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HONE TUWHARE, Piccoli buchi nel silenzio. Traduzione e curatela di Antonella Sarti Evans. Roma: Ensemble, 2018, pp. 139, € 12,00.

in: Semicerchio LVIII-LIX (2018/1-2) ECOPOETRY. Poesia del degrado ambientale pp. 151 - 153

 

Fra le letterature cosiddette postcoloniali, quella neozelandese è particolarmente interessante. La Nuova Zelanda è infatti l’ultima in ordine cronologico tra le colonie inglesi, e dopo la prima, turbolenta fase di invasione e occupazione, oggi la sua letteratura fornisce un efficace esempio di integrazione tra le due anime della cultura neozelandese: quella indigena maˉori e quella di origine europea. La visione maˉ ori della letteratura è stata dapprima sovvertita: depositari di una tradizione esclusivamente orale, per competere con i colonizzatori i maˉ ori si sono dovuti adattare all’utilizzo della scrittura, e la lingua indigena è stata in gran parte soppiantata dall’inglese.
La letteratura maˉ ori
scritta nasce all’inizio del diciannovesimo secolo, ma per lungo tempo è limitata ad ambiti stricto sensu extra-letterari, come la politica, la religione e la geneaologia. Mentre l’autodeterminazione maˉ ori all’interno del panorama letteratio post-coloniale risale al 1973, anno di pubblicazione del romanzo di Witi Ihimaera, Tangi, fuori dalla Nuova Zelanda la scrittura degli autori indigeni è stata veicolata e diffusa grazie all’utilizzo della lingua inglese. In Italia questa vicenda è ancora poco nota. Mentre scrivo, la mia ricerca del sintagma virgolettato “letteratura maori in Google restituisce 130 risultati. Pochi, pochissimi gli studi, i testi e gli autori kiwi e in particolare maˉ ori tradotti sinora in italiano, e una buona fetta di questo lavoro pioneristico è stato svolto da Antonella Sarti Evans, traduttrice, scrittrice e insegnante italiana di stanza a Wellington, specializzata in letteratura neozelandese. La sua edizione italiana di una selezione di poesie tratte dall’antologia postuma di Hone Tuwhare Small Holes in the Silence (2011) è un piccolo grande passo, che introduce un autore nel nostro Paese sconosciuto, ma in Nuova Zelanda considerato tra i portavoce più significativi della cultura maˉ ori del Novecento.
Autore non soltanto di versi, ma anche di teatro e narrativa, Hone Tuwhare è tra i poeti neozelandesi più celebrati. Il nome completo è lungo, ma le origini sono umili. Hone Peneamine Anatipa Te Pona Tuwhare nasce nel 1922 nell’estremo nord della Nuova Zelanda in una famiglia Ngapuhi e, senza poter seguire un percorso d’istruzione completo, inizia a scrivere e pubblicare nel 1956, dopo la militanza nel Partito Comunista e l’esperienza tra le file dell’esercito in Giappone, durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua prima raccolta poetica No Ordinary Sun (1963), opera d’esordio di un operaio maˉori sprovvisto di formazione secondaria, ha una risonanza inaspettata. Si tratta del primo libro di poesia pubblicato da uno scrittore indigeno e, in generale, di una delle raccolte poetiche più di successo in Nuova Zelanda. Le settecento copie vendute nei primi dieci giorni dalla prima pubblicazione sono, riferisce Antonella Sarti Evans, “le prime poesie a essere indirizzate a un pubblico maˉori, provenienti da un autodidatta in letteratura, assolutamente anticonvenzionali nel modo di ritrarre il paesaggio, l’amore e le questioni di attualità politica e sociale”. Da allora in poi, con quattordici raccolte poetiche pubblicate, numerosi riconoscimenti internazionali e sino alla morte nel 2008, l’iter biografico e letterario di Tuwhare è un corposo, totalizzante contributo alla rinascita della Maoritanga, cioè della cultura e identità maˉ ori.
Graficamente impeccabile, a partire
dalla copertina, ma stranamente priva di indice, l’antologia intitolata Piccoli buchi nel silenzio di Edizioni Ensemble raccoglie trentasette poesie di Tuwhare in lingua originale (inglese) con la traduzione italiana a fronte. Tre componimenti compaiono in tripla versione, corredati anche della resa in lingua maˉ ori. I testi sono racchiusi tra un’agevole quanto necessaria introduzione e la nota biografica sul poeta, entrambe a cura della curatrice/traduttrice.
La chiave di lettura fondamentale per accostare l’opera di Tuwhare è suggerita nell’introduzione del libro, dove la sua poetica è presentata come un esempio di interpretazione e conciliazione tra cultura indigena e cultura dei colonizzatori. Questa conciliazione è immediatamente evidente nell’utilizzo della lingua inglese, disseminato però di vocaboli maˉ ori (quasi mai tradotti in italiano, bensì spiegati in nota). I testi differiscono non solo per lunghezza (dai brevissimi haiku Haiku (I), Hai-Kukua e Desdemona a componimenti più estesi e prosastici, come Visita in campagna e Canto di fabbricante di pioggia per Whina) ma anche per argomento (dalla denuncia socio-politica di New Zealand Rugby Union, Martin Luther King e Le Città Sante, alla mitologia indigena di Noi, che viviamo nelle tenebre; dalla rievocazione paesaggistica di Notturno a quella animista-intimista di Non dal vento devastato, Figlia luna, Richiamo del mare e Pioggia; dalla riflessione metapoetica contenuta in Canzone di vento e pioggia alle elegie sentimental-erotiche Papa-tua- nuku, Scienza del sentimento, Annie e Sfaccettature).
Ma la varietà non si limita al formato e ai temi. La campionatura più affascinante riguarda infatti l’eleganza espressiva e, in particolare, la capacità del poeta di alternare registri linguistici differenti, dal linguaggio più informale a quello più aulico, e di modulare immagini e metafore spesso in combinazione con giochi di parole, difficili da tradurre e per questo particolarmente stimolanti se letti nella doppia versione, in inglese e italiano. Immagini fantasiose e suggestive impreziosiscono tutto il libro, a partire dai versi di Pioggia che danno il titolo all’antologia:

I can hear you

making small holes

in the silence

rain


(Ti sento / fai piccoli buchi / nel silenzio / pioggia)


L'abilità di Tuwhare di evocare con vividezza miti e immagini maˉ ori è particolarmente evidente in Mi sento come un paˉ vulnerabile:

I feel like a vulnerable

paˉ -site, sacked, by

an unforgiving enemy

force & razed to a level

unbecoming to a warrior-force,

but – freed at last,

to accept – with humility –

the earth-smelling pungency

of that Grand Dame – mother,

of us all: Papa-tuˉ-aˉ-Nuku:

our Earth-mum.

(Mi sento come un paˉ vulnerabile / saccheggiato da / una forza nemica che non / perdona e abbattuto a livello / di indecenza per un corpo guerriero / ma – liberato alfine, / per accettare – con umiltà - / l’acredine che sa di terra / di quella Gran Dama – la madre / di tutti noi: Papatuˉ-aˉ-Nuku: / la nostra mamma Terra.)  


La parola paˉ , come indicato in nota dalla traduttrice, significa villaggio maˉ ori fortificato. L'utilizzo di parole maˉ ori innesta nella lirica la presenza viva della cultura d’origine del poeta, che in questo caso usa l’immagine ribaltata della fortificazione divenuta vulnerabile per parlare della propria fragilità. L’immagine del corpo guerriero saccheggiato dalla forza nemica precede il finale in cui protagonista è la Madre Terra (il cui primo epiteto francesizzante Grand Dame conferisce grandiosità), presenza pervasiva nella raccolta e qui evocata con il nome indigeno Papa-tuˉ-aˉ-Nuku (nome che coincide con il titolo di un’altra poesia, impregnata di sensualità, sulla madre Terra, presente nell’antologia). Da notare l’uso nella versione originale della & commerciale (non riprodotta in italiano), che abbassa i toni a un livello di colloquialità, e che accanto a razed funge essa stessa da metonimia di vulnerabilità. Ulteriore dato interessante è la presenza ripetuta dei trattini (-) che, mimando graficamente la aˉ e la uˉ maˉ ori, scandiscono la poesia ritmicamente, frantumando i versi e le singole parole. In ultima analisi, le allitterazioni più evidenti non sono vocaliche (of / of), ma tipografiche.
Altro tratto distintivo dei versi di Tuwhare è, in parallelo all’incrociarsi di registri, forme e generi, l’internazionalizzarsi delle prospettive, con una forte tensione tra dimensione locale e internazionale, individuale e collettiva, visionaria e narrativa. Una tensione dialogica rispecchiata, a livello formale, dallo slancio vocativo e conversazionale. Un esempio evidente è Martin Luther King, poesia che richiama le vicende della guerra in Vietnam e l'assassinio dell'attivista afroamericano con una narrazione prosaica e dolente, tra elegia funeraria (un registro molto presente nella raccolta, che riprende le antiche forme del tangi, il lamento funebre maˉ ori) e venerazione della natura, eros e invettiva:

That bullet wasn’t meant to grunt an

apology,

the meanie. When you slumped down,

mankind

was hurled back a billion years, to a

jelly fish.

Let’s face it King: when news of your

death

came through, lovers all over the world

turned each other on, rolled over, and

turned

the radio off.

(Quel proiettile non intendeva grugnire una scusa, / perfido. Quando ti accasciasti, l’umanità / fu scagliata indietro di un milione di anni, allo stadio / di medusa. // Diciamocelo, King: quando giunse la notizia / della tua morte, gli amanti di tutto il mondo / si arraparono, rotolarono l’uno sopra l’altro e spensero / la radio.)  


Accanto al ruolo di commentatore culturale, il poeta non rinuncia alla dimensione più spiccatamente metapoetica. Di rappresentativa bellezza la definizione di poesia contenuta in Canzone di vento e pioggia:

A poem is

a ripple of words

on water wind-huffed

But still water

is a poem winded: a

mirrored distortion

of sky

and mountain

trees and a drowned

face waiting

for a second wind

(a second coming?)

rain

oblivion

Ripple of words

on water

(Una poesia è / un’increspatura di parole / sull’acqua che il vento fa ansimare// Ma l’acqua ferma / è una poesia senza fiato: una distorsione specchiata / del cielo / della montagna / degli alberi e un volto // annegato in attesa / che torni il vento / (una seconda venuta?) / pioggia / oblio // Increspatura di parole / sull’acqua)


La creazione di immagini nella poesia di Tuwhare è anche legame ecfrastico con la pittura e la fotografia, come testimonia la poesia Hotere, dedicata a Ralph Hotere (1931-2013), uno dei maggiori artisti neozelandesi, di origine maˉ ori, e illustratore di svariate raccolte poetiche di Tuwhare:

and even though my eye-balls

roll up and over to peer inside

myself, when I reach the beginning

of your eternity I say instead: hell

let’s have another feed of mussels

(e anche se le mie pupille / s’inarcano e ruotano per scrutare / dentro di me, quando raggiungo la cima / della tua eternità mi dico: al diavolo, / mangiamoci un altro po’ di cozze)


Questa lirica, un vero e proprio “a tu per tu” con Hotere, è un omaggio tra lo spiritoso e il metafisico, in cui la descrizione dei dipinti sembra voler scalfire la fagocitante narrazione etnografica della critica occidentale dominante.
Nella ricchezza poetica di Tuwhare, fil rouge è certamente la voce del poeta, ma anche la presenza permeante della natura: a partire dai moltissimi riferimenti alla botanica endemica neozelandese, sino alle personificazioni del mare, della terra, della pioggia e del vento, lineamenti della spiritualità animistica propria della cultura maˉ ori. In una continua transazione tra piani temporali differenti, Tuwhare celebra il passato rendendolo presente e vivificandolo. Una testimonianza che per il lettore italiano sarà preziosa per accostare una letteratura, quella neozelandese, in cui cultura indigena, globalizzazione e modernità sono protagonisti di un incontro di affascinante complessità.


(Margherita Zanoletti)

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