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ANDREA LANDOLFI, Hofmannsthal e il mito classico, Roma, Artemide 2013 (1a ed. 1995), pp. 160, € 15,49.

La ristampa dell’agile ma densa monografia dedicata da Andrea Landolfi a Hofmannsthal e il mito classico, torna a far riflettere i lettori e gli studiosi su una pluralità di temi ancora vivi, nonostante il tempo trascorso dalla prima stesura del saggio e la fioritura bibliografica sul tema apparsa negli ultimi tempi. Basterebbe già solo leggere l’ouverture di questo libro, che illumina in un quadro d’insieme il modo in cui il poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) si avvicina alla tradizione greca, per inquadrarne la portata ben al di là dello stretto ambito germanistico. Decontestualizzati dalle atmosfere fin de siècle nelle quali l’educazione del giovane Hofmannsthal si compì, i fatti narrati potrebbero costituire una testimonianza ancora attuale nell’ambito dei vivaci dibattiti sul ripensamento del fondamento stesso di una istituzione culturale ed educativa come il liceo classico. Nella sua complessità e straordinarietà, infatti, l’esperienza hofmannsthaliana testimonia a sostegno di quanti ritengono sia giusto difendere un indirizzo scolastico certo non più deputato a formare una futura classe elitaria sul piano sociale, come accadeva in passato, ma ancora capace di formare una élite culturale formatasi su un sapere antico, solo apparentemente privo di utilità pratica.
La presenza continua del mito classico nell’opera drammaturgica del poeta austriaco testimonia, infatti, di come il patrimonio appreso negli anni giovanili – attraverso le letture suggerite dal padre e quelle affrontate durante gli studi liceali – abbia costituito nella vita del poeta una fonte sempre aperta, da cui continuamente attingere motivi, valori e ispirazione. La peculiarità di questo rapporto, tuttavia, come Landolfi contribuisce a più riprese a dimostrare, non si svolge nei termini di una contemplazione imitativa: essa si lascia piuttosto descrivere come un tentativo – talora meglio, altre volte meno riuscito – di far dialogare le forme del passato con la complessità delle forme artistiche del presente, il teatro in primis, di modo che i due mondi, quello della tradizione consacrata e quello della vita contemporanea filtrata attraverso la scena si compenetrassero, arricchendosi reciprocamente.
Landolfi passa in rassegna una significativa porzione dell’intero corpus delle riscritture classiche hofmannsthaliane, prendendo in considerazione non solo quei lavori effettivamente portati a termine e dati alle stampe come Idylle, Alkestis, Elektra, per attraversare poi l’Ödipus und die Sphinx e l’Ariadne auf Naxos e approdare, infine alla Ägyptische Helena, ma anche una selezione di saggi e opere collegate e, ancora, un consistente numero di appunti, schizzi e bozze conservati tra le carte del lascito. Oltre a testimoniare della prolifica longue durée del rapporto che il poeta instaura con la tradizione classica, dalla quale sarà influenzato per l’intero arco temporale della sua vita, la scelta tra i materiali operata da Landolfi si dimostra particolarmente efficace per illustrare quanto la peculiarità del rapporto di Hofmannsthal con i classici risieda nella sua capacità di sottoporli a un processo di mutamento (Verwandlung) pur mantenendo viva la fedeltà all’idea originale. Riscritto, riconfigurato sul piano cronologico e topografico, messo in dialogo con la musica di Strauss, continuamente sottoposto a un approfondimento psicologico e filosofico che è figlio della lettura ripetuta e approfondita delle opere di Nietzsche, Freud, Rohde e Bachofen, il corredo mitico scelto da Hofmannsthal compie un processo di trasmutazione per seguire in realtà un’ottica circolare. La Grecia del tardo Hofmannsthal, scrive infatti Landolfi in chiusura del percorso, parlando della più trasfigurata delle sue ambientazioni classiche, quella della Ägyptische Helena «esce da quest’opera come passata attraverso un processo di cristallizzazione che ne ha prosciugato qualsiasi pur lontana implicazione ‘storica’ o ‘filologica’ restituendo, purissimo, il solo nucleo mitico, eterno e intramontabile» (p. 121).
La ricchezza di contenuti della trattazione si muove all’interno di una quantità notevole di fonti e studi critici, illustrati nel capitolo finale, dedicato a una ricognizione bibliografica valida e accurata nei limiti temporali che si è data. Dal punto di vista della storia degli studi esistenti Landolfi fa inoltre il punto su alcune interpretazioni canoniche, rilette e spesso contraddette in modo motivato e rigoroso, proponendo una rilettura dell’autore e del suo rapporto vivo con l’antico, i cui «forti connotati di ispirazione » (9) comportano, in Hofmannsthal, una «estrema facilità di calarsi in culture e opere preesistenti». Per quanto riguarda la questione dell’autorialità, viene veicolata una visione anfibologica del poeta come «sacerdote, capace di evocare le ombre del passato mitico e insieme come vittima sacrificale che quelle ombre patisce su di sé» (p. 11). Si può forse dire che la lettura di questo saggio rimandi alla forma originaria dell’antico rilevata, per esempio, dagli studi del grecista Luigi Enrico Rossi: Hofmannsthal vede in esso una serie di mythoi «funzionali» alla situazione, che è possibile declinare anche «civettando con l’intrattenimento e la distrazione, con il dato effimero del presente» (p. 35) e riconosce in esso un materiale che è possibile rinnovare in forme plurime e in opere e situazioni specifiche, prive di quelle cristallizzazioni di un Ur-mythos paradossalmente inteso dalla mitografia di fine ottocento e oltre come modello prescrittivo.
Va segnalata infine una componente stilistica rara: l’eleganza dell’esposizione, priva di ogni pedanteria, avvicina i lettori allo studio dell’opera del poeta e drammaturgo austriaco che oggi più che mai, a distanza di quasi un novantennio dalla sua scomparsa, rivela la modernità di un antico riscritto, rivissuto, messo in scena.

(Stefania De Lucia)

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