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NUOVA POESIA CECA
di Annalisa Cosentino
 
Nel 1950 Angelo Maria Ripellino pubblicò una breve Storia della poesia ceca contemporanea, scoprendo per il lettore italiano una serie di tesori inestimabili: poeti proletari, poetisti, surrealisti, poeti religiosi e civili, Wolker, Nezval, Seifert, Blatný, Halas, Holan, Orten, Zahradnìcek, Kolàr e altri. In quelle poche pagine densissime si delinea il quadro composito di una tradizione poetica la cui costante è rimasta, anche nella seconda metà del secolo, la straordinaria ricchezza. Rintracciare le linee evolutive e le tendenze dominanti nella poesia ceca del Novecento è dunque un’impresa ardua, complicata inoltre dalle vicende politiche e dalle loro conseguenze nel sistema culturale: le censure che si sono susseguite a partire dall’inizio dell’occupazione nazista hanno contribuito a determinare l’evoluzione dell’arte e quindi anche le dinamiche letterarie.

Durante il fertile ventennio tra le due guerre, nella giovanissima democrazia cecoslovacca piena di speranze si affermarono dapprima il poetismo – e cioè la più gioiosa e positiva tra le avanguardie europee, una felice sintesi delle istanze avanguardistiche che voleva una poesia per tutti i sensi, in grado di cantare e ricreare «tutte le bellezze del mondo» – e poi il più vitale dei movimenti surrealisti (vitale al punto che sue propaggini si estendono tuttora). In seguito le devastazioni materiali e morali della guerra diedero impulso a un filone molto produttivo nella letteratura ceca contemporanea, tuttora presente, che risponde al problema del realismo risolvendo il rapporto di rappresentazione e realtà in una poetica della quotidianità dalle numerose varianti: in questo filone rientrano, a vario titolo, le numerose mutazioni surrealistiche coniugate alla «mitologia del quotidiano», il «realismo totale» e addirittura, per certi versi, il realismo socialista. La necessità costante di confrontarsi con un sistema politico illiberale – dapprima, durante la Seconda guerra mondiale, nazista, poi, per circa quarant’anni, totalitario comunista – diede impulso a forme clandestine di associazionismo e di editoria: se dunque l’evoluzione sul piano estetico naturalmente non si è mai arrestata, tuttavia l’interazione tra le varie componenti del sistema culturale è stata frequentemente ostacolata. Spesso la diffusione delle opere letterarie era limitata a cerchie ristrette, ad esempio all’élite che aveva accesso al circuito delle pubblicazioni samizdat o ai libri stampati all’estero; di conseguenza il contesto di un’opera risultava artificialmente compresso. L’alternarsi di fasi di relativa liberalizzazione e successiva normalizzazione ha poi creato ulteriori sfasature nella ricezione della letteratura: ad esempio, alcuni autori che nel corso degli anni Sessanta avevano potuto accedere alla pubblicazione e ottenere il successo, nel decennio seguente furono messi a tacere, e le loro opere furono eliminate non solo dai piani editoriali, ma anche dalle biblioteche pubbliche. Fu questo, ad esempio, il destino di Jan Skácel, negli anni Sessanta direttore di un’importante rivista letteraria e poeta affermato, che dopo il 1969 scriveva i propri versi senza alcuna speranza di pubblicarli ufficialmente e intanto si guadagnava da vivere grazie a traduzioni che tuttavia non poteva firmare con il proprio nome. Anche la semplice ricostruzione della paternità di molti scritti – soprattutto, per la verità, di traduzioni e saggistica – sarà un compito arduo per lo storico della letteratura, giacché la necessità di nascondersi imponeva ai letterati ‘vietati’ di non lasciare tracce della propria attività, e naturalmente anche gli amici che prestavano loro il proprio nome dovevano cautelarsi di fronte al pericolo della discriminazione.

Negli anni Novanta, con il ripristino della democrazia, case editrici e librerie sono state inondate di testi: oltre alla produzione contemporanea, vengono pubblicate le opere rimaste inedite, quelle edite prima soltanto clandestinamente, quelle edite nelle case editrici ceche dell’esilio, quelle già pubblicate ma censurate. Questa contemporanea abbondanza di materiali eterogenei ha prodotto una certa confusione, impedendo talvolta al lettore di individuare un filo conduttore; si è trattato tuttavia, allo stesso tempo, di una confusione creativa, che ha permesso interazioni particolarissime e produttive di opere e autori lontani fra loro nel tempo e per formazione. Così viene finalmente pubblicata l’opera poetica di Jirí Kolár (1914-2002), nota prima del 1989 soltanto parzialmente; si lavora all’edizione delle opere del Nobel Jaroslav Seifert (1901-1986), in precedenza deformate da interventi censori. Così si trovano l’uno accanto all’altro, nelle collane e sugli scaffali, esordienti come Viola Fischerová (attiva nella letteratura fin dagli anni Cinquanta, pubblica la sua prima raccolta di poesie nel 1993), Petr Hruska (che ha trent’anni di meno e quindi una storia completamente diversa), Katerina Rudcenková (che nel 1989 aveva appena tredici anni).

Le poesie presentate in queste pagine non costituiscono un’antologia rappresentativa del complesso panorama attuale della poesia ceca. Si vuole offrire al lettore italiano appena qualche sonda, la possibilità di ascoltare alcune voci: le prime due, quelle di Viola Fischerová e di Ivan Wernisch, sono voci autorevoli di poeti affermati e riconosciuti; i versi della Fischerová sono tuttora ignoti al lettore italiano, mentre brevi scelte delle poesie di Wernisch sono state pubblicate su «Si scrive», 1995 e 1997. Le altre poetiche (di Petr Hruška, Miloš Dolezal, Petr Borkovec, Katerina Rudcenková, Pavel Kolmacka, sebbene autonome e ben delineate, non permettono ancora una definizione univoca. Dal punto di vista del mercato editoriale, e cioè della presenza di questi versi nel contesto culturale delle opere edite, si tratta di testi ‘nuovi’, e non del recupero di materiale risalente ai decenni precedenti il 1989. Nel suo complesso, questa piccola antologia mostra alcuni elementi di continuità individuabili nella storia della poesia ceca del Novecento: i versi di Wernisch rientrano a pieno titolo nella tradizione che unisce sperimentalismo e poetica della quotidianità, sebbene arricchita dei guizzi dadaistici e del particolare umorismo che caratterizza questo notevole poeta; allo stesso filone possono essere ricondotte anche le poesie di Hruška, mentre nella personalissima intonazione dei versi di Viola Fischerová riecheggiano accenti lirico-metafisici che ricordano il linguaggio poetico di grandi artisti come František Halas e Vladimír Holan; le poetiche di Dolezal, Borkovec e Kolmacka sono state accostate alla tradizione della poesia spirituale.

Nella poesia ceca dell’ultimo decennio non sembra dunque possibile individuare né tendenze particolarmente innovative, né il desiderio di una rottura con la tradizione novecentesca. Ma non è poesia di epigoni: al contrario, proprio l’originalità di alcune personalità poetiche si conferma nelle battute di un dialogo a distanza, nella ricerca di nuove consonanze. 

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