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ITALO TESTA, Tutto accade ovunque, Milano, Aragno, 2016, pp. 125, € 10,00.

Tutto accade ovunque conferma il carattere sperimentale del percorso poetico di Italo Testa. La raccolta si compone di quattro parti: la casa perfetta; c.g.; i camminatori; non ero io. Queste sezioni sono molto diverse fra loro, e rendono il libro piuttosto eterogeneo dal punto di vista formale; ciononostante, è proprio una caratteristica dello stile a dare coesione alla raccolta: la ripetizione. Testa non si serve di anafore o epifore tradizionali; l’iterazione è il motore dell’intero libro, e coinvolge sia il titolo sia segmenti testuali, ma in modo opposto rispetto al suo uso classico. Mentre nella poesia del Novecento l’anafora è soprattutto lo strumento per attribuire pathos a un’idea o a un’immagine, all’interno di Tutto accade ovunque la ripetizione destruttura il discorso logico, impedisce l’enfasi lirica; al tempo stesso, è il principio che dà ordine all’opera e ne delinea la struttura quasi geometrica.
La casa perfetta, ad esempio, comprende cinquantuno frammenti. È difficile suddividerli in poesie nel senso tradizionale del termine, perché alcuni periodi si ripetono di continuo, e molti testi sono quasi identici l’uno all’altro. In maiuscolo si legge «Tutto accade simultaneamente», ripetuto sei volte; «Tutto accade ovunque», «Nulla succede prima o dopo», «Nessuna cosa è una», «Non posso più trattenere le cose fuori», «Tutto accade comunque», tutti ripetuti per quattro volte. Queste frasi introducono delle quartine, all’interno delle quali si delinea una narrazione minima: i verbi sono quasi tutti in prima persona, riferiti a un soggetto femminile («cammino nella casa / e raccolgo i rami caduti / esco / e sono chiusa dentro», p. 19); talvolta il discorso è svolto in forma impersonale, e allora la donna diventa oggetto del discorso («la donna che corre sulla strada / è ferma nel parco / la donna nella stanza/ corre lungo la strada», p. 16). Tra i testi sono interpolate altre quartine e terzine, sempre in corsivo e talvolta in grassetto, all’interno delle quali è ossessivamente esplorato l’atto della visione: «anche oggi ho visto qualcosa / che spero di comprendere tra due giorni / anche oggi ho visto qualcosa / a cui dovrò ripensare» (p. 12); «e guardare / come è fatta una mano / e un volto / e ancora un volto // e guardare/ come è fatta una mano / e una mano / e la volta del cielo» (p. 26). Le terzine sono quattro, disposte per coppie e sempre seguite da una quartina, come a evocare la forma del sonetto.
La sezione successiva si presenta meno compatta (ma non priva di ordine) da un punto di vista visivo: i versi sono disposti a gradino, occupano la pagina secondo una logica diversa rispetto alla sezione precedente, più frammentaria e ondivaga. L’aspetto visivo non è un dettaglio: arte visuale e pratica testuale si sono spesso intersecate nella sperimentazione post-avanguardista italiana (a partire da Emilio Villa e Amelia Rosselli); la combinazione delle due arti è diventata quasi una prassi negli ultimi anni, soprattutto negli autori vicini al gruppo GAMMM ed Ex.it. Testa è interessato all’inserimento della parola poetica nella videoarte, come testimonia il progetto seguito ai Camminatori (vincitore del premio Ciampi 2013). In c.g. la disposizione spaziale dei distici accentua l’idea di straniamento sia del personaggio femminile del libro («hai la scelta tra essere felice / o triste / e hai scelto / anche se non sai bene cosa», p. 43), sia del suo sguardo («allontana / l’asimmetria del volto // zooma / sullo sguardo perso / nel pomeriggio», p. 46), sia del punto di vista del lettore. La donna rimane un personaggio sfocato, con qualche punto di contatto con la figura femminile del libro precedente di Testa, La divisione della gioia (Massa, Transeuropa, 2010): in c.g. ricorrono espressioni lessicali che ricordano le luci al neon e i colori postindustriali del penultimo libro (ad esempio «verdegrigio» e «grigioazzurro», p. 46; «cenere siderale», p. 50), ed è presente anche una delle parole più frequenti nella Divisione della gioia, «ailanto» (p. 48).
Nella terza sezione, invece, vengono riproposti i Camminatori (su cui vedi «Semicerchio» 50, 2014, 1). Si tratta di una sequenza di ritratti anonimi, inizialmente pubblicata come un poemetto. Nella Nota al testo dell’edizione del 2013 si legge che i protagonisti del libro sono personaggi osservati in varie metropoli occidentali, a partire dagli anni Novanta; Testa ha iniziato a prenderne nota a Parigi nel 2008. Il libro era accompagnato da immagini di Riccardo Bargellini, ed è stato seguito da un video a cura di Margherita Labbe, Roberto Dassoni e Italo Testa. Le immagini riproducono cupi squarci metropolitani, senza figure umane; nei testi i protagonisti non assumono mai nome né volto. Se ne conosce solo il movimento: «procedono sicuri […] si sporgono agli incroci […] / si tendono / pronti a scattare […] / si vedono / a tutte le ore» (p. 57). All’interno di questa sezione di Tutto accade ovunque non è mai usata la punteggiatura: il ritmo è costruito attraverso la disposizione dei verbi e delle parole sdrucciole. I protagonisti non hanno identità, rappresentano le vite di tutti: esprimono la componente isterica e disumanizzata di un’antropologia umana che Testa ambisce a rappresentare fin dall’inizio della propria opera. Inoltre, coerentemente con il resto del libro, sembrano sfidare il lettore a riflettere sul concetto di sguardo, inteso da un punto di vista epistemologico. Se tutto accade ovunque e gli uomini contemporanei «ti affiancano / senza mai dire nulla / e rigidi / in linea retta / ti passano» (p. 59), la comunicazione e la conoscenza non sono possibili se non per frammenti che mutano di continuo.
Questa riflessione continua nell’ultima sezione, non ero io, composta solo da prose. Al contrario di quanto accade nelle pagine precedenti, in questo caso il ritmo è interamente affidato all’uso delle virgole, che, creando molti accenti interni, scandiscono il flusso continuo della prosa; ancora una volta, invece, è assente il punto fermo. Un breve esempio: «5. a questa altezza, qui, a volte, solo alcune cose si mostrano, solo alcune, le altre sfarfallano, passano veloci, e scansano, solo alcune cose, se non scartano di lato, se non si sottraggono, solo alcune cose, con tutti i dettagli, le forme precise, le curvature, solo alcune cose, e il resto niente, guarda, solo alcune, che le puoi contare, con tutti i dettagli, le riconosci, solo alcune, a questa altezza [...]» (p. 81). Come è evidente, anche in questo caso l’oggetto del discorso è la relatività della visione umana: «non vedi più niente, tutto scorre, fugge di lato, ma non serve, neanche questo» (p. 84). Con Tutto accade ovunque, Testa raggiunge un punto ancora più in là nella sperimentazione sulla forma poetica; al tempo stesso, la divisione in sezioni conferisce al libro una forma di equilibrio e una geometria interna, e approfondisce la riflessione su come la tecnologia abbia cambiato non solo i modi di vivere e le possibilità di conoscere, ma anche ciò che contraddistingue l’essere umano.

(Claudia Crocco)

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