Asojan riferendosi al tortuoso e misterioso cammino spirituale dello scrittore, Gogol’ come Dante sceglie la missione del martire, martire del suo stesso progetto etico-artistico, tende a conferire a se stesso il dono della preveggenza e alla propria opera il carattere di rivelazione, che sono tratti specifici dell’utopismo gogoliano. Nella tradizione letteraria russa questo atteggiamento rientra nel fenomeno del podvižnic?estvo, della testimonianza eroica di fede e patriottismo che, tratto specifico dello scrittore anticorusso, si rinnova in autori come Radišc?ev, Karamzin, fino a Dostoevskij e al Tolstoj della Confessione e di cui si ritrovano tracce sebbene assai diversificate ad esempio in Blok e in Majakovskij. 
 Alcune ultime considerazioni. Il compito dell’arte e la missione dello scrittore nel pensiero gogoliano degli ultimi anni sono visti in una prospettiva vicina allo slavofilismo e ad una concezione ‘ortodossa’ del mondo. L’arte acquista dunque il significato edificante di testimonianza di fede e di vita e lo scrittore il ruolo di missionario e profeta oltre che umile servitore del suo popolo, della nazione.
Tale concezione discendeva in Gogol’ da molteplici canali, sia dal pensiero spirituale e religioso nazionale, quasi di marca anticorussa, sia da stimoli occidentali, romantici ed idealistici in primo luogo. Risalta comunque all’occhio, nel paradossale spirito di contraddizione di Gogol’, commistione di autoumiliazione e presunzione, l’antitesi tra una visione del mondo di tipo medievale, propria dell’ortodossia russa e tormentosamente riscoperta dal Gogol’ uomo da un lato, e l’appartenenza di Gogol’ artista al suo tempo, così lontano dal concepire la scrittura come puro esercizio di lettura esegetica della realtà, dall’altro lato. Eppure proprio in questa prospettiva troviamo un evidente analogia con Dante e il suo poema. Dante, uomo del medioevo, si fa testimone con il suo libro dell'armonia divina e nel contempo dell’eroismo dell'anima individuale volta attraverso dubbi e tormenti a raggiungere quell’armonia, in un drammatico interagire di libertà individuale e disegno divino, in questo preannunciando il nascente umanesimo. Gogol’, uomo dell’epoca moderna, tende ad immedesimarsi in Dante proprio perché pur avvertendo da un lato con nostalgia l’armonia spirituale ed etica propria della dimensione medievale russa (e a tale armonia pare aspirare nei suoi scritti filosofico-religiosi e pubblicistici), dall’altro è testimone del lancinante affermarsi del principio di individualità nella nuova Russia, dei tragici rischi ad esso collegati, ma anche di un possibile, auspicabile, nuovo umanesimo russo di portata universale, di cui Gogol’ vuole essere l’apostolo. In questa prospettiva Gogol’ anticipa il grande interesse per Dante che fu caratteristico dei simbolisti e dei decadenti.

 


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15 ottobre 2023
Semicerchio al Salon de la Revue di Parigi

30 settembre 2023
Il saggio sulla Compagnia delle Poete presentato a Viareggio

11 settembre 2023
Recensibili 2023

11 settembre 2023
Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

26 giugno 2023
Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

21 giugno 2023
Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

6 maggio 2023
Blog sulla traduzione

9 gennaio 2023
Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

15 ottobre 2022
Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

11 giugno 2021
Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

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