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EUSTÁQUIO GORGONE DE OLIVEIRA, Manuscritos de Pouso Alto, Rio de Janeiro / Juiz de Fora: 7Letras /Funalfa Edições 2004, pp. 76., s.i.p.

Il poeta Eustáquio Gorgone de Oliveira (nato nel 1949) possiede un lungo cammino nel campo della poesia, denso e vigoroso, ma che raramente viene alla ribalta nel palcoscenico della letteratura brasiliana, dato che l’autore vive in una piccola città dell’interno dello stato del Minas Gerais. Ciò nonostante, la recente diffusione di premi letterari nazionali ha favorito la visibilizzazione di libri come questo, finalista del premio di poesia «Murilo Mendes» della città di Juiz de Fora nel 2003.

Eustáquio Gorgone de Oliveira è un poeta che ha saputo costruire, per mezzo di uno sguardo attento rivolto ai fenomeni dell’anima e dello spirito, una poetica universale che trascende i confini geografici. La sua poesia traccia un itinerario archetipico che situa l’essere umano tra i poli che, da sempre, lo caratterizzano ontologicamente, tra peso e leggerezza, cecità e visione, fragilità e vivacità. Il linguaggio non rivela solamente la luminosità del mondo, ma allude anche ai suoi aspetti inspiegabili.        $            

In questo senso, Eustáquio rivela nel suo Manuscritos de Pouso Alto la perigratio animae di un soggetto lirico che vive in tensione con il mondo, perché considera il mondo come contraddittorio, aspro e dolcissimo allo stesso tempo. In questo mondo apocalittico e profetico, di «arance cancerogene e profumate» (poesia 25), la natura è messaggera, ora proteggendo, come «la rosa che resiste alla ferruggine» (poesia 3), ora trasformandosi in un ente minaccioso, dove sorgono «figli di pietra» (poesia 16), «una testa di gatto tagliata» (poesia 6) e «stelle morte e finestre gravide» (poesia 17). Quest’ambivalenza della natura risponde alle evoluzioni dello sguardo dell’io lirico, il quale orchestra il denudamento del mondo.

È evidente che la poesia di Eustáquio Gorgone de Oliveira presenta aspetti caratteristici della tradizione barocca di Minas Gerais. La visione del mondo «distorta» che veicolano le sue poesie ci ricorda le sculture dell’Aleijadinho, così come il sentimento generale che sorvola tutte le poesie, marcate da un’estetica espressionista. Queste, infatti, ricordano il barocco anche nella constituzione non lineare dell’uso della lingua (troncata) e nelle figure, poco usuali e spesso sorprendenti, impiegate per parlare dell’amore. Il lettore può avvertire la presenza di un’altra realtà dietro quella – più esplicita – dei versi: dietro l’apparente normalità della «porta che si chiude» e del «quadro che è appeso alla parete» (poesia 40), la natura si è esiliata in un presente eterno, come se improvvisamente Medusa avesse pietrificato tutto attorno a sé, lasciando «occhi fissi» e una «mezza luna» (poesia 8) che diventa «imprigionata in rami» (poesia 36). Tuttavia, se il lettore aguzza meglio l’ascolto, percepirà che esiste un mondo dove i segni di vitalità sono grida sottovoce di persone come «il vetraio che beve vetri» (poesia 41) o le «coppie di un solo corpo / alla ricerca dei propri membri» (poesia 42).

L’urgenza e la disperazione di queste grida umane invoca, nella poesia di Eustáquio, la convivenza del reale e del fantastico per creare un mondo consono alla riscoperta della profondità umana, ossia, un mondo a misura umana. Non ci sono quindi ragioni per spaventarsi con «buoi alati» che nascono dietro le chiese della sua poesia (52), nemmeno con i «granchi orfici» che dormono nelle braccia dell’amata (poesia 16), e neanche con i «bambini di porcellana» che sorgono nella nona poesia. In questo nuovo libro, l’autore solleva questioni relative alla nostra definizione ontologica senza dare risposte definitive. L’unica bussola capace di orientarci nei manoscritti di questo intenso libro è l’impatto dell’emozione estetica, perché la felicità che nasce dalla sua lettura è legata al sentimento di qualcosa che, nelle poesie, parla profondamente di ognuno di noi.

Prisca Augustoni


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