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MASSIMO OLDONI, L’ingannevole medioevo Nella storia d’Europa letterature ‘teatri’ simboli culture, Napoli, Liguori Editore, 2014, 2 vol., pp. 1017, € 73,99.


in: Semicerchio LII (2015/1) Poesia alimentare. Food poetry pp. 112 - 114




Gli studi di letteratura mediolatina soffrono da sempre in Italia sia di una dipendenza metodologica e accademica dalla filologia classica, nella sua accezione più tecnica di metodo per la ricostruzione di archetipi di opere perdute, sia di una dipendenza di contenuti dalla medievistica storica, che occupa nei piani di studio e nelle università uno spazio dieci volte maggiore ma privilegia un’attenzione ai testi in quanto portatori di dati e non in quanto espressioni di idee e di forme. Una vera e propria critica letteraria è nata in Italia solo con Gustavo Vinay, primo docente della disciplina alla Sapienza di Roma, e con la sua scuola, oggi rappresentata da Ileana Pagani e Massimo Oldoni e rifratta in pochi altri della generazione successiva. Alto medioevo. Conversazioni e no di Vinay (1979) è stata ed è ancora la guida irripetibile a un approccio letterario fino all’umoralità e al giudizio di gusto, indipendente e talvolta contrapposto alla morfologia letteraria di Curtius e Auerbach che pure, nonostante i molti limiti e i moltissimi detrattori, dopo quasi 70 anni rimangono – mentre altre stelle brillano brevemente e vengono assorbite dall’oscurità – i paradigmi indiscussi e i riferimenti bibliografici imprescindibili sia dello studio letterario del medioevo sia della comparatistica europea.
A conclusione di un servizio universitario precoce e luminoso Oldoni pubblica ora una monumentale raccolta di saggi per capire «cosa rappresenti la letteratura nel territorio della società medievale» senza voler produrre un manuale, perché la sua ricognizione esclude autori anche grandi «che sono stati coerenti con se stessi o con i propri errori e non hanno perpetrato inganni». Oldoni cerca invece storie dove tutto è diverso da come sembra: tranelli e apparenze, «personaggi dispari» nella dimensione dei «significati secondi», che caratterizzano l’Età di Mezzo prima di ripresentarsi, cambiati, nel simbolismo ottocentesco. Oltre i simboli e le loro visualizzazioni moderne Oldoni esplora i colori di un immenso videocrôme, la virtualità della matematica medievale: foreste, cavalieri, fantasmi e figure dove il ‘verso’ conta più del ‘recto’, in un confronto continuo con la fantascienza, le cui proiezioni aiutano capire quanto poco medievali potessero sentirsi i medievali, e col cinema, che di un certo medioevo ha trasmesso oggi le modalità di rappresentazione. Un confronto che pochi medievisti sono in grado di affrontare come Oldoni, vicace incursore della cultura contemporanea e commentatore radiofonico di lungo corso abituato a comunicare con un pubblico non preconfezionato. Lo confermano le epigrafi da autori contemporanei, per lo più poeti e cantautori, che forniscono la chiave, spesso laterale e complementare, alla lettura dei 21 capitoli. I saggi che compongono il doppio volume sono in realtà assai più numerosi dei capitoli che li aggregano in conglomerati tematici e caleidoscopiche sono le suggestioni: impossibile elencare anche solo i titoli nello spazio di una scheda. E impossibile contare i capitoli che mancano, come quello sui mirabilia di Gerberto cui Oldoni aveva già dedicato un’intero volume (Gerberto e il suo fantasma, Liguori 2008), ora convertito in un romanzo di successo (Il «mathematicus» di Arles, Avagliano 2014). L’opera si apre con un percorso sul rapporto col classico, Dalle voci di carta, tema topico degli studi medievali, qui affrontato dall’angolatura asimmetrica di storie amalfitane e viaggiatori arabi. Di Paolo Diacono, senza omettere la carriera ufficiale, si punta sul silenzio degli ultimi quattordici anni e alla memoria che di lui serbano le cronache cassinesi, ma anche sulle solitudini di desolazione o di pace che abitano l’Historia Langobardorum. Di questo autore Oldoni, qui sulle orme di Vinay, coglie il senso di una scrittura della storia come scrittura di se stessi, autocollocazione nel tempo, «affermazione del proprio diritto a esserci». Di ancora maggiore novità il capitolo su Alcuino e Desiderio, occasione per un quadro della scuola carolingia attraverso le rappresentazioni della parola nelle 300 epistole (vero tesoro inesplorato della letteratura medievale), negli indovinelli o nel Dialogus con Pipino che è un testo ludico parascolastico, alla ricerca della dimensione che a Oldoni è più cara e di cui è forse l’unico vero studioso italiano, l’oralità, e di una continuità nelle ricostruzioni di ambienti di scuola che porta appunto a quella cassinese e all’abate-maestropapa Desiderio.
E se il capitolo sulle madri, che consacra ampio spazio al manuale di Dhuoda (IX secolo) per il figlio e alle martiri protagoniste dei dialoghi drammatici di Rosvita (X secolo), affronta sia pure con visuale nuova un argomento ora abbastanza riconosciuto come quello della potente creatività di autori-donna nel medioevo, più tipico della scuola vinayana è il settimo sulle Disappartenenze, che rintraccia le presenze di «Frenetici e straniati», con suggestivo sottotitolo, nella storiografia implacabilmente sarcastica di Liutprando (X secolo) e nella prosa autoanalitica di Raterio di Verona (stesso periodo), personaggio quasi impensabile – se non fosse reale – che passa dalla solitudine alla rissa, dalle risate alla misantropia e ne analizza i riflessi nella sua stessa scrittura, grondante di odio per i suoi detrattori e usata come strumento per «impiccare sulla pagina tutti i suoi nemici» ubbidendo «alla sua disparità». Ma il capitolo serve anche a rivalutare «uno degli scrittori più dimenticati di questo coinvolgente X secolo», Benedetto di Sant’Andrea del Soratte, che dobbiamo leggere in un latino irreale perché aveva dettato la sua opera a un confratello sordastro, e a gettare una luce su Attone di Vercelli, scrittore impossibile per la sua prosa sperimentale di scinderationes (disarticolazione dei fonemi), parentesi, etimologie ed enigmi degna di un Sanguineti, la cui opera irriducibile a una sintesi di contenuto è oggetto di osservazioni un po’ per addetti ai lavori. La seconda parte del capitolo sugli ‘irregolari’ si diffonde sul cosiddetto ‘effetto Mille’, la paura dell’apocalisse collegata al cambio di millennio, che noi abbiamo vissuto in forma parodica il 31/12/1999 quando si aspettava l’esplosione dei sistemi Windows: dopo Abbone di Fleury, il De Antichristo di Adsone (nome che Eco utilizza per il personaggio del Nome della Rosa) e le impressionanti pagine dello storico Rodolfo il Glabro non solo sulla terra che si riveste di un manto bianco di chiese dopo il superamento della paura, ma sulla carestia del 1022 che genera quadri angosciosi di antropofagia, il capitolo culmina in una delle grandi scoperte critiche di Vinay, il monaco Otlone di Sankt Emmeram, in Baviera, autore di un Libro delle mie tentazioni e di un Libro di visioni che Vinay definì «autobiografia di un nevrotico». Oldoni ne mette in rilievo l’episodio, riportato in originale e tradotto come avviene anche per altri brani, a comporre una sorta di antologia informale, del personaggio dell’istrione Vollarc (Lib. Vis. 23), ospite del palazzo del diavolo con tutta la sua compagnia ‘teatrale’. Due grandi ritratti femminili colmano i capitoli 9 e 10: la duchessa, marchesa e contessa Adelaide di Torino, definita dal vescovo Benzone di Alba ammirabilis balena (nel senso di «regina dei pesci»), che Oldoni tira fuori dal cono d’ombra in cui l’inerzia storiografica l’aveva lasciata, e la cugina Matilde di Canossa, osservata decostruendone l’immagine creata dalla biografia panegirica di Donizone attraverso l’interpretazione dei passi salienti. L’XI secolo dello scontro fra Gregorio VII ed Enrico IV introduce a un altro dei temi preferiti da Oldoni, la cultura dei Normanni fetidissima stercora mundi, fili spurciciae (ancora secondo il coloritissimo Benzone), percorsa in un capitolo esteso quanto un libro nel libro, in movimento dalla Normandia alla Puglia, dallo Jutland all’Inghilterra (dove mancano solo le saghe dei Gesta Danorum di Saxo, uno dei migliori scrittori dell’intero medioevo, degno di un Millennio Einaudi ma non di una menzione in una sola delle letterature mediolatine esistenti) chiudendo il primo volume con La letteratura di Magonia (= terra di Macaone figlio di Asclepio), utilissimo e originale itinerario attraverso le scritture della scuola medica salernitana, e omaggio alla sede dove è cominciata l’avventura europea dell’università e dove Oldoni ha insegnato per decenni.
Col secondo volume entriamo armi e bagagli nel XIII secolo, inaugurato da La ruota della fortuna e il blues del Medioevo, che gli intenditori avranno riconosciuto immediatamente come un richiamo alla miniatura dei Carmina Burana, tema che ricorre anche nell’Elegia di Arrigo da Settimello qui rappresentata da ampi stralci con traduzione a fronte, e a quelli che Oldoni chiama «cantautori» della celebre raccolta di satire, parodie e canti d’amore e di taverna, citati e intrecciati con episodi del Dialogus Miraculorum di Cesario o del Decamerone di Boccaccio ma anche con richiami alle forme di teatro del medioevo, così care alla ricerca oldoniana, perché «la testualità dei Carmina Burana è costruita come un rap-blues» (forse più il primo che il secondo, dato che la malinconia è poco attraente per la fisicità scanzonata dei goliardi). Fisicità che Oldoni porta in primo piano come solo lui ha avuto il coraggio di fare, navigando fra le indicazioni ginecologiche di Trotula e i vari Libri de coitu, con relative fonti arabe, fino alla casistica delle perversioni trasmesseci dai penitenziali e negli episodi delle grandi opere storiografiche, ponendosi poi la domanda «chi ride?» che si tramuta in una ricerca sul possibile spazio e sul possibile pubblico di rappresentazioni performative ‘profane’ del medioevo che poteva forse meritare la dignità di un capitolo autonomo, anche se breve.
Degli ultimi capitoli quello su Federico II e Pier della Vigna si segnala per l’abbondanza di riprese testuali anche documentarie presentate in ostensione celebrativa e partecipazione emotiva come raramente accade altrove: ad esempio nell’Encyclica con cui Federico, presentando i suoi progetti culturali, esalta la sapienza, senza cui la vita non conosce libertà, o il lamento di Piero accecato, che Oldoni sente come testamento di un’altissima voce «nobilitato da una prosa sofferta ed elegantissima». Ne Le differenti latitudini dell’anima Oldoni si cimenta con la rivalutazione anche letteraria (fra tante figure che sfociano nel best seller epocale delle Meditationes de passione Christi di fine Duecento e nel Dialogo di Caterina da Siena), di alcuni dei pensatori più antipatici di tutto il millennio: Bernardo di Clairvaux, sempre armato di sarcasmo impietoso e campione di una politica ecclesiastica priva di scrupoli ma che oggi non può sfuggire all’etichetta di esponente della retroguardia teologica del XII secolo; Pier Damiani, il livido fustigatore del clero capace di sfiancare il lettore con la sua «intemperanza» senza umanità e Bonaventura, il ‘normalizzatore’ dell’ordine francescano, cui si aggiunge fortunatamente l’incolpevole Giovanni di San Gimignano, domenicano fra XIII e XIV secolo della cui enciclopedia simbolista (Libro degli esempi e delle somiglianze delle cose) Oldoni mise in luce l’impalcatura intellettuale in una memorabile relazione a un convegno. In questo, il medievista si impegna su un terreno che non gli è il più familiare né forse congeniale, quello della spiritualità, su cui, senza immergersi nelle profondità agiografiche e mistiche dominate soprattutto da Claudio Leonardi, il suo metodo di lettore di storie, ambienti, personaggi e colori lancia uno sguardo comunque innovativo.
Le ultime parti dell’Ingannevole Medioevo sono interessate dal tema del viaggio e della spazialità letteraria: non solo gli itinerari canonici (come quelli per Roma), ma figure e storie mitiche come l’Ebreo errante, i Re Magi, la Navigatio sancti Brendani (di cui si segnala l’ottima edizione commentata di Rossana Guglielmetti, SISMEL 2014), il folklore gallese di Giraldo Cambrense, l’Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine, l’Oriente di Guglielmo di Rubruck e Odorico da Pordenone, incluse le descrizioni di terre della fantasia come il regno del Prete Gianni e tutti gli altri grani del rosario dell’itineranza che ormai centinaia di pubblicazioni scientifiche e divulgative, siti web e progetti turistici ci hanno reso fin troppo familiare ma che Oldoni, sulla scorta delle suggestioni della storiografia francese, ha esplorato fra i primi. E questa ricognizione non poteva chiudersi se non con Cristoforo Colombo, il suo Giornale di Bordo patito da Oldoni come troppo razionalista rispetto ai suoi standard creativi, la sua interpretazione leopardiana, e la valorizzazione di uno dei suoi continuatori meno noti: Alessandro Geraldini, umanista alla corte di Spagna e primo vescovo di Santo Domingo, che ci ha lasciato un ingente e prezioso Itinerarium ad regiones sub aequinoctiali plaga constitutas, mosso fra attenzioni pastorali, diffidenza verso costumi che giudica animaleschi e lirismo descrittivo: il primo testo latino del mondo nuovo, che ha ricevuto recenti attenzioni critiche e filologiche in Spagna ed è leggibile in una traduzione italiana del 1991 di G. Ferro. Vi scopriamo anche le sue impressioni dei popoli del Senegal, dove trova «società in armonia con se stesse, a colloquio con i proprî profeti, presuli o sacerdoti che siano» e invettive contro i criminali che «hanno infierito contro uomini innocenti, inermi, che vivevano secondo le leggi della natura», gli stessi criminali «diventati improvvisamente uomini pii, santi, giusti e religiosi». Con Geraldini siamo ormai nell’epoca cosiddetta moderna, che da molti punti di vista si rivela come continuazione del Medioevo con altri mezzi, per parodiare von Clausewitz. La conclusione di Oldoni si ribella all’idea di una letteratura medievale ‘impoverita’ dalle sue letture preconcette e pretestuose, ancora più sovrabbondanti nella imperante cultura mediatica dei cliché. Quel che il Medioevo mette in questione è l’esistenza, o almeno la definizione, dell’oggetto ‘letteratura’, di cui Oldoni riporta l’interpretazione ‘estesa’ che include una massa di testi senza autore e risale a Blanchot, ma della cui accezione ‘pura’ sembra nutrire una nostalgia in qualche modo romantica. Oggi che alla nozione di letteratura si è sostituita ormai correntemente quella di testualità o addirittura di documento culturale, lo spazio di interesse del medioevo può aspirare a una rivalutazione ancora più ampia: ma ci vuole chi, attraverso le edizioni e le traduzioni, ne allarghi la conoscenza e la leggibilità e chi, come Oldoni, ne sappia leggere e far vivere, oltre il dato storico e oltre i luoghi comuni, la travolgente realtà emotiva e fantastica e la sua nascosta verità.

(Francesco Stella)

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